Le Cronache del Sussurro - L'elmo di Paeshan

Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 12 marzo 2004

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Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 12 marzo 2004
L'ELMO DI PAESHAN


ttraversare quelle prigioni non era affatto semplice per i due elfi, abituati come erano ad una vita sotto il cielo aperto. Quei cunicoli puzzavano di muffa e di marcio, e come se non bastasse non c'era un'alito di vento a smuovere quell'aria stantia. A rendere ancora peggiore la sensazione di oppressione era la presenza di quelle ossa. In più di una occasione si erano sollevate, trasformandosi in orride creature non morte. Solo la morte regnava in quel luogo. Una morte antica, crudele e spaventosa. Una morte ancora pronta a mietere vittime.
Combattere quegli orrori si era dimostrato un dovere per tutti. Inizialmente era stato il solo Warna a lanciarsi a testa bassa per eliminare i nemici, ma ora anche Galaith aveva rivelato la propria abilità nell'affrontare quelle putride manifestazioni della non morte.
"Dunque, il passaggio secondo me è su questa parete - Warna, trovata la via sbarrata era tornato indietro ad esaminare la prima stanza - sempre che quell'elfo morto abbia detto la verità e da qui ci sia un passaggio verso la torre. Altrimenti siamo chiusi quì dentro in gabbia."
Non si fidava di ciò che avevano visto ed udito gli altri. Un elfo bianco, pergiunta morto, che dà suggerimenti: semplicemente ridicolo. Tutto puzzava d'assurdo e di trappola. Una maledetta trappola nella quale ormai si trovava infilato anche lui. In principio si era opposto alla ricerca del passaggio seguendo i suggerimenti dell'elfo, ma poi gli altri si erano mossi e lui non li aveva abbandonati. Non si sarebbe mai e poi mai detto che Warna era un vigliacco.
"Cosa te lo fa pensare, nano?" D stava scrutando la parete che gli veniva indicata, facendosi luce con una torcia.
"Warna, mi chiamo Warna, elfo. E comunque è semplice: la torre si trova in quella direzione" rispose indicando verso la parete.
Galaith intanto aveva trovato una fessura piena di polvere e la stava seguendo con un dito, delineando una sagoma irregolare di un arco. Per lavorare meglio, l'elfo bianco si era tolto i guanti e stava uncinando il terriccio provocando una piccola cascata di detriti. Alla fine trovò un foro. Solo dopo ripensandoci si rese conto di aver agito un po' avventatamente; quel buco poteva nascondere una trappola. Aveva infilato il dito al suo interno, smuovendo qualcosa che aveva prodotto un lieve scatto. Un attimo dopo un intera sezione della parete si era spostata, rivelando al di là una ripida scala che si inerpicava girando verso destra.

ntrambi gli elfi provarono una breve ma intensa gioia nel pensare di tornare all'aperto, salendo verso l'alto. Mirphit era stato misericordioso e non gli aveva imposto di rimanere al chiuso, in quel chiuso, troppo a lungo.
"Vado io per primo" Warna aveva già le asce in mano.
"Ed io meglio che rimanga per ultimo" rispose Galaith.
Elsiem e Tallerin cominciarono quasi contemporaneamente a mormorare, raggiungendo la concentrazione necessaria all'attivazione di chissà quale incantesimo. Facevano sempre così quei due. Ogni volta che si presentava una nuova strada, un posto in cui forse potevano esserci pericoli, si mettevano a cantilenare, socchiudendo gli occhi e camminando lentamente. Se gli elfi erano strani, questi umani non erano da meno agli occhi di Warna. D, invece, diede una occhiata alle scale, alla ricerca di eventuali segni che gli rivelassero la presenza di trappole o altri pericoli. Questo era già più normale.
Salire non fu difficile e certo fu di sollievo per gli elfi rendersi conto che doveva esserci una qualche apertura in alto. Pochi giri di scala ed arrivarono a quello che un tempo era stato il piano terra della torre nella quale desideravano entrare. Qirawir aveva detto la verità, almeno per ora. Dalla parte opposta della sala si intravedeva l'apertura che dava sul cortile. Tra loro e l'uscita, però, un ammasso caotico di macerie rendeva praticamente impossibile passare. Il piano superiore, infatti, era crollato. Per raggiungere l'arco avrebbero dovuto spostare molti massi, alcuni dei quali si trovavano incastrati con quanto rimaneva delle travature che, sebbene fossero marce, rimanevano comunque al di sopra delle loro attuali possibilità di rimozione. Mentre osservavano l'enorme ammasso di detriti, un rumore sordo salì lungo la scala, provenendo da dove erano entrati.
"Io non so come dirvelo. Credo che il passaggio di sotto si sia richiuso" Galaith chiudeva la fila e fu il primo a capire cosa era avvenuto.
"Vuoi dire che non avete bloccato il passaggio?" Slero, l'enorme sacerdote Mirphita, lo guardava con aria d'accusa.
"No, non credevo che si sarebbe richiuso."
"Ed ora come usciamo?"
"Forse più su troveremo un passaggio. Le macerie sono attraversabili?"
Warna riprese ad osservare quanto occupava la stanza.
"Non prima di averne rimossa una buona parte. Ed anche così rischieremmo di romperci l'osso del collo."
"Proseguiamo su, allora - tagliò corto Elsiem - tanto dovremo farlo comunque per trovare qualunque cosa siamo venuti a cercare"
Più in alto trovarono una seconda apertura, probabilmente l'accesso a quello che una volta era stato il primo piano della torre. Il pavimento era completamente crollato e giaceva nel mucchio di macerie che avevano trovato più in basso. Il piano non presentava finestre e l'unica via possibile era la scala che saliva ancora. A guardarlo da sotto, il piano superiore appariva essere appoggiato su travi ancora in buono stato, ma la luce della torcia non era abbastanza forte da permettere al gruppo di verificarlo con certezza. Una torre senza aperture verso l'alto non serviva a nulla, quindi più su ci doveva essere una finestra, o anche un parapetto. Dovevano andare ancora più su. E poi dovevano trovare il simbolo, quello di cui aveva parlato Qirawir, sempre che non si trovasse sotto le macerie che avevano veduto di sotto.
Dopo altri due giri la scala terminò in quello che sembrava essere l'ultimo piano della torre. L'istinto portò D a far fermare tutti.
"Il pavimento di sotto è crollato. Anche questo potrebbe non essere stabile. L'ho guardato da sotto e non mi sembra messo male, ma le travi mi sono sembrate ovviamente vecchie. Meglio muoverci con cautela!" sentenziò, muovendosi per superare il nano.

ulla sinistra la stanza rotonda presentava un enorme arco bloccato dallo stesso ghiaccio trasparente che circondava tutto. Una strana apertura, a dire il vero, visto che dava verso l'esterno del castello, dalla parte opposta di quella in cui si trovava il cortile, verso il passo. La stanza aveva ancora i resti marci di qualche suppellettile. Dal lato opposto un'altra finestra si apriva sul cortile interno. Fatto qualche passo, D decise che sarebbe stato meglio muoversi seguendo le pareti. Il pavimento appariva solido, ma la sua indole sospettosa e previdente non gli permetteva di correre rischi inutili. Si muoveva piano, spostando un piede alla volta, appoggiandoci il peso con una lenta calma che faceva diventare matto Warna. Il resto di un mobile con dei cassetti giaceva in un ammasso di legna marcia, circondato da frammenti di coccio e cristallo. Probabilmente i resti di specchi o vasi che una volta si trovavano sopra il mobile. Superato questo, c'era un bastone appoggiato alla parete da cui pendeva un drappo.
"E questo?" esclamò indicandolo agli altri.
Cercando di muoversi piano Elsiem si avvicinò.
"Sembra uno stendardo, uno di quelli usati in parata o in processione"
"Sì, pareva anche a me, ma è stanamente nuovo, non trovi?"
In effetti, ad osservarlo meglio, Elsiem si rese conto che il legno del supporto non appariva logorato dal tempo, come neanche il tessuto che reggeva. Il colore del panno era nero ed era appoggiato in modo da essere rivolto verso la parete.
"Vediamo cosa c'è rafigurato" disse Elsiem prendendolo.
Sul panno era tracciato un unico simbolo rosso. Due linee quasi verticali erano interrotte da una linea trasvesale sormontata da una cupola.
"Un simbolo veteronemerita!" fu lo stupefatto commento di Slero.
"Protonemerita, vorrai dire..." Elsiem osservava il simbolo cercando di interpretarne significati nascosti.
"A giudicare da come è nuovo non credo che sia qui da mille anni... per me è arrivato da poco... veteronemerita"
Elsiem si strinse nelle spalle. Proprio non gli andava di discutere in una simile situazione. In effetti lo stato dello stendardo era piuttosto strano. La fortezza appariva essere stata sigillata dal ghiaccio molto tempo prima, forse proprio nel periodo seguente a quello delle battaglie. Strano, se non impossibile, che quelcuno potesse esservi entrato. E ammesso che lo avesse fatto, i motivi per cui aveva deciso portarsi dietro uno stendardo per poi lasciarlo lì, apparivano difficile da interpretare, almeno con le informazioni di cui disponevano. Magari non era un oggetto nuovo; forse era antico quanto tutto il resto ed a mantenerlo era un qualche sortilegio. Quasi Tallerin avesse letto nella mente di Elsiem, il giovane umano tracciò qualche rapido gesto nell'aria, mormorando in quel suo modo strano.
"C'è magia su quell'oggetto. Direi che è un oggetto sacro. Non so dire altro per ora."
"Che dite, questo è quello che cercavamo?" Esliem mostrò lo stendardo agli altri.
"Qirawir ha parlato di un simbolo, qualcosa che Clodrianius non può affrontare. Se non sbaglio Clodranius era un sacerdote di Onorth, o almeno così mi pare ci abbia detto. E i Nemeriti sono seguaci di Onorth, vero?" intervenne Tallerin.
"Bene, allora prendiamolo e togliamoci da quì, prima che il pavimento ci sparisca da sotto i piedi. Da quella finestra si esce?" chiese Warna, indicando la finestra sul cortile.
D diede un'occhiata di sotto ed estrasse una fune dal suo zaino.
"Sì, ma dovremo calarci. Vedete appigli dove possa legarla?"
"Usiamo il mio bastone - Elsiem si fece avanti mostrando come bloccarlo sulla finestra - Facciamo un giro alla fune e ci caliamo con calma. Evitiamo di fare nodi... non credo che tra noi ci siano marinai o scalatori."

algrado l'organizzazione fosse stata buona, non tutto andò come avevano preventivato. Alla fine uno strattone alla corda fece muovere il bastone, facendo finire Galaith in terra. Anche Slero, nel corso della discesa, si era mostrato goffo ed impacciato, finendo col perdere la presa. Fu solo per un caso che nessuno si ruppe l'osso del collo. Dal parapetto dovevano scendere ancora per raggiungere il cortile, e stavolta nessuno se la sentiva di rischiare. Si avvicinarono il più possibile alla torre da cui erano entrati, quella in cui i paesani si erano arroccati, seguendo il camminamento e chiamarono a gran voce affinchè gli venissero portate scale o altro. Mentre attendevano ebbero modo di fare il punto della situazione. Ora avevano lo stendardo e probabilmente sarebbero riusciti a mostrarlo a Clodrianus. Dovevano quindi infilarsi nelle cripte armati soprattutto della speranza che quel drappo nero servisse a qualcosa. L'idea di affrontare un bel po' di non morti, pergiunta armati di spadoni a due mani, non allettava nessuno. Anche Clodrianus sembrava essere pericoloso. Ancora rabbrividivano al ricordo di come la freccia che gli avevano scagliato contro si era sbriciolata nell'aria. Cosa avrebbero fatto, poi, se Clodrianus non si fosse fermato? Affrontarli tutti assieme sarebbe stato un suicidio. Il nano avrebbe potuto impegnarne qualcuno in combattimento, alleggerendo il carico degli altri, ma dieci erano troppi da tenere a bada.
"Attacchiamo prima il prete - fu la proposta di Slero - Se abbiamo fortuna, alla sua morte gli altri si fermeranno."
"E se non l'abbiamo?" Tallerin non era persona abituata a lasciare che le situazioni fossero guidate dal caso, almeno non sempre.
"Se non l'abbiamo cercheremo di ritirarci alla porta, in modo da costringerli ad uscire pochi alla volta. Meglio avere una situazione favorevole a noi. Se stanno sulla porta io e l'elfo sbiadito - Warna era sempre pronto a schernire gli elfi - potremmo bloccare il passo, mentre voi da dietro potreste darci una mano con gli archi e con tutte le altre diavolerie da... da quello che siete!"
La sua voce non nascondeva nemmeno un po' quello che pensava di chi, al contrario di lui, amava stare lontano dal porprio nemico. Al di là della provocazione, comunque, la tattica appariva valida. Se il sacerdote di Onorth non si fosse fermato davanti allo stendando, avrebbero cercato di affrontare il nemico in una posizione a loro favorevole.

e scale finalmente arrivarono. Il Barone era acompagnato da tre paesani. Due portavano la coppia di scale legate che avevano preparato in precedenza, mentre il terzo aveva una balestra carica e si guardava nervosamente, troppo nervosamente, intorno, spesso puntando la sua arma verso di loro o verso la schiena di un compagno. Da quello che notarono, molti altri paesani in cima alla torre avevano balestre e si comportavano nella stessa maniera imprudente. 
Scendere a questo punto doveva essere facile. La scala non raggiungeva il parapetto, ma gli arrivava molto vicino. Bastava calarsi un po' per poggiarci un piede sopra. I primi a calarsi furono Warna e Galaith, in modo da aiutare il Barone qualora qualche non morto avesse deciso di fare la propria comparsa. Poi vennero Elsiem e Slero. Quando fu il turno di Tallerin, però, tutti si accorsero che qualcosa non andava. Il giovane non era tranquillo. Continuava a guardare con ansia il piolo sul quale doveva posare il piede. Si sporse, reggendosi alle pietre con le mani. Malgrado il freddo fosse intenso, sudava e la stretta con cui si manteneva appeso rendeva bianche le sue nocce dallo sforzo. La punta del piede si pose sulla scala e Tallerin si abbassò ulteriormente per poggiare l'altro piede. Nello spostare la mano per avvicinarsi meglio, fece troppo affidamento sulla posizione dell'unico piede sulla scala. La suola dello stivale in pelle morbida scivolò all'indietro, producendo un suono strisciante, preludio al disastro imminente. Le mani persero la presa e in un attimo Tallerin si ritrovò a scivolare lungo la scala, finendo a terra con troppa velocità. Nell'impatto piegò male una gamba, cadendo in maniera scomposta. Il dolore all'anca avvampò così rapido e forte che per poco non perse conoscenza. Tutti gli furono immediatamente intorno, cercando di rialzarlo, ma la botta che aveva preso non gli permettava di rimettersi in piedi. Dapprima chiese di aspettare un attimo che gli passasse il dolore per potersi rialzare, poi si rese conto che il fianco continuava a dolergli. Probabilmente nell'impatto si era stirato un muscolo, oppure si era lussato l'anca. Non era in grado di dirlo. Quello di cui era certo era che gli faceva male, e tanto.
"Aiutatelo, togliamoci da qui in fretta." il Barone fece un gesto rapido verso i paesani che avevano portato la scala.
Per arrivare alla torre furono costrretti a sollevare Tallerin di peso. La gamba ed il fianco gli dolevano ad ogni passo, procurandogli fitte lancinanti. Tenerla sollevata era quasi impossibile e fu solo per orgoglio che Tallerin non cedette al pianto. La cosa peggiore fu che non c'erano curatori, solo una anziana levatrice. Fu questa, quindi, ad occuparsi delle ferite del gruppo, non senza qualche ragionevole timore da parte di questi.
Vista la necessità di riposo di molti, anche dei non feriti, decisero di chiudere nuovamente l'accesso alla torre. Le assi vennero risistemate a bloccare l'apertura. Warna e D andarono a verificare se la stanza in basso, quella in cui avevano trovato le due guardie morte, fosse comoda per potersi sistemare. Il sangue perterra si era raggrumato, lasciando un alone scuro. Nel corso della loro vita ne avevano visto di sangue, ma dormirci sopra era ben altra cosa e così si decisero a chiedere dell'acqua, possibilmente non fredda perchè non congelasse lì, per pulire quel pavimento a sufficienza da permettergli di organizzare i propri giacigli. Si rivolsero ad uno dei paesani.
"Ragazzo, portaci dell'acqua. Se puoi riscaldala." Warna aveva usato un tono gentile che alle orecchie di D, che ormai era costretto a stargli vicino da un bel po', appariva insolito. Certo non era lo stesso tono con cui si rivolgeva ai due elfi. Il giovane si mosse verso le scale, borbottando qualcosa in cui si percepirono solo alcuni vocaboli che non piacquero affatto a Warna visto che associavano la sua razza a qualche termine scurrile. Ma come biasimare quel giovane? Sapevano che avevano lasciato il loro villaggio a causa di un nutrito gruppo di guerrieri del clan dell'alce, ma sapevano anche che a spingerli verso le montagne erano stati i nani. Certo anche il ragazzo doveva esserne a conoscenza e per lui un nano o un altro non faceva molta differenza. Warna non aveva mai partecipato a quella guerra, non gli interessava, come non gli interessava molto altro della sua gente. Sin da piccolo era vissuto un po' ai margini della società, preferendo avere una esistenza solitaria. Lo avevano dovuto quasi costringere a seguire gli addestramenti e se non fosse stato per le sue evidenti doti da combattente, forse lo avrebbero anche cacciato. Ma si era rivelato troppo bravo ed alla fine, seguendo la propria natura, era stato lui ad andarsene. Lui non c'entrava niente con quella guerra, nè voleva preoccuparsene. Se quel ragazzo avesse ripetuto ancora quegli insulti però, forse gli avrebbe rammentato come la saggezza risieda nel manico di un martello da guerra.
D intanto se la rideva. Una piccola e divertente vendetta trovarsi davanti a qualcuno che affrontava Warna, anche se solo a parole. Per fortuna a portargli l'acqua non fu lo stesso giovane. Quando gli altri scesero videro che Tallerin era stato denudato ed ora aveva una fasciatura stretta che gli copriva la parte superiore della coscia e l'intero bacino. A portarlo giù erano due degli uomini che avevano accompagnato il Barone. Tallerin era il più tollerante del gruppo. Non emise alcun gemito quando lo fecero accomodare in terra. Nemmeno sentendo il freddo del pavimento entrargli nelle ossa. Forse fu per questo che gli altri decisero di non schernirlo riguardo la sua ultima conquista: la vecchia levatrice. Preferirono invece cercare di dormire, riguadagnando le forze che sapevano gli sarebbero servite per fare quello che avevano in mente. Certo dormire sapendo che solo un piano sotto di loro si nascondeva uno dei peggiori pericoli che avessero mai dovuto affrontare non fu affatto semplice.

nche questa volta a svegliarli furono i paesani. La luce aveva preso a filtrare nuovamente attraverso gli strati di ghiaccio, conferendo alle grotte un aspetto spettrale quasi privo di ombre. A tratti i riflessi di questa luce divenivano abbaglianti e se non si distoglieva lo sguardo rapidamente si finiva col non riuscire a vedere correttamente per qualche minuto. Galaith non pareva molto sorpreso di tutto ciò. I suoi occhi chiari erano abituati a tutto questo, anche se gli ultimi due anni li aveva trascorsi lontano dalle foreste ghiacciate del Qadill, inviato nel Lenillass come messo. Per gli altri, invece, tutto era insolitamente bianco, troppo bianco.
In silenzio si vestirono. L'unico che mangiò qualcosa fu il nano. Sembrava avere fame per tre persone. Tallerin venne controllato dalla levatrice e da un uomo. Sembrava che gli unguenti e le resine avessero funzionato. Ora poteva alzarsi, anche se qualche movimento ancora gli provocava fitte di dolore che gli partivano dalla natica fino a raggiungergli la schiena. Bastava però evitare certi movimenti ed i fastidi sarebbero stati limitati. Norin si presentò con la sua spada al fianco. Sarebbe venuto anche lui. Una spada in più non avrebbe certo fatto male. Quando fecero rimuovere le assi, l'aria fredda li colpì in volto, risvegliando anche le ansie che col riposo sembravano essere scomparse. Lentamente discesero le scale. A parte il rumore dei loro passi, l'unica eco del luogo era il lento gocciolare del ghiaccio che si scioglieva. Sin dal giorno precedente infatti era cominciato a piovere nella grotta, segno che il ghiaccio si stava sciogliendo e che presto qualche lastra di ghiaccio sarebbe caduta. Arrivati davanti all'arco d'accesso fecero passare avanti Warna, seguito da Elsiem che portava lo stendardo. Scivolarono all'interno senza indugiare. Se si fossero fermati forse il coraggio li avrebbe abbandonati e la sensazione di follia che ristagnava nei loro stomaci avrebbe avuto il sopravvento.
Si precipitarono verso la piccola cappella. Trovarono Clodrianus avvolto nel suo mantello col cappuccio sollevato al centro della stanza, intento a dondolarsi ritmicamente, rivolto verso l'altare. I quattro scheletri erano fermi, quasi fossero orride statue scolpite da un artista pazzo. Mentre si avvicinavano, il sacerdote si accorse di loro e reagì. Velocemente prese la coppa in mano, ricominciando con quei suoni gutturali che forse un tempo erano stati la sua voce. Prima ancora che riuscisse a completare una frase Warna aveva alzato il martello ed Elsiem si era avvicinato con lo stendardo. Le mani gli sudavano, malgrado il freddo. Doveva mostrarlo al sacerdote. Doveva vederlo, solo così si sarebbe fermato. Solo quando gli fu a pochi metri di distanza un dubbio gli penetrò l'animo: e se non avesse occhi? Lo sguardo sbarrato, il fiato trattenuto, guardava l'avversario che gesticolava verso di loro. Nulla, non lo vede, pensò rabbrividendo per quello che questo comportava. Poi accadde. Clodrianus fece cadere la coppa, prostrandosi di fronte al simbolo. Non poteva crederci, lo avevano fermato. Anche gli scheletri apparivano inermi.
Tallerin si diresse verso l'altare e con decisione allungò la mano, afferrando una delle tre spade che si trovava sopra. In una frazione di secondo la calma si trasformò in caos. Clodrianus urlò al tradimento, cercando di sottrarsi al simbolo, mentre gli altri gli arrivarono addosso massacrandolo. Qualcuno diede un calcio al calice, portandolo fuori portata del seguace di Onorth. Veloce come era iniziata, la battaglia finì. Contro l'impeto del gruppo Clodrianus non potè nulla, soggiogato anche dal potere della propria stessa fede.

allerin si sistemò al fianco la spada che aveva raccolto, raccontando che l'aveva scelta in quanto vi percepiva la presenza di magia. Usando il mantello di Clodrianus, raccolsero il calice, chiudendovelo dentro. Altri lembi delle sue vesti furono usate per rimuovere tutte le tracce di sangue dalla stanza. L'idea stessa che potesse essere usato ancora per chissà quale rito li rendeva tutti nervosi. Con calma bruciarono le vesti lorde di sangue, ma la coppa fu data a Slero, il quale ne spiegò i significati.
"Questo è il sangue di Onorth, uno strumento Necromantico di origine molto antica. Si dice che i Nemeriti ne avessero fatto largo uso nel periodo delle grandi guerre."
"Perchè la vuoi?" Galaith era scettico.
"Potrebbe essere utile, guardate!" disse, tornando verso la cappella seguito dagli altri.
Raggiunse il centro, mettendosi in mezzo ai quattro scheletri. Poi prese la coppa con entrambe le mai e la sollevò. Quasi immediatamente si accorsero che qualcosa non andava. Gli occhi di Slero erano diventati completamente bianchi e da sopra la sua testa era apparsa una luce rossa che illuminava uno strano vortice di fumo che si levava dalla coppa. Anche la voce dell'enorme Adepto del Riposo non era normale. In qualche maniera era divenuta gutturale, profonda. Era la stessa voce di Clodrianus, o quantomeno questo era sembrato a tutti. Tutte le teste dei non morti presenti si voltarono verso il prete di Mirphit.
Il nano gli fu addosso immediatamente con il martello sollevato. Il primo colpo sbilanciò l'umano, costringendolo ad abbassare le braccia; il secondo gli fece saltare via la coppa dalle mani. Slero si accasciò al suolo con un respiro rantolante, mentre Elsiem, che inizialmente stava per fermare il nano, recuperò nuovamente la coppa, riavvolgendola nel tessuto. Anche gli scheletri parvero perdere attenzione, tornando ad assomigliare più a statue che a pericolosi non morti.
"Ma sei pazzo?" Galaith era furioso.
Anche il nano lo era, ma la sua rabbia si era già scaricata nei due colpi che aveva dato ed ora si limitava a digrignare i denti stringendo la sua arma con forza.
"Io... io sapevo cosa stavo facendo..."
"Sì, ci stavi ammazzando!" anche Elsiem si era spaventato molto.
"No, io l'avrei controllato..." balbettò disperatamente notando che nessuno gli credeva.
Questa volta decisero che anche la coppa doveva essere bruciata. Tornarono fuori, controllando con attenzione nessun pericolo fosse in agguato. Il fuoco era ancora acceso. Fu Tallerin ad occuparsi della coppa. Non appena la mise sul fuoco la quiete venne interotta da una serie di urla angoscianti, più simili a suoni stridenti, provenienti dalle stanze da cui erano appena usciti. I corpi dei non morti stavano ardendo di un fuoco innaturalmente verde, consumandosi come candele. I loro lamenti sembravano provenire dal più profondo degli abissi.
"Questo chiude la storia. Ora quella coppa è inutile" commentò Slero allontanandosi, evidentemente infastidito.
Ma anche dalla torre occupata dagli abitanti di Ladesford giungevano delle urla. Qualcuno si sporse dalla finestra del secondo piano.
"Barone, i corpi! Le guardie! Correte!"
Immediatamente il gruppo si precipitò verso la torre. Forse si era aperto un passaggio e alcune guardie erano arrivate da loro, cercando dove si erano nascosti. Forse avrebbero potuto andare via. Forse. Saltarono sui gradini, superando l'Adepto del Riposo. Anche le scale interne furono superate con rapidi balzi. Arrivati alla finestra poterono osservare quanto avveniva dall'altra parte. I due cadaveri delle guardie stavano ardendo dello stesso fuoco verde degli scheletri. Evidentemente anche il loro sangue era stato raccolto da Clodrianus. Forse quello che stava operando quando l'avevano incontrato inizialmente era il rituale che avrebbe legato a lui anche questi due cadaveri, trasformandoli in altri non morti proni al suo volere.

ra la gente regnavano il caos, l'orrore e la paura. Molti gridavano e qualcuno già proponeva di dare l'intero castello alle fiamme. Fu solo dopo le insistenze di Norin che Slero si decise a prendere la parola per tranquillizzare la gente. Donne e bambini, ma anche uomini, si avvicinarono ad ascoltare le sue parole. La possente figura del sacerdote si sollevò da un carro, facendo bella mostra dei simboli del proprio ordine per dare maggior peso a quanto avrebbe detto.
"Calma, non dovete preoccuparvi - la sua voce era bassa, ma sembrò catalizzare immediatamente l'attenzione di tutti - Quello che avviene a questi due corpi è parte di un rituale di purificazione. Ora essi sono stati restituiti alla grazia di Mirphit. Nulla di ciò che si trovava in precedenza nel castello verrà a turbarvi."
"Ne sei sicuro, prete?" urlò qualcuno.
"Ve lo prometto. Siete al sicuro qui, e Mirphit ha steso il suo mantello su di voi. Egli vi protegge e continuerà a farlo fino al giorno in cui lo incontrerete."
Non era certo la frase che Elsiem o Warna avrebbero scelto, ma la gente parve accettarla con tranquillità. Evidentemente era qualcosa che questi sacerdoti erano usi ripetere. Molti si segnarono, altri rivolsero sguardi sospettosi verso quanto rimaneva dei due cadaveri, ma la calma tornò nella grande grotta bianca in cui erano accampati.
D intanto fece cenno agli altri di avvicinarsi.
"Cosa facciamo, andiamo alla grande torre? Tallerin, cosa ne dici?"
"Dico che abbiamo quello che cercavamo, a sentire Qirawir." rispose dando un colpetto all'elsa della spada che portava al fianco, quella prelevata dall'altare.
"Bene, facciamo in fretta, allora!" concluse Warna.
Nel notare che Slero non si muoveva, Elsiem si volse verso il gigantesco prete.
"Che fai, vieni con noi?"
"No, resto qui" fu la risposta seccata dell'Adepto del Riposo.
Con una scrollata di spalle gli altri, accompagnati da Norin rientrarono nella fortezza, dirigendosi velocemente verso la struttura posta nella parte nordoccidentale. Non si accorsero, però, di un'ombra che li seguì. Salirono i gradini d'accesso ed attraversarono la grande sala, facendo bene attenzione a che nessun osso si spostasse dalla posizione in cui si trovava. La prima appriva tranquilla, ma nella seconda notarono con loro rammarico che svariati non morti si stavano rialzando, brandendo asce e mazze arrugginite dal tempo. Velocemente si diressero verso l'accesso della sala, costringendo gli avversari a passare di lì uno alla volta. In posizione di favore e con i maghi liberi di agire senza che il pericolo di un avversario li raggiungesse, riuscirono ad annullare ogni assalto, riducendo ad un misero mucchio d'ossa ogni scheletro che gli si avvicinava. Dove non arrivavano le frecce di D e di Galaith, arrivarono il martello di Warna, i dardi di luce di Elsiem ed il bastone di Tallerin. Quando anche l'ultimo dei nemici fu eliminato si prepararono a proseguire la loro ricerca di un accesso alla torre alta. Ma qualcosa gli fece cambiare idea: un raggelante urlo soffocato giunse dal cortile.
Senza dire una parola il gruppo si mosse velocemente per vedere cosa fosse avvenuto. I più veloci furono i due elfi che raggiunsero l'esterno appena in tempo per vedere Slero sdraiato in terra davanti ad una porta d'accesso alle mura, dalla quale stavano uscendo due scheletri. Senza dire una parola tesero gli archi e scagliarono le loro frecce sui due non morti, prima che questi potessero colpire il sacerdote. Forse fu la spinta della disperazione o la coscienza di non poter sbagliare, fatto sta che le loro frecce riuscirono a frantumare le ossa degli avversari colpendoli con una precisione che raramente avevano avuto prima.
Slero giaceva in terra, con gli occhi rigirati ed un lieve tremore per il corpo.
"Cosa gli è accaduto?" Galaith lo stava esaminando in cerca di ferite.
"A me importa meno di quanto mi interessi contare i peli d'un orso! - rispose Warna, burbero come sempre - Quello che mi nteressa è perchè sta qui se aveva detto di non voler venire"
Non fu necessario rispondere. Tutti avevano visto gli scheletri e come Slero avesse provato in precedenza a prenderne il controllo. Il suo desiderio era stato così forte da fargli commettere una follia, e forse era ancora intenzionato a commetterne altre. Si guardarono in faccia, consapevoli di quanto dovevano fare.
Non appena Slero iniziò a riprendersi si infilarono attraverso la porta che il sacerdote aveva aperto alla ricerca di ogni non morto che potessero incontrare. Non dovevano lasciarsene nessuno alle spalle, altrimenti avrebbero corso il pericolo di dover tornare indietro ancora per salvare l'Adepto da chissà quale situazione. Il più infastidito di tutti era Warna, che certo non amava correre rischi inutili. Era un tipo diretto ed ora era costretto a fare un lungo giro prima di potersi dirigere verso il proprio obiettivo. Gli altri erano mossi dallo stesso senso pratico, ma non provavano lo stesso fastidio. In fondo era sempre meglio evitare di lasciarsi nemici alle spalle.
Anche se non dissero nulla a Slero, le loro intenzioni furono più che manifeste e per l'ennesima volta il grosso sacerdote si distaccò dal gruppo per fare ritorno alla grotta bianca, infuriato per l'intromissione degli altri nei suoi piani. In un angolo del proprio animo, però, sapeva che gli avevano salvato la vita.
Quando si furono accertati che nessuno scheletro fosse rimasto indietro, salvo un gruppo trovato in una prigione, dietro sbarre sufficientemente solide da non essere oltrepassabili da Slero, presero a salire nella torre, ben consci del fatto che il tempo iniziava a stringere. Fuori infatti il ghiaccio stava sciogliendosi sempre più rapidamente e ormai pioveva copiosamente. Era strano trovarsi al chiuso con la pioggia, ma in quel momento non potevano soffermarsi a pensarci. Dovevano salire e dovevano farlo in fretta.

utti i non morti che cercarono di bloccargli il passo furono spazzati via dalla furia devastatrice del gruppo, resa ancora più cieca dalla necessità di giungere velocemete in cima. Tutti tranne uno. Prima di raggiungere la terrazza, infatti, si trovarono difronte ad una figura evanescente, probabilmente una donna. La sua voce acuta produceva una risonanza insopportabile, in grado di vincere ogni resistenza mentale. Prima D, poi anche Galiath finirono con cadere vittime del suo terrificante potere. Furono cotretti a riempirsi le orecchie con lembi di stoffa bagnata, in modo da evitare a quel suono di penetrare nelle loro menti sconvolgendole.
Eppure c'era una pena indicibile in quella creatura, un dolore profondo e cupo. C'era disperazione. Eliminarla fu come dover sopprimere un caro amico, fu come dover togliere la vita ad una persona amata per non vederla più soffrire. Nessuno si vantò di questo.
Raggiunta la sommmità si trovarono difronte ad una delle scene più straordinarie che avessero mai veduto. Sembrava che il ghiaccio che racchiudeva l'intera fortezza avesse origine da questo punto. La colonna ghiacciata infatti, partiva dal centro della terrazza, alzandosi in una cupola che poi ricadeva sia sulla torre che intorno al maniero. Al centro della colonna erano presenti due persone: la prima in piedi, probabolmente vestita di rosso, la seconda a terra, minacciata dalla lancia che la figura in piedi gli teneva puntata contro.
"Liberiamo il ghiaccio e tiriamo fuori... quello lì sotto. Quello in piedi pare avere un grosso elmo, mi sa che è quello che cerchiamo" propose Tallerin, porgendo la spada che aveva raccolto dall'altare a Galaith.
Fu sufficiente che pochi colpi raggiungessero il ghiaccio perchè questo esplodesse in una nube di schegge, spingendo tutti a terra. Mentre si rialzavano udirono la sua voce.
"Il tempo è scaduto, Taddeus, alla fine la morte ti ha raggiunto!"
"No!" Elsiem si era gettato in avanti, cercando di far partire con la massima velocità il suo dardo di luce, ma nessuno riuscì a frapporsi tra la punta della lancia e la sua vittima. Paeshan uccise il suo nemico.
"Ed ora tocca a voi!" gli occhi dell'ildinita brillarono d'un rosso carminio, mentre con le mani eseguiva una complicata serie di gesti che non faceva presagire a nulla di buono.
Warna balzò in avanti, brandendo il suo martello ed urlando tutto il suo odio mentre cercava di frantumare le ossa del nemico. Anche Galaith si fece in avanti, con la spada.
"Taddeus, a me!"
Paeshan pronunciò le parole con sicura fermezza, apparentemete per nulla impressionato dalla foga degli avversari. Quello che una volta era stato il suo nemico si sollevò in piedi con uno scatto, impugnando una spada e brandendola contro di loro. L'orribile potere dell'elmo del necromante gli muoveva le membra, rendendolo un nemico temibile. Intanto Warna stava maledicendo le forze oscure che impedivano al suo martello di fare giustizia, di portare il suo personale incantesimo di morte, come lo chiamava lui. Galaith invece maneggiava la spada che Tallerin gli aveva donato. Con uno scatto eseguì un affondo, ferendo al fianco l'avversario, il quale reagì per la prima volta con evidente timore. Paeshan temeva quella spada ed il suo ignoto potere.

l martello del nano, invece, sembrava deviare direzione sempre all'ultimo istante, sfiorando o addirittura non colpendo affatto Paeshan.
"Va da Taddeus, a lui ci penso io!" propose l'elfo bianco, tenendo il nemico sotto la minaccia della propria lama.
Quella che seguì fu una lotta furibonda. I maghi scagliarono dardi di luce che colpirono il non morto e il suo padrone, mentre il nano cercava di evitare che Taddeus si avvicinasse ai suoi compagni. Quasi contemporaneamente Warna rispedì a terra Taddeus, mentre Galaith, con una elegante giravolta, decapitò Paeshan. Erano esausti. Lo scontro era durato solo pochi minuti, ma vi avevano profuso tutte le loro energie.
"Questa è tua" disse Galaith rivolto a Tallerin, porgendogli la spada.
Intanto il giovane mago aveva raccolto l'elmo da terra. Per un istante osservò i compagni valutando i loro volti senza dire una parola. Annuirono. Sapevano che dovevano farlo ed era inutile indugiare. Tallerin colpì l'elmo con la spada. Una forte luce bianca esplose da questi avvolgendoli e scaraventandoli in terra, in una sorta di esplosione.
Poi il buio.