Le Cronache del Sussurro - La Fortezza

Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 27 febbraio 2004

Giochi

Dagli scritti dell'antico Ambronius, Mastro di Storia degli Eroi
Seduta del 27 febbraio 2004


LA FORTEZZA


o schianto separò in due la porta, il cui legno doveva essere marcio già da molto tempo. D aveva uno sguardo stralunato e senza alcuna esitazione, dimentico della trappola che doveva, ne era certo, trovarsi nella stanza, aveva finalmente dato ascolto alla voce che gli suggeriva di uscire. Sul davanzale, in posizione precaria, Elsiem era appena arrivato e fu solo grazie al fatto che non era certo di statura enorme che riuscì a farsi di lato in tempo. D scese la corda con rapidità impressionante, lasciando tutti i suoi compagni che ancora stavano dabbasso allibiti.
Elsiem esitò ancora un istante, invece, cercando di osservare il Non Morto che aveva preso ad avanzare verso di lui. Era un enorme scheletro, alto ben più di due metri. Sulla testa era presente ancora il ricordo dei lunghi capelli che quella persona doveva avere avuto in vita. In testa aveva una strana coroncina in ferro, ormai arrugginita dal tempo. Brandelli di una cotta di maglie, anch’essa più un ammasso di ruggine che altro, gli rimanevano appesi in alcuni punti del torace. Le due lunghe braccia scheletriche si muovevano fluidamente. Nelle mani quella che una volta doveva essere stata una grande ascia da guerra. Il giovane Yonita cercò di richiamare alla memoria quello che aveva appreso sui non morti nei testi che aveva avuto sottomano. Guardandolo però non vedeva altro che ossa in movimento. Due orbite vuote lo guardarono e l’ascia si alzò preparandosi al colpo, ma per Elsiem era abbastanza e con una spinta si lasciò scivolare lungo una delle sue funi magiche fino ad arrivare a terra. D aveva già raccontato quello che aveva visto agli altri, che ora guardavano ad Elsiem per maggiori ragguagli.
“È indubbiamente uno scheletro!” disse con una certa soddisfazione, arrossendo poi nel vedere la smorfia degli alti.
“E?” chiese il nano
“E… non so altro” ammise cercando velocemente qualcos’altro su cui spostare l’attenzione di tutti.
Quello strano tipo che guidava la gente del villaggio si avvicinò a loro mentre Warna si arrampicava sulla fune del mago per andare a vedere di persona. Giunto alla finestra pose le mani su davanzale, issandosi di quel che bastava per guardare dentro. Lo scheletro, che fino a quel momento era rimasto fermo pressappoco al centro della stanza, riprese a muoversi verso la finestra. Warna lasciò la presa dal davanzale, sorreggendosi alla fune, pronto a calarsi, ma lo scheletro lo stupì fermandosi. La tentazione del nano era troppa. Iniziò un folle gioco con il Non Morto mettendo un dito su dl parapetto e poi togliendolo, vedendo la creatura reagire ad ogni suo gesto. Anche se di poco, ogni tocco permise allo scheletro di avvicinarsi fino a quando la distanza tra loro non fu più di un braccio. A questo punto l’ascia si levò in alto e, anche se Warna aveva lasciato completamente il davanzale, non si fermò più. Il colpo giunse poderoso dove prima era il naso del nano che ne udì l’eco quando era già giù, le mani callose calde dalla veloce discesa.
Questa volta tutti avevano visto l’ascia. Molta tra i rifugiati stavano guardando verso l’alto, convinti di vedere uno dei guerrieri del Clan dell’Alce spuntare fuori dal quel passaggio, seguito dai suoi compagni. Ma nulla ne uscì. L’ascia fu ritirata all’interno e, anche spostandosi indietro per migliorare la visuale, non fu possibile vedere altro.
“Capo -  la voce del nano era secca, quasi un ordine – quella gente ha delle scale?”
Lo sguardo di risposta non espresse quello che probabilmente pensava in quel momento l’umano, il quale, dopo una breve esitazione chiamò alcuni paesani e gli ordinò di portare le scale che avevano sui carri. Elsiem osservava con attenzione il rapporto tra quello strano umano e la gente del villaggio che scattava all’istante qualsiasi cosa lui dicesse. Uno degli umani in particolare annuì, commentando l’ordine. Elsiem annotò con stupore quasi divertito quella frase, volgendosi a guardare verso i compagni. Ora sapeva perché ubbidivano così.
“Abbiamo anche bisogno di corde” stava commentando D.
“Cosa intendete farci?”
“Allora, leghiamo due scale assieme per raggiungere quasi l’altezza necessaria per guardare dentro la finestra, poi con quattro funi cerchiamo di tenerla dritta mentre qualcuno agile e non troppo pesante ci si arrampica e guarda. La terremo verticale ad una distanza di sicurezza dalla finestra, io direi due metri circa. Chi si arrampica?” il nano stava tracciando con il manico dell’ascia alcuni segni esplicativi nel ghiaccio, graffiandolo, per sottolineare il suo progetto.
“Mi arrampico io” si offrì Galaith.
“Bene” commentò D, felice di non doversi trovare davanti quella faccia ossuta piena di denti.
Arrivarono due scale lunghe quasi tre metri, ma una volta legate assieme dalla gente del villaggio, il prodotto finale raggiungeva a stento i cinque metri. Per un elfo era sufficiente per poter guardare comodamente dentro, mantenendosi in equilibrio. Svariati uomini aiutarono a sollevarla, sostenendo le funi in modo che l’elfo bianco potesse arrampicarcisi. Dalla sua sommità, però, Galaith non vide altro che la stanza vuota. La porta era stata divelta dal colpo d’ascia, quello che aveva fatto fuggire D in tutta fretta.
“Nulla, non vedo nulla. Lì dentro non c’è nessuno!” disse riscendendo.
“Ci serve un volontario che entri. Sì, un nano volontario…” D osservò Warna sorridendo. Anche gli altri lo stavano guardando. Il nano fece un grugnito.
“Appoggiate la scala alla parete che salgo io!”

i sistemò le asce sulla cintura in modo da poterle prendere in fretta, si assicurò che anche il martello stesse a portata di mano, strinse la cinghia dell’elmo e poi salì. Giunto in cima alla scala si fermò un istante. Prese fiato, guardando i suoi compagni che già si preparavano a salire. Gli avrebbe dimostrato come si affrontano i nemici, come agisce un nano, come si comporta un vero guerriero. Con un unico movimento si sollevò sul davanzale, rotolando all’interno. Ancora prima di rialzarsi aveva le asce in mano pronto a colpire qualunque cosa si fosse mossa lì vicino. La stanza era vuota. Gli altri arrivarono velocemente, ognuno con le proprie armi pronte. Anche il capovillaggio aveva estratto la frusta, quella che aveva usato contro Daro la mattina stessa.
Warna non era certo paziente. Osservò con attenzione la parete oltre la porta cercando di pensare a quale delle due direzioni avrebbe dovuto prendere. Oltre l’apertura, infatti, un corridoio andava sia a destra che a sinistra. L’ennesimo grugnito e saltò fuori della porta, muovendosi verso destra con rapidità. Dietro di lui, qualche istante dopo, le imprecazioni di stupore lo avvertirono che qualcosa non andava. Dalla parte opposta del corridoio, infatti, era arrivato lo scheletro di prima. Lo seguiva brandendo la rugginosa ascia. Due frecce volarono rapide nell’aria, scagliate dai due elfi, scalfendo lievemente le vecchie ossa della creatura. Il colpo del Non Morto giunse poderoso sullo spallaccio del nano, costringendolo ad una smorfia di dolore. Warna si girò di scatto agitando le sue di asce, ma il gesto frenetico fu scomposto ed impreciso e nessuna delle sue lame riuscì a trovare un bersaglio. Intanto lo scheletro era fermo davanti la porta, offrendo il fianco ai suoi compagni che già si preparavano a colpirlo di nuovo. Altre frecce volarono. Quella di D colpì il lato della testa dell’orrenda creatura, spostandola di lato. Il corpo per un istante rimase in piedi, privo del capo, poi ogni singolo osso cadde in terra.
“Che si fa?” Warna stava guardando nuovamente il corridoio, ma Elsiem era più interessato al corpo in terra.
“Doveva essere un elfo, guardate le ossa come sono allungate – ne stava smuovendo alcune con la punta della daga – e questa coroncina… forse era un dignitario, qualcuno di importante”
Anche Galaith diede un’occhiata.
“Era un elfo bianco – disse indicando le clavicole – Sono grandi.”
“Boh, allora vado a destra!” Warna era sempre più impaziente.
Tallerin era rimasto in silenzio per tutto il corso del combattimento. Si avvicinò a Galaith toccandogli con un dito l’arco, sussurrandogli alcune parole all’orecchio.
“Quando vuoi, sprigiona l’energia che gli ho messo dentro. Aiuterà il tuo tiro.”
Seguirono in nano verso destra, trovando una stretta rampa di scale che si arrampicava verso l’alto. La seguirono fino a trovarsi davanti ad una porta.
“Fermo nano, fammi dare un’occhiata. Ci penso io!” D superò Warna che era deciso ad aprire con un calcio la porta.
Si chinò ad esaminare la serratura.
“Potrebbero esserci trappole” proseguì, guardando con aria di chi la sa lunga il basso compagno.
Guardò per un attimo la maniglia, ma mentre spostava la testa da un lato per vedere meglio, la porta si mosse. Al rallentatore cadde verso la parte interna di quella che doveva essere una stanza. Warna soffocò a stento una risata, mentre l’elfo alto guardava a bocca aperta l’oggetto della sua analisi che si schiantava con un tonfo secco per terra.
D, ripensando all’incontro del piano di sotto, fece un balzo da un lato, travolgendo quasi il nano mentre cercava di mettersi al riparo da un eventuale altro nemico. Di contro Warna era scattato in avanti, agitando le proprie armi. La stanza non aveva ospiti.
“Anche ci fossero state trappole, dubito che ora ci siano ancora – disse guardando D – Venite pure!”
La stanza aveva tre letti, ormai fatiscenti, ed un armadio. Non v’erano tracce della canna fumaria del camino della stanza sottostante, e questo al nano, abituato a misurare gli spazi, non pareva normale.
“Qualcuno vada di sotto a guardare se vede qualcosa nel camino”
Fu D a ridiscendere, non senza qualche brivido quando, superato l’ammasso di ossa, entrò nella stanza. A ripensarci doveva già essere crollata, con tutto il trambusto che avevano combinato. Prese fiato ed entrò, raggiungendo il camino ed ispezionandolo accuratamente.
“Non vedo nulla di strano!” urlò ai compagni di sopra. In realtà non vedeva quasi nulla. La canna fumaria si perdeva nel buio dell’interno della parete.
“Allora torna su” Tallerin non era tranquillo nel sapere che il compagno si trovava da solo.

scirono dalla parte opposta, seguendo un’altra stretta scala verso l’alto che passava sopra il corridoio del piano inferiore. Era evidente che dovevano trovarsi in una torre. Questa volta una finestra si apriva sul lato sinistro delle scale, dalla parte opposta a quella da cui erano entrati. Da lì poterono osservare un spettacolo sconcertante. La torre era parte di una fortezza piuttosto ampia. Il cortile era disseminato di resti. La battaglia doveva essere stata furibonda e i residui di due grandi trabucchi, puntati dalla parte in cui doveva trovarsi il Passo del Sussurro, occupavano la parte meridionale. Nella parte occidentale vi era un’altra torre, ed una terza si trovava a nord. Questa, molto più alta delle altre, si infilava nel ghiaccio, che la circondava avviluppandola in una morsa bianca. Sopra le loro teste il ghiaccio si estendeva in una cupola che poi ridiscendeva circondando l’intera fortezza. Dalla parte in cui si trovava la grotta bianca in cui le persone del villaggio di Ladesford avevano trovato rifugio, la loro grotta, si apriva un grosso arco nelle mura: la vecchia entrata di quel maniero. Inoltre una larga scala portava verso l’interno del castello, attraverso un arco che un tempo doveva essere stato chiuso da una grande porta a due battenti. Infine si riusciva a vedere un pozzo al centro dello spazio sotto di loro. Salirono ancora fino a raggiungere una piccola porta che probabilmente si apriva sulla sommità della torre.
Warna decise di sfondarla con un calcio, pronto a scansarsi se neve e ghiaccio si fossero precipitati attraverso l’apertura. La porta andò in pezzi senza opporre resistenza e dietro la luce bianca della volta di ghiaccio gli confermò che erano giunti sulla sommità della torre. Anche qui c’erano i resti antichi di una battaglia. Le ossa sparse per terra mettevano a disagio il giovane mago Yonita che, mentre gli altri osservavano i segni sulle mura prodotti da chissà quale macchina d’assedio, decise che era saggio liberarsi dei cadaveri. Afferrò un bacino, deciso a lanciarlo disotto, ma non appena le sue mani si strinsero sulle ossa, altre due mani scheletriche gli afferrarono saldamente i polsi. Rapidamente le altre ossa presero a muoversi, spinte da una forza oscura, ricomponendo il corpo di un uomo. Con un urlo Elsiem si volse verso Warna cercando aiuto. Senza farselo ripetere due volte il nano sferrò un colpo col suo martello da guerra a due mani. Parti di ossa schizzarono ovunque, ma lo scheletro resisteva e continuava a formarsi. Intorno a loro altri due corpi andavano ricostituendosi e la frusta del capovillaggio si stava facendo udire mentre cercava di afferrarne uno in modo che fosse possibile tenerlo fermo per poi colpirlo con la spada.
I due elfi incoccarono le frecce e mirarono allo stesso scheletro, mandando in frantumi parte del cranio e della colonna vertebrale. Con un altro colpo il nano vece saltare le ossa dello scheletro retto dal mago, facendogli restare in mano il solo bacino. Un attimo e quello prese il volo, finendo nel cortile. Il capovillaggio intanto aveva stretto l’ultimo scheletro con la frusta. Dopo avrlo strattonato per fargli perdere l’equilibrio, gli aveva assestato un calcione mandandolo a schiantarsi nel cortile dopo un volo di quasi trenta metri. Assicuratisi che null’altro che loro stessi si stesse movendo, si dedicarono ad osservare i resti dell’unico corpo che non era volato di sotto. Si trattava di un umano, a giudicare dalla conformazione ossea, alto forse un metro e novanta. Resti di una sopraveste recavano un simbolo araldico. Un unicorno, forse, in campo nero o blu scuro. Il tessuto era così vecchio che quel poco che restava non era certo in buone condizioni.
Galaith si sedette accanto al tessuto.
“Questo mi ricorda qualcosa”
“Sì, anche io credo di aver sentito parlare di un unicorno. Forse durante l’addestramento uno dei maestri ce ne raccontava qualcosa, ma ora non ricordo bene”
Il nano era accucciato accanto all’elfo, intento ad osservare il panno.
“Comunque non credo ci servirà a molto, e certo non mi piace che quelle ossa siano ancora qui vicino” Elsiem le guardava con evidente tensione, massaggiandosi i polsi per quanto era avvenuto poco prima.
“Bello rozzo il nostro amico” sussurrò Warna ai compagni, accennando con un gesto ella testa al capovillaggio.
“Già! Un bracciante tutt’altro che delicato. Prendere a calci quello scheletro, manco fosse un nano!” fu la risposta di D.
“Vi sbagliate, non è affatto un semplice contadino, quello!” Elsiem aveva uno strano sorriso mentre parlava coi compagni.
Ridiscesero, commentando quello che avevano trovato. Superata la porta che dava nella stanza nella quale erano entrati all’inizio, quella il cui pavimento era ancora lì solo per un miracolo, dal punto di vista di D, trovarono un’altra scala che portava sempre verso il basso. Conduceva ad una stanza, un dormitorio analogo a quello dei piani superiori. A differenza dell’altra stanza, però, qui c’erano dei corpi per terra. E non erano resti dell’antica battaglia, a giudicare dal sangue che bagnava il pavimento. Entrarono imprecando, nervosi e tesi. Due guardie di Vitran giacevano esanimi in terra. I loro corpi erano stati squarciati da una arma da taglio, probabilmente l’ascia dello scheletro di prima. Il capovillaggio cercò di guardare le loro facce, o quello che ne restava.
“Maledetti idioti! Hanno disobbedito e l’hanno pagata! Quando sono venuti a cercarvi gli ho detto di tornare ad Eirthan a dare l’allarme, ma loro erano troppo presi dalla caccia che vi stavano dando…”
Tutti si girarono verso il tipo che gli stava vicino.
“A cercare noi?” Elsiem era spiazzato, così come gli altri. Tallerin già si vedeva su un altro carro a dormire sulle assi di legno, per fuggire ancora più lontano.
“Suvvia, non ci sono mica tanti gruppi composti da due elfi di cui uno con i capelli bianchi, ed un nano. Solo il numero degli umani non corrispondeva, ma non ho avuto dubbi al riguardo.”
Non sapevano come reagire a quanto gli stava dicendo.
“Comunque non avevo tempo per i loro inseguimenti. Avevo un villaggio da salvare e qualunque cosa abbiate combinato potrà aspettare. Daro pretendeva che gli dessi uomini per la loro caccia. Mi ha detto lui della caverna in cui ci siamo rifugiati, l'avevano allargata loro l'entrata durante la notte. Mi avesse detto anche di questa fortezza non avrei portato qui tutta quella gente.”
“Beh, comunque è da qui che dovremo uscire!” il nano guardava verso la porta opposta, quella che probabilmente avrebbe portato ancora più in basso nella torre.
“Non è detto – intervenne Galaith – Ci vorrà una settimana, forse una decina di giorni per rimuovere la valanga. La gente per farlo c’è.”
“Ed abbiamo anche viveri sufficienti sui carri.” concluse il capovillaggio.
“Dunque, perché visitiamo questo posto?” Warna sperava comunque di trovare in fretta un’altra uscita.
“Non mi interessa entrare qui, o portarci dentro la gente. Quello che voglio è che nessuno ne esca per mettere in pericolo gli altri”
“Mi sembra logico, Barone” dopo lo sgomento iniziale, Elsiem era passato al contrattacco, deciso a stupire l’interlocutore.
“E tu che ne sai?” rispose questi.
“Nulla, ho solo ho orecchie per sentire e occhi per vedere”
Il Barone lo squadrò per un attimo, valutando la situazione.
“Non fermiamoci qui, proseguiamo” disse infine.

u sempre Warna a colpire la porta mandandola in pezzi. Altre scale, un’altra discesa verso il basso. Questa volta però le scale finivano vicino ad una porta rivolta dal lato del cortile. Qualunque cosa ci fosse stata lì fuori era meglio essere pronti. Gli archi si tesero, le armi vennero sguainate. Anche Tallerin ed Elsiem decisero che era meglio preparare qualche incantesimo. Ancora una volta Warna fece volare via una porta con un poderoso calcio. Nel cortile regnava il silenzio. Si trovavano ancora a circa sei metri di altezza. Una scala circondava la parte esterna della torre, scendendo verso la loro sinistra. Proseguirono più guardinghi che mai, attenti a cogliere il benché minimo movimento dai resti sottostanti. Giunti nel cortile si accorsero che in corrispondenza della porta dalla quale erano usciti, al piano terra c’era un’altra porta. Il nano sperava in un passaggio che attraverso le mura li avrebbe condotti verso l’edificio centrale. Tallerin invece pensava di andare direttamente verso l’altra scala, quella che conduceva al grande arco. Avrebbero dovuto attraversare l’intero cortile, però, e con le ossa sparse sul terreno nessuno se la sentiva. Decisero di dirigersi verso la porta del piano terra della stessa torre. Tallerin stava per aprirla quando questa si spalancò da sola, con un movimento lento e cigolante. Più rapidamente che mai il giovane recitò una serie di formule magiche, tracciando strani segni nell’aria, dirigendo la sua attenzione all’interno. Elsiem, di contro, fu preso da uno strano panico, reazione piuttosto rara per la sua gente. Anche D guardava verso il buio all’interno, strizzando gli occhi.
“Io non entrerei lì” disse
“E perché? Cos’ha che non va?” gli chiese il Barone
“Ho visto qualcosa, o meglio qualcuno. Credo uno spettro. Mi ha fatto cenno di stare indietro. Non so, ma avverto del pericolo lì dentro.”
“Anche io, sta arrivando qualcosa, state attenti!” Tallerin parlava di rado, ma quando lo faceva non era quasi mai a sproposito.
Immediatamente gli archi si levarono, le asce furono brandite e le spade sguainate. Per qualche istante non successe nulla, poi il buio prese forma e dalla apertura uscì in volo un uccello, non più grande di un falco, fatto d’ombra e fumo. La sua sola vista fu sufficiente per far rabbrividire tutti.
“Un demone!” esclamarono quasi all’unisono.
L’uccello si alzò verso l’alto, per poi riplanare verso il basso, passando sui corpi dei caduti. Le ossa presero a vibrare e a ricomporsi; nuovi scheletri si stavano sollevando, ed erano in tanti.
“Uccidete quell’uccello, presto!” urlò qualcuno.
D prese bene la mira e fece partire la sua freccia, sperando che l’energia che Tallerin gli aveva garantito si scatenasse. La freccia attraversò l’aria fischiando, in una traiettoria tesa e precisa, attraversando il corpo dell’uccello proprio al centro. La freccia proseguì il suo volo, portandosi dietro parte del fumo di cui era fatto quell’orrendo volatile. Per un istante sembrò che la freccia non avesse sortito danno, poi, improvvisamente, tutto il fumo di cui la creatura era composta fu attratto dalla traiettoria del dardo, cancellando completamente l’intero essere.
L’urlo di esultanza fu presto soffocato quando il gruppo si avvide che quasi una trentina di scheletri si stava lentamente movendo verso di loro.
“Sulle scale presto!” urlò Warna.
Colpendo quelli più vicini, si mossero all’indietro, ritornando da dove erano venuti. Nel corso del tragitto qualche osso venne maciullato dalle armi del gruppo. Un cranio, per effetto di una spadata, saltò fino alle scale, finendo davanti ai piedi del nano, che liberò la strada con un calcio. Salito qualche gradino, Warna si volse ad affrontare i nemici. Quello che seguì fu un estenuante scontro nel corso del quale molte ossa vennero spezzate. Il nano, fermo sui suoi piedi cercava di fermare l’ammasso di nemici, mentre da sopra piovevano frecce e i nemici venivano colpiti anche da dardi luminosi che partivano dalle mani del mago. Ad un certo punto un enorme scheletro, con un flagello contorto dal tempo, riuscì a colpire una delle corte gambe del nano, procurandogli una escoriazione sulla caviglia che impediva a Warna di rimanere stabile come avrebbe voluto sui propri piedi. I suoi colpi non riuscivano più ad essere accurati ed anche le frecce non riuscivano ad essere così efficaci. Il Barone sciolse la frusta e la legò ad uno spunzone di ferro per poi lanciarsi di sotto. Il gesto atletico fu rovinato da un ruzzolone finale che fece perdere la spada all’umano. Gli altri intanto concentrarono frecce ed incantesimi sugli scheletri che si erano spostati verso il nobile. Raccolta la spada, il Barone falciò le gambe di quello che gli si era avvicinato di più. Intanto un altro colpo poderoso aveva colto Warna in pieno sull’elmo, mandandolo giù dalle scale. Per sua fortuna quei Non Morti non brillavano per rapidità. Stordito cercò il suo martello, sperando che i compagni impedissero a quelli che gli erano vicini di colpirlo. Due gli caddero vicino, ma un terzo riuscì ad avvicinarglisi a sufficienza e lo colpì con una mazza. Con un urlo rabbioso piantò il proprio martello al centro del costato del suo nemico, sbriciolandolo. Galaith scese qualche gradino, continuando a tempestare di frecce quelli che si trovavano dabbasso. Presi da più lati, i Non Morti furono velocemente ridotti in un ammasso di ossa disordinate. D, dall’alto della sua posizione, ne contò ben ventisei. Alla fine però nessuno si mosse più.
“Raccogliamo le frecce e poi ritiriamoci!” disse Galaith, osservando il nano ed il Barone che si trascinavano sulle scale feriti, ma infondo soddisfatti per la loro prestazione.

rrivati in cima il Barone si sedette ansante con le spalle ad una parete, rovistando con una mano sotto il mantello. Ne estrasse un sacchetto di cuoio scuro, ben legato. Da questo poi fece uscire un bel po' di fiori secchi il cui odore riempì l’aria. Ne prese una manciata, misurandone ad occhio una dose, e la porse a Warna.
“Tieni, mastica questi. Ingoiali, non sputarli!”
Il nano li osservò solo un attimo, prima di cacciarseli in bocca con un gesto veloce. Anche il Barone ne ingerì alcuni.
“Cosa è?” chiese Elsiem, evidentemente interessato.
“Sono fiori di Cusamar, vengono dalle brughiere nelle terre dei Clan. Bene, chiudiamoci nella torre a riposare, chiamo qualche persona. Che portino assi, chiodi e martelli. Blocchiamo questa entrata. Non resisterà a lungo, ma ci eviterà sorprese. Qualsiasi cosa dovesse decidere di raggiungerci dovrà fare i conti con questa barriera, dandoci il tempo di prepararci.”
Arrivarono le assi e l’entrata venne ostruita. Il Barone raggiunse la stanza soprastante, dove Elsiem e Tallerin stavano valutando quanto fosse possibile usare i letti che purtroppo erano marcescenti. Meglio un angolo in cui stendere una coperta.
“Dunque, perché vi cercavano?” disse il Barone.
“Chi? Le guardie? – rispose D – Perché volevano metterci dentro per omicidio.”
“Chi avete ucciso?”
“Nessuno”
“Volevano mettervi in prigione per non aver ucciso nessuno?”
“Sì, cioè no, loro volevano addossarci la colpa di un omicidio che non avevamo commesso; siamo vittime della prepotenza, Barone”
“Ditemi i fatti”
“Ecco, circa una settimana fa eravamo tutti presso la Taverna del Falco di Piombo. Allora non ci conoscevamo ancora. Era una sera tranquilla, solo pochi avventori. Noi ed un gruppo di guardie. Alcune di queste avevano alzato il gomito”
“Già, gli umani non sanno bere. Si ubriacano peggio di una donna!” fu il secco commento di Warna.
“In realtà c’era anche un’altra persona, anche questa piuttosto ubriaca. Non so esattamente come è iniziata, ma so che ha cominciato a litigare con una delle guardie. Si sono spintonati a vicenda. Sembrava che fosse finita lì, poi d’improvviso la guardia ha estratto un coltello e l’ha colpito.”
Il Barone li guardava in volto. Fu Galaith a proseguire, però.
“Le guardie immediatamente ci hanno chiuso con la forza in una stanza, disarmandoci. Parlavano tra loro, urlavano. Sembra che il morto fosse figlio di qualcuno di importante. Anche la guardia col coltello era figlia di qualcuno. Dell’oste, vero?”
“Hum, sì, di quel figlio di un cane dell’oste!” grugnì Warna con la bocca ancora piena dei fiori secchi.
“Qualcuno è riuscito a farci riavere le nostre cose – riprese D – e Warna è riuscito a far saltare il lucchetto della serratura con quel suo martello. Quando siamo usciti, due guardie hanno provato a fermarci, ma siamo riusciti a fuggire ugualmente, lasciandole tramortite in terra. Ci serviva un carro e Tallerin ne aveva uno. Lo seguimmo, ma fummo raggiunti da altre guardie. Questa volta non potemmo usare il guanto di velluto.”
“Quante ne avete uccise?”
“Sette, credo. Poi abbiamo preso il carro e ce ne siamo andati. La cosa migliore da fare era andare via senza lasciare tracce, quindi abbiamo scelto strade poco frequentate e ci siamo mossi velocemente, almeno così credevamo fino a ieri, quando siamo arrivati ad Eirthan. Nella locanda della Valanga – D fece una smorfia nel ricordare la bettola – abbiamo sentito un ragazzo parlare dell’arrivo delle guardie di Vitran, e ce se siamo andati.”
“E’ lì che ci siamo incontrati – proseguì Elsiem – Ho guidato il carro perché io non ero stato con loro al paese. Non ero tra i ricercati e se le guardie mi avessero visto, come è stato, non mi avrebbero fermato.”
“Ho visto come combattete. Non siete certo dei novellini – disse il Barone – Perché non li avete eliminati ad Eirthan?”
“Noi non siamo assassini. Se dobbiamo difenderci lo facciamo, ma non siamo assassini.” commentò Galaith mentre controllava lo stato delle frecce che aveva recuperato.
“Bene, il mio nome Norin, Barone di Breiloth – disse alzandosi – Credo che accenderò un fuoco nella stanza col camino. Dopo che avremo riposato, sempre che qualcosa non venga ad infastidirci prima, ci riorganizzeremo. Cercate di dormire un po’.”