Diario di un autore: Infamy


La nascita del progetto Kickstarter, Infamy...dalle dirette parole di Travis R. Chance.

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La nascita del progetto Kickstarter, Infamy...dalle dirette parole di Travis R. Chance.

 

Avendo una mente abbastanza contorta, è difficile per me riuscire a focalizzarmi sul momento preciso in cui questo progetto è partito. Potrei tornare indietro nel tempo e nella memoria, dicendo che è iniziato tutto quando andavo alle elementari e fui selezionato sugli spalti per indossare una replica della tuta da astronauta di Buzz Aldrin. Altrimenti potrei dire che è tutto iniziato con l'acquisto di una copia di HeroQuest nel 1991, un gioco che ho dovuto nascondere ai miei allora molto religiosi genitori, nemmeno avessi portato in casa uno dei cattivi di Indiana Jones in carne e ossa. Forse invece è stata la dieta a base di fumetti, cominciata quando avevo 10 anni e che continua tutt'oggi. Di sicuro, ognuno di questi elementi ha contribuito, ma il vero evento catalizzatore di Infamy è stato più semplice: per caso, pochi giorni dopo il mio 34° compleanno ho riguardato Total Recall (in italiano Atto di forza) di Paul Verhoeven.

Marte, ho sempre avuto una strana preoccupazione rispetto a Marte. Quando avevo 17 anni, prima che internet rendesse le cose più semplici, comprai un libro che teorizzava la possibilità di popolare Marte agli inizi del 21° secolo. Rimasi ossessionato da questo libro e, per estensione, ossessionato da qualsiasi cosa che avesse relazione con Marte. Poi arrivò Total Recall.

 

Vedete, questo film non solo aumentò la mia curiosità  marziana, ma mi introdusse anche alla conoscenza del grande Philip K. Dick, la cui storia We Can Remember It For You Wholesale (in italiano Ricordiamo per voi) ispirò il film in questione. Tutto ciò mi portò poi verso Blade Runner, un film che pagai più e più volte per rivedere. Si passò poi a William Gibson, Neal Stephenson e John Shirley.

 

Non ci misi molto per capire che anche se mi piaceva la fantascienza, in realtà amavo il Cyperpunk.
 

Flash di me seduto nel mio appartamento di Chelsea, mentre guardo Atto di forza, ridendo come un pazzo ad ogni azione sopra le righe di Arnold.

Il film finisce e il successivo pensiero che mi passa in testa è: bisogna creare un gioco da tavolo per questo film.
Poi ritorno a dormire.

Il greco che c'è in me

La mattina dopo mi sveglio e la prima cosa che mi balza alla mente è una frase vagamente di senso compiuto: non sarebbe bello se ci fosse un gioco in cui tutti i metodi per segnare punti fossero informazioni aperte, ma in cui nessuno sapesse chi fa cosa finché è troppo tardi per saperlo?
In effetti, difficilmente questa frase potrebbe suonare come un tocco di genio, ma è stata comunque un momento di illuminazione. Salito al piano di sopra, comincio a scrivere idee alla rinfusa, non sapendo minimamente come riuscire a rendere effettiva un'idea del genere. Mia moglie viene arruolata (contro la sua volontà) per fare una cernita tra migliaia di idee, in maniera tale che, pochi giorni dopo, vede la luce il prototipo di Infamy (all'epoca con un valore estetico equivalente ad una lettera di riscatto degli anni Ottanta).
Non avendo mai creato un gioco in precedenza, ho cercato di distillare l'idea vaga che mi era balenata in testa quel fatidico mattino in un contesto di meccaniche di gioco. Le missioni sono state il primo aspetto ad essere affrontato (il mio cervello era ancora legato a Quaid che corre impazzito su Marte), in seguito, gli obbiettivi e le risorse che i giocatori avrebbero dovuto raccogliere per completarli. A questo punto, volevo ci fossero meno missioni di quanti fossero i giocatori, per creare interazione. Da qui l'idea che le missioni potessero essere viste da tutti, ma che nessuno sapesse con certezza a quale missione partecipassero gli altri.
Sapevo di volere una mappa; voglio dire, questa era l'occasione buona per sfruttare tutte le conoscenze su Marte accumulate negli anni, ma non ero interessato al fatto di avere giocatori che si muovono in un tale ambiente, che stiano sul piano di gioco e si muovono di casella in casella. Mi piaceva l'idea che i personaggi saltassero fuori all'improvviso, scombinando i piani, e ritornassero poi nell’ombra. Volevo che ci fossero spazi dove le persone potessero raccogliere le risorse richieste per le missioni, ma che funzionassero anche come spazi per completare specifiche missioni, causando ancora maggiori interazioni. Volevo però un altro modo di acquisire risorse, un altro fronte in cui i giocatori potessero competere.
In quei giorni ero innamorato del gioco Cyclades. Ero diventato quel tizio che va ad ogni incontro e chiede a tutti se vogliono giocare a Cyclades. Era l'elemento asta presente nel gioco che amavo particolarmente e trovavo così interessante. Senza nemmeno pensarci, ho portato la mia idea di asta nel processo di creazione. Ho pensato che questa idea fosse la migliore per permettere ai giocatori di guadagnare risorse, piuttosto che raccoglierle dal tabellone. Restando in tema, ho pensato che sarebbe stato bello se i personaggi (ora chiamati contatti) che i giocatori cercavano di corrompere fossero gli abitanti più loschi di questo pianeta e anche se il meccanismo non era ancora studiato in stile paga per proseguire, sembrava comunque interessante.
L'ultimo concetto importante è stato, naturalmente, come diavolo si vince? Volevo che il gioco avesse più di un percorso di vittoria, con potenzialmente più strategie per arrivare in fondo. La mia mente ha vagato su questi temi: sconfiggere una gang o costruire la propria? La reputazione, chiamata Rep, è diventata la realizzazione del primo tema, ma non sono riuscito a sviluppare il secondo. Ad un certo punto però è arrivata la parola infamia.
Ho invitato una coppia di amici per provare il gioco e in massima parte funzionava.

Guardando indietro, un nutrito gruppo di idee che sono sopravvissute al successivo anno di test erano già presenti in quella prima sessione: 8 su 13 contatti, la selezione delle azioni simultanee, la mappa e una rudimentale approssimazione dell'asta. Quest'ultima aveva qualche similitudine con una versione futuristica del poker, ma sarei poi passato alla versione paga per proseguire, che è stata ulteriormente rifinita (per essere più chiari: durante il gioco i giocatori devono sacrificare il loro potere economico per poter fare un'offerta. Perdere troppo tempo nel fare offerte contro un avversario, porterà il denaro a diminuire paurosamente, essere inattivi invece farà acquisire ogni cosa agli avversari). C'era un senso di rischio e di eccitazione nel cercare di indovinare cosa l'avversario stesse facendo, sperando di batterlo sul tempo.

Detta schiettamente, sembrava un gioco finito, nonostante fosse ben lungi dall'esserlo.

 

Uno dei miei amici che ha giocato il primo prototipo mi ha suggerito di unirmi ad un gruppo di creatori di giochi da tavolo, che s'incontravano una volta al mese, cosa che ho fatto. Qualche settimana dopo ho completato una versione riveduta del gioco e l’ho subito portata all'incontro in questione. Due sconosciuti l’hanno provata, trovandoci del potenziale nelle idee e nei meccanismi; senza saperlo, otto mesi dopo avrei lavorato con uno di questi tizi per creare la grafica del gioco: Scott Hartman.

Nonostante avessi un orribile e stressante lavoro di uffico e nonostante vivessi nella follia di New York City, sono riuscito a testare e correggere il gioco per otto mesi di fila, imparando sempre di più, creando contatti, incontrandomi con altre persone e infondendo lentamente il mio amore per il Cyberpunk nel gioco.
Il mio obbiettivo era il seguente: trasformare un gioco in stile europeo, in modo tale che potesse piacere ad un pubblico americano, trovare i migliori artisti per renderlo un prodotto al top e presentarlo all'editore con una grafica spettacolare.

Nonostante sia poco comune preoccuparsi dell'aspetto artistico di un gioco che qualcun altro pubblicherà, ho deciso comunque di procedere nella ricerca di qualcuno che trasferisse graficamente i miei concetti. Un reciproco amico mi ha presentato l'incommensurabile Sean Chen, che nonostante fosse già molto impegnato, ha accettato il progetto per lo stesso amore che avevo io per il Cyberpunk. Igor Sobolevsky, altro artista, fu l'ultima tessera del puzzle.

Lentamente ma in maniera continua la colonia di ARES-6 è diventata un mondo pieno di personaggi malvagi e di pericolose missioni, un terreno alieno pieno di aspetti familiari, ma in un certo modo unico.

L'ultimo 20%

Appena prima della Festa del Ringraziamento 2012, mia moglie ed io ci siamo spostati da NYC a Indianapolis, dove due nostri amici, Nick Little e Evan Davis, ci hanno dato una mano con test, bilanciamento e ulteriore rifinitura del gioco: quello che la maggior parte degli editori chiamerebbe fase di sviluppo. Mi sono licenziato dal lavoro stressante, usando i risparmi per impegnarmi in ogni momento possibile nello sviluppo del gioco. Ho mostrato Infamy durante le conventions, iniziando test con il pubblico, alla ricerca di editori. Questo è stato, sotto ogni punto di vista, il momento più difficile dell'intero processo, i giorni del tipo tira una freccia e spera di centrare il bersaglio erano ormai alle spalle. 

Circa un anno dopo, un buon amico, qui a Indianapolis, mi ha messo in contatto con la Mercury Games. Ho impacchettato il gioco, pagato un fantastiliardo di dollari per spedirlo in Canada e sperato per il meglio. Nel giro di un mese la Mercury mi ha espresso il proprio interesse.

Ho firmato lungo la linea tratteggiata e per commemorare l'occasione mi sono fermato e ho guardato Atto di Forza ancora una volta.

Molto di ciò che colpisce, intriga e appassiona rispetto al film è intrecciato nelle meccaniche del gioco e crea il mondo di Infamy. Ho cercato di fare del mio meglio per rendere omaggio a ciò che mi ha ispirato durante la creazione (ad esempio una delle tre fazioni del gioco è la Phobos Kepler Dig Militia...la PKD Militia). E' stato magnifico creare uno spazio virtuale dove poter inserire tutto ciò che ritenessi interessante e uno spazio in cui, nel senso più nerd possibile, sono riuscito a definirmi come persona.

Sono in attesa di vedere se altri fans sulla mia stessa linea d'onda riusciranno a trovare tutte le referenze e gli ammiccamenti presenti nel gioco.

Grazie per la lettura.

Spero che vi divertirete nel mondo di Infamy così come mi sono divertito io a crearlo.

Nota: Travis R. Chance, contattato direttamente per questa traduzione,  saluta tutti gli amici della Tana del Goblin e ringrazia pubblicamente chiunque abbia voglia di supportare il suo progetto su Kickstarter; si scusa per l'eventuale costo delle spedizioni elevato verso l'Italia, ma non dipende da lui!


Fonte: BoardGameGeek News