Game Actually - il gioco davvero

Game actually
Signor_Darcy

Come sarebbe uno dei più famosi film di Natale se fosse incentrato sui giochi da tavolo?

Editoriale
Giocatori

Ogni volta che ci sentiamo tristi, frustrati per il lavoro, o delusi dalle persone, abbiamo bisogno dell'abbraccio di una madre o di un padre, di un figlio o una figlia; di una moglie o di un marito, o magari dei nonni. L'abbraccio ci tiene vivi, ci fa sentire protetti; ma, quando le braccia si aprono e il mondo ci assale di nuovo con la sua asfissiante presenza, è allora che tutto ciò che desideriamo sono un paio d'ore, gli amici, una birra, un gioco da tavolo.

A volte ci dicono che siamo bambini, che dobbiamo crescere; la verità è che non ci capiscono. Come disse quell'altro, in verità sono loro che, smettendo di giocare, stanno arrendendosi alla vecchiaia.

Quando si sta giocando, per quanto ne so, le persone dimenticano per qualche ora i loro problemi e gli attriti con il mondo e, anzi, parlano volentieri di quello che di bello c’è nelle loro vite. Il gioco amplifica le cose belle e dà valore a quegli abbracci.

Possiamo dire che, in un certo senso, il gioco è come l’amore.

Se lo cerchi, il gioco davvero è dappertutto.

Tre settimane a Natale

“Non abbiamo fatto altro che inserire le miniature e sostituire i cubetti con i personaggi di Guerre stellari. Non è una vera, grande, fumante, merda?”
“Totalmente, Billy”, convenne il giovane youtuber guardando disperato il microfono per non dover sostenere lo sguardo beffardo dell'uomo sbilenco che gli stava di fronte.
“Ma non sarebbe meraviglioso se, per questo Natale, il gioco più venduto fosse quello di una vecchia cariatide che non imbrocca un titolo da vent’anni?”

 

IGiullari Patchwork
Jack e Judy
"Ma tu senti questo che dice: vecchia cariatide!", ridacchiò Jack. Nella sala, per la verità non molto piena, era l'unico che prestava attenzione alla radio. Non si accorse della ragazza che gli si stava avvicinando.
“Posso?” chiese lei timida, indicando la sedia di fronte al ragazzo.
“Dici a me?” rispose Jack, imbarazzato.
“S… sì. Posso? Sedermi, intendo. Sai, sono nuova, non conosco nessuno."
“Certo!", rispose lui con un entusiasmo che subitò reputò eccessivo. "Voglio dire… non pensavo che qualcuno…”, balbettò. “Insomma… che qualcuno volesse giocare con me."
“E perché no?” Disse lei, colta da un imbarazzo quasi impercettibile. "Io sono Judy, comunque".
“Piacere. Io sono Jack.”
Passarono alcuni secondi di silenzio imbarazzato; poi lei si sedette. “Che gioco è?”
Patchwork. Lo conosci?”

 

David entrò nella sede della ditta in un freddo venerdì mattina, la città che non chiedeva altro che di cambiare la stanchezza accumulata durante la settimana con l’effimera euforia di un nebbioso fine settimana.
Si era ritrovato presidente senza particolare convinzione, quasi per caso, perché – almeno stando alle parole di quei balordi del consiglio d’amministrazione – lui era l’uomo giusto per dare nuovo lustro a una linea editoriale che cominciava a vacillare dietro i colpi della modernità. Così avevano detto.
David insomma era già nervoso di suo quando la segretaria gli presentò la sua nuova assistente.
“Signorina…”, la salutò lui, glaciale dietro la sua corazza di Armani.
“Ciao. Cioè, voglio dire, salve. Oh, merda…”, disse lei, rossa come un gambero.
David sorrise. "Beh, meno male che non mi hai dato del coglione." Ridacchiò anche lei, ma si ricompose subito.
Lui le fece un cenno con la testa, poi entrò nel suo nuovo ufficio. Solo allora tornò a rabbuiarsi.

 

Kenparker Lisboa
Tony gioca a uno dei suoi "german" preferiti
“Ne ho piene le palle, Tony!” Colin sbottò all’improvviso, esasperato. “Insomma, in ‘sta cavolo di ludoteca giocano solo a German dei miei stivali. ‘Passami un cubetto’, ‘Spendo due legnami’, ‘Oh scusa, ti ho preso la carta che ti interessava’. Ma che due coglioni!”
L’amico scoppiò a ridere, la coca-cola che usciva dalla sua bocca come fosse un idrante rotto.
“Non scherzo, Tony. Io qua non ci metto più piede. Io voglio divertirmi. Voglio esplorare. Voglio sterminare razze aliene. Voglio rollare tonnellate di dadi fino a farmi venire le vesciche sulle mani.”
"Dai, pirla, muovi, ché tocca a te."
"Certo che tocca a me: tocca a me andare in un'associazione seria." Si alzò, prese la giacca e si diresse verso la porta.
"Colin..." lo chiamò l'amico.
Lui si voltò. "Cosa?"
"Lo sai che hai la faccia come il cubo, vero?"

 

Suo figlio era triste da parecchio tempo e passava sempre più tempo chiuso in camera. Daniel non voleva certo intromettersi - era stato un ragazzino introverso anche lui. Però era preoccupato: ormai non passava giorno senza che al telegiornale ci fossero notizie di attacchi di bulli, di percosse a scuola e di altre questioni che coi bambini - e con l'uomo in generale - non dovrebbero proprio avere a che fare. Si fece coraggio e bussò alla porta della camera.
"Ho detto di non disturbarmi!", ruggì lui.
"Come vuoi, Sam", disse Daniei, scuotendo la testa. "Ma, sei vuoi parlarne, sono qua; intesi?"

 

 

Dado Critico birra
Paul si stappa una birra nella cucina di Jamie
L’idea di giocare con lei gli dava un po’ di sollievo, perché quella di Jamie era stata una giornataccia. Una giornataccia che però non aveva intenzione di finire – non ancora, almeno.
“Tu devi essere Jamie” disse lo sconosciuto, la birra in mano che sgocciolava sul pavimento.
Jamie cercò con lo sguardo la sua coinquilina; la trovo in mutande sul divano che armeggiava con una chitarra. Si mosse verso di lei. “Che cosa significa? Chi è lui?”
“Ohi, Jamie, non ti avevo sentito! Lui è Paul, il mio nuovo ragazzo. Suona, sai?”
“L’avevo notato. Senti, ma… si ferma? Creiamo un personaggio anche per lui, se vuole.”
“Cazzo, la sessione! Me ne ero dimenticata… No, guarda, mi porta a un concerto; suona una band molto figa”, disse lei, velando appena il rimorso. Pensò di chiedergli se volesse venire con loro; i suoi occhi cercarono quelli di Paul, che però in qualche modo capì le sue intenzioni e scosse la testa, agitando appena la folta barba. Lei tentennò, poi socchiuse gli occhi.
“Mi dispiace, Jamie.”

 

Hive tovaglia bianca
Il tavolo di "Hive" al matrimonio di Juliet e Peter
Nell’abito da cerimonia che mal celava il sudore sotto le ascelle, che a quell'ora della sera era ormai abbondante, Peter si avvicinò alla bellissima ragazza, le prese il braccio e la accompagnò al tavolo che stava al centro della sala, scostandole la sedia. Sul tavolo Mark aveva già preparato le pedine di Hive, pronte per quella che per lui per e sua moglie sarebbe stata la prima partita da sposati.
Lei si sedette, il sorriso radioso in volto. Come al solito prese le pedine bianche.
Qualche istante dopo, mentre Peter, indeciso su una mossa, appoggiava l'indice destro sulla sua coccinella, Juliet alzò lo sguardo; cercò tra gli ospiti il volto di Mark e, fugacemente, lo ringraziò con un sorriso disarmante. Il migliore amico di Peter aveva reso possibile il matrimonio dei suoi sogni.
Lui rispose con un occhiolino.
Juliet non si accorse della malinconia che velava i suoi occhi.

Due settimane a Natale

“Permetti una domanda personale?” chiese Judy, prendendo due cammelli dalla riserva.
“Certo! Spara.”
“Ti sei mai innamorato? “, chiese lei, arrossendo un po’.
“Molte volte. Ma loro non l’hanno mai saputo”, rispose Jack, il sorriso amaro sul volto, mentre posizionava il dado rosso sullo spazio dei contratti.
Lei rise brevemente e lo guardò con tenerezza;  poi mise due dadi da sei sul viaggio, afferrò una manciata di monete di cartone e fece volare il cagacasette per l'intera via della seta.

 

Rosengald vino
Peter beve un bicchiere di vino
“Buono! Ci voleva”, disse Peter appoggiando il calice sul tavolo.
“Madonna, davvero!”, gli rispose Mark brandendo il suo boccale. "Burp!"
“Ma dai, ma che schifo!”
“Parli proprio tu!”, ironizzò Mark.
“Sei disgustoso come il vecchio porco del gioco che hai comprato ieri, cazzo.”
“Oddio, non esageriamo!”, disse Mark, fingendo di essersi offeso. Poi scoppiò a ridere. "Guarda che è una figata."
"Sì certo, come no?" Peter smise di ridere, si asciugò le tracce di vino dalla bocca; poi cambiò discorso. “Senti: settimana prossima ti va di passare da noi? Potremmo giocare a qualcosa.”
“Da voi? Ehm… va bene, volentieri”, disse l'amico grattandosi un orecchio.
“Non ti piace l’idea? O c’è quell’altro motivo?” Peter si fece serio.
“Ma figurati, scemo. No no, nessun problema, tranquillo. Vengo volentieri.”
“Ci conto, eh. Ma fai il bravo”, disse Peter. Poi si rovesciò un pugno di salatini in bocca, perdendone la metà nella barba.

 

“Il suo tè, signore”, disse la ragazza, sbirciando la locandina sulla scrivania del presidente.
“Grazie, Natalie. Appoggia pure qui”, rispose David, notando la sua fugace occhiata. “Che ne pensi?”
“Oh… mi scusi… scusa, David. Non volevo farmi gli affari tuoi.”
“Mi interessa il tuo parere. Forza, di’ quello che pensi.”
“Io… non so se posso permettermi...."
"Puoi."
"Ecco, insomma... ancora questi vecchi giochi?”
“Spiegati”, la esortò lui, più interessato di quanto desse a vedere.
Lei pensò qualche secondo alla risposta, soppesando bene le parole che avrebbe usato. “Voglio dire: sono giochi storici; ma là fuori è pieno di cose moderne, ci sono nuove meccaniche… e i kickstarter, poi!”
“Tu giochi, Natalie?”, la interruppe lui.
“Abbastanza" tagliò corto lei. "David, scusa se mi sono permessa.”
“Tsk! Dove andremo a finire, di questo passo?” chiosò lui, sorridendole. Lei uscì.
David guardò il manifesto; poi il soffitto. Ripensò al volto di lei. Infine sospirò.
“Oddio. Ci mancava solo questa.”

 

Tal telefonata
Dan risponde a Colin
“Tornerai per le feste, Dan?”, chiese Colin, speranzoso.
“Mi dispiace, amico. Quest’anno no, rimango a Londra", rispose l'amico, la voce appena disturbata da un'interferenza.
“Mannaggia. E io a Natale con chi gioco a Twilight Struggle? Qua ‘sti cazzo di noiosi non toccano un gioco se prevede di parlarsi.” Colin sentì l’amico sogghignare attraverso il telefono.
“Dai, dai, su: ci sarà pure una qualche altra cavolo di associazione nel raggio di un parsec da te, non pensi?”
“Ma sì, forse. Boh, magari faccio un giro.”
“Su con la vita, dai: pensa a me, che dovrò passare tutto il giorno della vigilia a spostare dei cazzo di quadratini di cartone facendo finta che siano unità militari.”
“Dan…”
“Dimmi, Colin.”
“Fanculo.”

 

"Papà...", disse Sam, avvicinandosi a suo padre, seduto in poltrona.
"Dimmi, piccolo."
"Perché l'amore fa soffrire così tanto?"
"Non lo so, Sam", disse Daniel, sentendosi improvvisamente sollevato nel constatare che i problemi di suo figlio, alla fin fine, fossero così dolorosamente normali. "Non l'ho mai capito."
"Non so cosa fare, papy."
"Sai cosa penso, Sam? Che conosco qualcuno che può aiutarci sull'amore - quello puro e incondizionato. Qualcuno che amiamo anche se ci delude e non è più quello di una volta."
"E chi? La mamma?"
"No, Sam: la mamma ci ama sempre, ma queste sono cose da uomini."
"E chi, allora?"
"Che domande: Feld."

 

Killa_Priest scatole
Il ragazzo della ludoteca dà indicazioni a uno spaesato Jamie
Jamie entrò spaesato nella ludoteca, togliendosi il cappotto e la giacca per il gran caldo che emanava quel posto. Fermò un ragazzone con la barba che portava sbuffando quattro grosse scatole e, provando a sembrare giovanile nei modi, gli chiese se lì ci fosse qualcuno che giocasse di ruolo. Questi, con le mani impegnate, sbuffando aria col naso per cercare di liberarsi di una caccola secca, disse al nuovo arrivato che lì nessuno ci giocava; gli indicò però il salone dei giochi da tavolo. “Entra lì, amico: non saranno giochi di ruolo, ma vedrai che qualcosa che ti piace lo trovi”, gli disse prima di proseguire verso un grosso armadio in fondo al corridoio.
Il rosso non si sbagliava, perché Jamie la vide appena mise piede in quella specie di serra puzzolente. Stava giocando con altre persone e, assorta, di certo non lo notò; lui titubò qualche secondo; si allentò la cravatta, poi le si sedette a fianco. Per qualche minuto fece finta di guardare le scatole che aveva davanti: c'erano uno strano gioco coi dadi da montare, l’ennesimo piazzamento lavoratori e il gioco di quel vecchio – quello di cui parlavano tutti sui forum.
Dopo qualche minuto un ragazzino coi brufoli e un diastema importante gli chiese se voleva fare una partita a un gioco di carte; gli spiegò che era tratto da una serie tv e altre cose che a lui non importavano. Jamie rifiutò, scusandosi.
Ma non si alzò, perché in quel momento non avrebbe voluto essere seduto in nessun altro posto nel mondo.

Una settimana a Natale

Stavano giocando a Maria da un paio d’ore quando Peter si alzò per andare in bagno.
Fu lei a rompere il silenzio. “Mark, di’ qualcosa, su!”
“Non so che dirti, in realtà, Juliet.”
“Ti sto così antipatica?”, provò a spronarlo. “So che non abbiamo un grande rapporto, ma…”
Lui non sapeva bene cosa dire, e farfugliò qualcosa che in realtà - se ne rendeva conto - non aveva granché senso compiuto.
“Scusa, non volevo metterti in imbarazzo”, aggiunse lei. “È che ci tengo tanto: sei il miglior amico di Peter e vorrei che anche noi fossimo amici.”
“Sì… certo…” disse lui, cercando di dissimulare la poca convinzione; se ne pentì immediatamente, mordendosi il labbro inferiore.
Lei fece per dire qualcos’altro; poi si fermò, stupita, come colta da un’illuminazione. “Ma... tu mi parli a mala pena!”
Lui chiuse gli occhi e sospirò qualche secondo. “Pensiamo alla partita, ok?”, disse, sentendo il rumore dello sciacquone. “Peter sta tornando.”

 

Agzaroth Monopoly
Nonostante le vendite dei suoi giochi, David ha i primi dubbi
“David, hai un minuto?”, chiese Natalie con un’aria pensierosa che incupì il suo datore di lavoro.
“Certo, dimmi... Anzi, no, lo so: vuoi dirmi che il nuovo RisiKo: Hunger Games non è niente di che”, disse lui, provando a stemperare la tensione.
“In effetti fa schifo. Ma no, non è per quello. Senti, non prendertela a male, ma… ho inviato il mio curriculum a un’altra azienda. Una piccola, che vuole fare cose più moderne, e…”
“E ti hanno preso.”
“Sì", disse lei, guardando il pavimento. "Mi dispiace, David. Davvero.”
“Lo capisco”, disse lui, fingendo una calma che non provava. “Va be’, in fondo il Monopoli sopravvivrà anche senza di te, no?”

 

“Dunque questo Lacerda è il tuo autore preferito, eh?”, le chiese Jamie, cercando di mostrarsi meno incuriosito di quanto non fosse.
“Sì!”, rispose Aurelia. “Fa dei bei giochi. Poi, sai, mia madre è portoghese, quindi… Senti, vuoi provarne uno?”
“No, ti ringrazio. I giochi da tavolo mi annoiano un po'. Anzi, a dire il vero non so nemmeno perché sono tornato qui...”, disse lui, sapendo di mentire: quello era il momento della settimana che preferiva di più. La verità è che avrebbe voluto tremendamente dirle di sì; ma era più forte di lui. La ragazza e i suoi amici avevano l’aspetto sbarazzino dei vent’anni e – se ne rendeva tristemente conto - parlavano una lingua diversa.
“Ti ringrazio, comunque. E… be’, se qualche volta ti va di provare qualche gioco di ruolo…”
“Un’altra volta, magari, eh? Non rimanerci male; ma vengo qua per giocare, non per studiare.” Lo disse cercando di apparire simpatica, ma Jamie si sentì ferito. La salutò, le volse le spalle e uscì nel freddo della strada, dandosi dello stupido.

 

Jack prese coraggio mentre lei, con calma olimpica, stava decidendo se pubblicizzare i succhi di frutta o gli hamburger. “Ti va di uscire con me?”
Judy sussultò, rovesciando il bicchiere d’acqua sulle carte dell'organigramma. “Oddio, cazzo! Scusa.”
“Tranquilla, tanto è uno Splotter, lo puoi solo migliorare.”
Lei rise sguaiatamente. Poi accettò con entusiasmo.

 

Twilight Imperium cinque giocatrici
Cinque fortissime giocatrici aspettano Colin
La nebbia era densa e impediva di vedere anche solo a pochi metri di distanza. L’ingresso della sede di quella sorta di gilda medievale in cemento era peraltro buio e anonimo, e non fu facile da trovare.
Quando fu sicuro di essere davanti alla porta gista Colin entrò, battendo i denti per il freddo.
Si era appena avvicinato al banco del bar - un frigo per le bibite, qualche sacchetto di patatine, delle piadine che avevano visto diverse partite a Mega Civilization - per chiedere informazioni, quando una ragazza molto carina gli si avvicinò. Lui, in preda all'entusiasmo, non perse tempo. “Sono capitato nel posto giusto, eh?”
“Che accento strano!”, disse lei. "Vieni dalla città, eh?" Poi si voltò e alzò la voce: “Jeannie, Carol-Ann, venite a sentire come parla questo!”
Le due amiche arrivarono e Colin le guardò a bocca aperta. “Cavolo, ma qua siete tutte così?”
“Stacey, avevi ragione, questo è proprio strano." disse una delle due. "Scommetto che è uno spostacubetti.”
“Scusa? Spostacubetti? Io sono più american del colonnello Sanders!", puntualizzò Colin, punto nell'orgoglio.
“Uh, ma pensa... allora dobbiamo presentarti Harriet.”
“Chi è Harriet?” Colin non stava più nella pelle.
“Ti piacerà, vedrai: è quella laggiù che sta finendo di preparare Twilight Imperium.”

 

"Joanna non mi degna di uno sguardo, papà."
"Mannaggia."
"La mia vita è finita", disse Sam, tristissimo.
"Ma non dire stupidate, scemo". Daniel diede un buffetto al figlio. "Sai cosa devi fare? Sorprendila!"
"E come?", chiese il ragazzino, dubbioso.
"Non so, nvitala a casa tua e giocate a qualcosa."
"Ma papà! A nessuno della mia classe piace giocare, è roba da vecchi."
"Grazie."
"Scusa. A me piace, lo sai: è bello giocare con te. Ma i miei amici hanno altre..."
Daniel interruppe il figlio. "Sì, sì, i telefonini, instagram, le canne..."
"PAPÀ!"
"Dai, scherzo", disse Daniel cercando di trattenere le risate; poi tornò serio. "Sam, ascolta il tuo vecchio: provaci. TIra fuori, che so... Fantascatti. Ecco, sì: Fantascatti è tipo... tipo Borghese che ribbalta il risultato."

La vigilia di Natale

El Grande Star Wars
Il gioco più venduto di questo Natale è "El grande: Star Wars"
Con una smorfia di malinconico orgoglio Joe gettò il giornale sulla poltrona, smuovendo uno strato di popcorn ormai molli che stava lì da qualche giorno. Il gioco di suo fratello aveva venduto talmente tanto che perfino il principale quotidiano nazionale gli aveva dedicato un articolo.
Fece per buttarsi sul divano, con l’intendo di passare la vigilia di Natale in compagnia di Netflix, quando sentì suonare la porta.
“Ciao, Joe", disse suo fratello.
“Billy! Che ci fai qui, non… non dovevi essere alla cosa... alla Con?”
“Dovevo, infatti. In effetti avrei passato una notte intera a farmi bello con qualche cosplayer di qualche anime sporcaccione, eh eh... Ma sai, è Natale; e, pare che... a Natale... ecco, dovresti stare con le persone che ami e, insomma, la mia vita fa talmente schifo che… beh, si dia il caso che la persona che amo di più sia… tu.”
“Billy, sono commosso... davvero”, disse Joe, trattenendo a fatica una lacrima.
“Dai, sbronziamoci e giochiamo a qualcosa!”, disse Billy per trarre il fratello fuori dall'imbarazzo.
“Ma non al tuo gioco, vero?”
“A quella cagata? Ma nemmeno per sogno! Tira fuori subito Sekigahara.”

 

“Tony, ehi! Mangiacrauti che non sei altro!”, disse Colin entrando nella sala della ludoteca con l’arrogante spavalderia del Danny Zuko di provincia.
“Colin, ciao! Che ci fai qui?", disse l'amico che poi, cercando di dissimulare la sorpresa col sarcasmo, aggiunse: "Nostalgia di Agricola, eh?”
“Dei contadini che figliano solo quando hanno fatto ordine in camera? Anche no, grazie."
"E allora che ci fai qui?", volle sapere l'altro.
"Tony, ho trovato il pa-ra-di-so", disse Colin, scandendo le sillabe. "E anzi, sabato muovi il culo che ci manca un sesto per Here I stand.”

 

Peppe74 Icecool
Daniel ha una grande idea per aiutare suo figlio
"E allora?", chiese Daniel, mettendo in moto la macchina.
"Allora bene. Benissimo!", disse Sam, entusiasta. Dopo le prime partite era venuto il cinema, proiezione del pomeriggio. Aggiunse: "Durante il film mi ha pure dato la mano."
"Molto bene, Don Giovanni. Molto bene. E dimmi, che film era?"
"Chi è Don Giovanni?"
"Lascia perdere...", disse suo padre svoltanto in una traversa della provinciale.
"Mah, certo che sei strano. Comunque... Un film sui pinguini: a lei piacciono molto."
"Sì, eh?", insistette Daniel. Aveva avuto un'idea per la mossa successiva.
Giunti a casa, Daniel afferrò la borsa che aveva già preparato per il cenone coi parenti. "Sam, è ora di sferrare il colpo decisivo", disse al figlio mostrandogli la scatola di Icecool. "Con questo fai una schiccherata clamorosa."
"EH?"
Daniel ridacchiò; poi fece l'occhiolino a Sam e il figlio, pieno d'ammirazione, gli sorrise.

 

David appoggiò sbuffando la rivista sul tavolino di cristallo, la sua faccia scavata sbattuta in copertina. “Elizabeth, portami un caffè, ti prego!”, urlò poi attraverso la porta chiusa.
La nuova assistente entrò, pose il vassoio sul tavolo – grazie, prego – e uscì. David le guardò il bel culo, quasi con un gesto meccanico, senza reale interesse. Bevve in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Fuori le ombre della sera stavano lasciano il posto all’oscurità. Alla fine si decise: fece una rapida telefonata; poi chiese alla segretaria l'indirizzo che gli occorreva e ordinò che gli preparassero la macchina aziendale.
Quella manciata di chilometri, nel traffico della vigilia, gli sembrò eterna; l'attesa lo stava divorando.
Era quasi stremato quando suonò al campanello; gli aprì una bella donna sulla cinquantina, nei cui occhi David riconobbe la curiosità della figlia. Stava per chiedere di Natalie, quando lei comparve sulla scala che saliva al piano di sopra.
“Avete visto dove ho lasciato quella cavolo di borsa coi giochi?” Si bloccò appena lo vide si bloccò. “Oh… David! Ciao.”
“Natalie…”
“Mamma, lui è…”
“Lui è David. L’avevo capito, ho visto la sua foto sul tuo giornaletto”, la interruppe la madre, guardando interessata l’uomo.
“Avevo bisogno di sua figlia. Sa’… affari di lavoro.”
“Certo, certo. Entri pure!”, rispose lei, maliziosa, facendo strada; poi lasciò l’uomo e la figlia da soli e tornò in cucina, sorridendo.
“Allora? Che c’è, hai scoperto I coloni di Catan?", disse ironica Natalie, guardandolo dolcemente.
Lui le sorrise, finalmente felice. Sì" - le prese la mano - "e anzi, ho appena acquistato la tua azienda."

 

TeOoh cartello Puerto Rico
Mark mostra i cartelli a Juliet
Quando squillò il telefono Juliet e Peter erano seduti sul divano e stavano ascoltando il nuovo podcast del forum; questa settimana la discussione era incentrata sulla nuova edizione di un vecchio classico che a Essen, nella sorpresa generale, era andato esaurito in pochi minuti - tanto che l'autore, strambo e genuino, aveva dichiarato che, se le vendite fossero continuate con quel ritmo, a Natale avrebbe girato un tutorial nudo.
“Vado io!”, disse Juliet, alzandosi agilmente.
“Se sono i soliti seccatori mandali a quel paese”, disse Peter alzando il volume del podcast. I due presentatori stavano inorridendo al solo pensiero di quello scheletro completamente defustellato.
Juliet rispose e rimase di sasso sentendo la voce di Mark. "Speravo fossi tu. Guarda la tua mail, non dire nulla a Peter." Riagganciò.
"No, grazie, non mi interessa. Buona serata", disse lei, cammuffando il suo stupore. Riattaccò; poi disse al marito che, già che era in piedi, andava un attimo in bagno. Chiuse la porta, prese l’iPhone dalla tasca, armeggiò qualche istante e trovò il video. Abbassò il volume.
Davanti a un albero di Natale Mark aveva dei fogli in mano. Lei guardò lo schermo, incuriosità.
«CON UN PO’ DI FORTUNA, L’ANNO PROSSIMO» – Mark mostrò il primo, poi lo buttò sul pavimento.
«GIOCHERÒ A DIE BURGEN VON BURGUND CON KEIRA KNIGHTLEY» - Juliet sorrise.
«MA PER ORA LASCIAMI DIRE UNA COSA»
«DATO CHE È NATALE» - uno dopo l'altro i fogli cadevano silenziosi, mentre gli occhiali scuri coprivano l'espressione del ragazzo.
«(E A NATALE SI DICE LA VERITÀ)»
«PER ME SEI MEGLIO DI PUERTO RICO!»
«BUON NATALE, JULIET.» Il video si interruppe. A Juliet venne un po' di magone; i suoi occhi erano umidi.
La ragazza pensò qualche minuto, asciugandosi una lacrima sulla guancia con un foglio di carta igienica. Infine, tirando l'acqua per coprire un profondo sospiro, rispose all'E-mail. «Ti voglio bene, Mark. Anche se mi hai paragonato a un gioco di Friese. Buon Natale anche a te.»
Si risciacquò il bel viso; poi tornò sul divano e abbracciò suo marito.

 

Sava The Gallerist
Jamie studia un regolamento di Lacerda
Quella sera Aurelia non si era fatta vedere. Jamie, ansioso, vide seduto a un tavolo l’uomo con la barba rossa e gli chiese se sapesse qualcosa. Lui gli disse che quella sera la ragazza doveva lavorare - faceva la cameriera in un bar del centro storico. Jamie lo ringraziò e, senza pensarci un attimo, corse via.
Aurelia stava servendo delle Heineken a dei ragazzini - pantaloni sbrindellati, risvoltini, orrende scarpe con il tallone sporgente - quando lo vide entrare, in volto quell’espressione di disagio che aveva imparato a conoscere. Gli si avvicinò.
“Jamie? Che sorpresa!”
“Ciao, Aurelia.”
“Vuoi… vuoi sederti? Ti porto qualcosa?”, le chiese lei, provando a essere professionale per mascherare l’emozione che improvvisamente si accorse di provare.
“No, non prendo niente”, disse lui. “Però, ecco… volevo chiederti se uno di questi giorni ti va… insomma…”
Imbarazzato, Jamie le porse il sacchetto che aveva con lui. Dentro c’era una copia di Lisboa.
Aurelia gli sorrise. “Solo se dopo mi porti a caccia di coboldi, o bel paladino.”

 

Alla fine della quarta ora di gioco Judy si asciugò il sudore con il tovagliolo, inondando le pianure degli Stati Uniti con le briciole degli Oreo. “Dai, forse ce la faccio a salvare la compagnia!” disse, speranzosa.
Jack non ci pensò due volte: appoggiò i gomiti fra le ferrovie e afferrò la mano di lei; Juliet e Peter guardavano sorpresi la scena, inattesa quanto sorprendente.
“Judy, vuoi diventare azionista della mia vita?”
Lei arrossì, felice. “Sì, mille volte sì!”, rispose. "Ora però muoviti, che alle due qua chiudono."

Natale

Game actually finale - 1

I may not always love you;
but, long as there are stars above you,
you never need to doubt it.
I'll make you so sure about it.
God only knows what I'd be without you.

Game actually finale - 2

If you should ever leave me,
though life would still go on: believe me.
The world could show nothing to me,
So what good would livin' do me.
God only knows what I'd be without you.

Game actually finale - 3

God only knows what I'd be without you.
If you should ever leave me,
though life would still go on: believe me.
The world could show nothing to me,
so what good would livin' do me.
God only knows what I'd be without you.

God only knows what I'd be without you.

God only knows.

Commenti

Ogni volta in cui penso che il Signor Darcy abbia dato il meglio di sé, si supera.

Ogni volta in cui penso che il Signor Darcy abbia dato il meglio di sé, si supera.

 

ogni volta che penso, il Signor Darcy si supera.

Auguri a tutti!!!

Ogni volta in cui penso che il Signor Darcy abbia dato il meglio di sé, si supera.

 

ogni volta che penso, il Signor Darcy si supera.

Auguri a tutti!!!

Penso...ed il Signor Darcy si supera! :-P 

Tanti auguri goblin!!!

Penso. Quindi quando mi supero metto la freccia.

Auguri a tutti voi.

Ogni volta che Darcy si supera, penso

Bravissimo letto tutto d'un fiato!

Auguri a tutti i pelleverde!

quando leggo il Signor_Darcy penso a quanto mi supera 

Ogni volta. Darcy.

SUPERA!

Quando supero mi penso!

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