[Saranno Goblins] Dimmi cosa giochi e ti dirò chi sei

Nei giorni scorsi si è sviluppata sul forum una discussione molto interessante che verte sul confronto tra la diffusione dei giochi da tavolo rispetto a quella dei videogiochi. Il dibattito è stato molto interessante, anche se presto purtroppo si è un po’ persa di vista la prospettiva iniziale per convergere verso una sorta di battaglia tra i sostenitori di un genere piuttosto che dell’altro.

Quello che cercherò di fare in queste righe è dunque proprio questo: tentare di elaborare una risposta articolata mantenendo un approccio distaccato al problema.

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Tana dei Goblin

INTRODUZIONE

Nei giorni scorsi si è sviluppata sul forum una discussione molto interessante che verte sul confronto tra la diffusione dei giochi da tavolo rispetto a quella dei videogiochi. Il dibattito è stato molto interessante, anche se presto purtroppo si è un po’ persa di vista la prospettiva iniziale per convergere verso una sorta di battaglia tra i sostenitori di un genere piuttosto che dell’altro.

La premessa della discussione, magari non esplicita ma implicita, è la necessità di evitare un qualunque giudizio di valore circa l'una o l'altra tipologia di intrattenimento.

 

Quello che cercherò di fare in queste righe è dunque proprio questo: tentare di elaborare una risposta articolata mantenendo un approccio distaccato al problema.

 

GIOCHI E GIOCATORI: PERCHÉ GIOCHIAMO QUEL CHE GIOCHIAMO?

Personalmente ritengo che non possiamo evitare di inserire il problema della formazione degli individui quando parliamo delle loro scelte in campo ludico.

È, penso, una considerazione evidente e condivisa il fatto che la grandissima massa di prodotti ludici venga venduta ad un target che comprende prevalentemente membri giovani o quasi-giovani della società.

Sia che si parli degli uni ché degli altri, si ha a che fare con una fetta di popolazione italiana che è nata e cresciuta dopo miracolo economico italiano. La diffusione del gioco quale prodotto si è dunque avviata solo dopo il boom del nostro paese. In questo senso possiamo ritenere che i due elementi principe della nostra analisi, cioè il gioco da tavola moderno e il videogioco, siano contemporanei l’uno dell’altro. Se dovessimo preoccuparci di compiere un’analisi storica della diffusione del gioco da tavolo dovremmo chiaramente porci sotto un’altra prospettiva, esistendo quest’ultimo addirittura da millenni; ma la nostra analisi si concentra già a priori sulla diffusione di prodotti nella massa, considerazione che ci permette di escludere tutto ciò e di concentrarci sul periodo storico dominato, appunto, dalla società di massa.

Ma l’assunto iniziale, cioè quanto il grado di diffusione dei due prodotti trovi il suo principale sbocco nel mercato dei giovani e quasi giovani, oltre a permetterci un confronto tutto sommato puntuale e sensato ci chiarisce anche un altro elemento fondamentale: la nostra analisi dovrà giocoforza concentrarsi principalmente su questi soggetti.

Ci troviamo dunque ad avere a che fare non con la popolazione presa nel suo complesso ma con una fetta di essa, coinvolta suo malgrado in uno dei principali processi cui tutti gli individui hanno a che fare: la propria formazione. È infatti attraverso quest’ultima che ognuno di noi sviluppa i propri gusti e le proprie scelte, ed è dunque su questa che ci concentreremo. Ne risulta evidente, dunque, quanto sia la società con i suoi modelli formativi ad influenzare prepotentemente queste scelte e questi gusti .

 

1.1 I bambini lasciati a loro stessi.

Nel secondo dopoguerra in Italia ci si è di fatto scontrati con il rifiuto formale di qualsivoglia lascito di stampo fascista. L'associazionismo giovanile, fiore all'occhiello del Regime e uno dei principali (e unici) elementi di scontro con la chiesa romana è stato accantonato da qualsiasi partito laico italiano. L'unica attività sul territorio capace di lasciare ancora un segno a tal proposito, pur vittima di una disaffezione che ne ha fortemente minato la diffusione capillare e l’incisività, è stata quella di stampo cattolico, grazie alle attività svolte dagli oratori. In quasi tutti gli altri Paesi, o almeno in quelli europei o “occidentali”, esistono numerose infrastrutture e organizzazioni volte proprio a stimolare l'associazionismo giovanile. Talvolta sono direttamente le scuole (come per esempio nel modello tedesco, o in maniera diversa in quello francese), talvolta organismi autonomi (Youth Club in Inghilterra). L'abbandono completo dell'associazionismo laico è dunque un percorso tipicamente italiano, pur forse non rappresentando la situazione nostrana un vero e proprio unicum.

Questa situazione è maturata così negli ultimi 40 o 50 anni in un sempre maggiore isolamento dei nostri ragazzi rispetto a qualsivoglia figura di riferimento. Se si somma la già accennata sempre minore capacità degli oratori di fare breccia nei giovani contemporanei  - in particolare in città, mentre  nei “paesi” questi mantengono ancora una certa attrattiva – con la continua riduzione del tempo disponibile per i genitori da dedicare ai propri figli, processo al quale dobbiamo sommare senza remore anche lo sfaldarsi del consolidato modello di famiglia allargata in luogo di quella nucleare, il quadro che ne otteniamo è francamente desolante.

Si è trattato certamente di un processo lento ma inesorabile, da considerarsi parte di una continua disgregazione della società che, a mio parere, si è avviata con decisione a partire dagli anni '50-'60. Il risultato è che i bambini di oggi sono sempre più lasciati a loro stessi, in particolare nella loro attività ludica che, a torto o a ragione, è considerata meno importante di quella formativa di carattere scolastico.

Questo processo di carattere sociale ha una diretta e logica conseguenza nell’attività ludica dei bambini e dei giovani che è l’oggetto principale della nostra analisi. È evidente ora quanto l’assenza quasi di figure adulte o comunque di maggiore età che assistano e accompagnino i ragazzi nelle loro attività ludiche già nell’infanzia infici terribilmente lo sviluppo di determinate capacità; banalmente nessuno nasce imparato. Nel bambino di giovane età è assente, e non potrebbe essere altrimenti, la capacità di auto-organizzazione necessaria per applicarsi in un gioco. In altre parole nei primi anni di età non si può immaginare che un bambino riesca da solo ed in mancanza di una guida esperta a sviluppare l'abilità e la capacità di partecipare ad un gioco complesso e strutturato, figurarsi quella di organizzarlo in autonomia.

Un'attività di questo tipo va pianificata, e pianificarla è molto molto difficile.

Ciò però non significa che i bambini di oggi abbiano perso una capacità che prima avevano; tutt’altro. Il problema non è che non abbiano le potenzialità per apprendere questa competenza, quanto che semplicemente manca, molto spesso, qualcuno che li accompagni in questo apprendimento.

 

Ne consegue che questo mancato apprendimento di un’abilità in età infantile si trascini successivamente nella crescita. Non possiamo stupirci che ciò che per molti di noi è banale, come partecipare ad un gioco organizzato e strutturato, sia piuttosto difficile per molti adolescenti.
In un percorso di crescita come quello che stiamo idealmente immaginando possiamo capire come semplice gioco da tavola possa talvolta diventare per un adolescente un vero e proprio peso, dando magari adito a episodi di scoramento e frustrazione.

È ovvio quello che io sto qui descrivendo è semplicemente un caso esemplificativo: qualunque bambino che diventa adolescente, giovane adulto e poi adulto non perde assolutamente la possibilità di raggiungere questa competenza, che è tutto sommato piuttosto basilare. Chiunque può prendere dei giochi da tavola a 40 anni e cominciare a giocarci con soddisfazione e grande passione. Ciò non toglie però che le prime esperienze ludiche saranno decisamente più fruibili per chi è stato accompagnato gradualmente in questo percorso già dalla sua infanzia, e soprattutto che nella maggior parte dei casi un avvicinamento in fase avanzata al gioco strutturato darà facilmente come risultato un rapido rifiuto.

 

1.2 Nativi digitali.

Si parla molto spesso di "nativi digitali", e molto spesso lo si fa a sproposito.

Con nativo digitale non si intende, almeno in letteratura, un ragazzino che essendo nato nel periodo della digitalizzazione di massa sia in grado di utilizzare facilmente strumentazione elettronica. Piuttosto il fuoco dell'attenzione viene spostato sulle capacità cognitive e intellettive di questa particolare categoria di persone.

La facilità di accesso a piattaforme elettroniche ha infatti completamente modificato il nostro approccio ai problemi e la nostra ricerca di soluzioni.

Attraverso un computer o un dispositivo di carattere digitale il raggiungimento di una particolare soluzione viene in linea di massima ottenuto attraverso un meccanismo di prova ed errore (trial and error). Ciò significa che per apprendere qualcosa con un computer è possibile procedere per tentativi casuali e spesso rapidissimi, attraverso i quali più o meno rapidamente si ottiene la una soluzione di un dato problema.
Faccio un esempio banale: prendiamo per ipotesi che io mi metta alla tastiera e debba scrivere una "a" senza saperlo fare. Il computer mi mette davanti ad un certo numero di risposte, io le provo a caso e finalmente ottengo quanto voluto. Ho raggiunto una soluzione attraverso un processo per tentativi. Davanti ad un foglio di carta, invece, per scrivere una “a” io devo essere in grado di “progettarla”. Devo precedentemente, cioè, nella mia mente, immaginare una risposta; solo successivamente potrò così tentare di applicarla. Le possibili forme che la mia mano può disegnare sono infinite, a differenza dei tasti del mio computer; se non avessi la minima idea di quanto devo compiere potrei tracciare infinite linee, consumare migliaia di penne e milioni di blocchi di carta senza essere riuscito a tracciare una semplice “a”.

Lo strumento elettronico va però anche oltre: esso è in grado infatti di segnalare l'errore nel momento stesso in cui viene compiuto, laddove non parliamo ancora di strumenti di autocorrezione. Facciamo ancora un esempio di quanto differisca in questo senso l’esperienza formativa su strumentazione elettronica da quella classica.
Immaginiamo che abbia il compito disegnare un circuito elettrico su un software. Un qualsiasi programma adatto all’uso sarebbe in grado indicarmi immediatamente eventuali errori e di evidenziarli in modo chiaro e inequivocabile. Probabilmente perfino io stesso, che non ho assolutamente nessuna conoscenza in campo elettrico e sono colpevolmente ignorante, potrei riuscire disegnare un circuito abbastanza complesso procedendo unicamente per tentativi casuali.
Immaginiamo al contrario di essere in laboratorio e di dover costruire fisicamente lo stesso circuito di cui sopra. Nella mia ignoranza io potrei provare a combinare il materiale in dieci, cento, mille modi differenti, ma molto probabilmente mi troverei di fronte sempre allo stesso identico risultato: una lampadina spenta. In questo caso per ottenere un successo devo seguire un percorso completamente differente. Dovrei andare a prendere un buon libro – o un suggeritore, magari un maestro – studiarmi un po’ di teoria e dopo aver fatto questo applicare questa teoria al mio circuito. Ho, cioè, fatto qualcosa di profondamente differente che procedere per prove e tentativi, ho progettato facendo affidamento su risorse pre-esistenti.

Non vorrei soffermarmi alla banale critica che anche un computer può essere utilizzato in questa maniera. Questo è certamente vero, ma non è quanto il computer ci porta di per sé a fare e, cosa ancora più importante, non è la modalità con la quale i bambini utilizzano lo stesso.

Non spetta certamente a me il facile compito di sottolineare quanto l’esistenza di questo strumento sia una risorsa immensa per l'uomo; piuttosto mi preme invece sottolineare come esso incida fin dalla prima infanzia sulle modalità con le quali i giovani contemporanei approcciano il mondo ed in particolare ogni occasione cui si trovano posti di fronte ad una situazione in cui venga chiesto loro di mettere in campo le competenze di problem solving.
 

Avendo a che fare spesso con i bambini ci potremmo rendere conto in maniera inequivocabile di quanto la capacità di progettare una soluzione, lungi ovviamente dall'essere scomparsa, è però sempre meno scontata e quanto questa sia sempre più sostituita da una risposta basata sul trial and error.
Osservare le loro attività più semplici sarà già significativo.
Lavoro in una colonia estiva da sette anni e fin dall’inizio della mia attività ho fortemente spinto con l’organizzazione affinché si spingesse sulla proposta di giochi da tavola, attività che essi  svolgono, tra l'altro, con un entusiasmo enorme.
Il risultato di una semplice osservazione è chiarissimo: i bambini sono assolutamente brillanti nei giochi tattici, laddove il feedback di una determinata scelta è immediato, come per esempio nel gioco dell’Uno. Sono invece fortemente deficitari in quei giochi con una preponderante componente strategica; non possiedono, infatti, alcuna capacità di progettare e di immaginare il risultato di alcune mosse sul lungo periodo.

La capacità progettuale è considerata da sempre una competenza che viene acquisita da sempre in una fase più avanzata della crescita. Ciò non toglie però che essa non nasca dal nulla, ma dev’essere allenata e stimolata affinché sia acquisita e padroneggiata pienamente. Negli anni ho riscontrato differenze quasi allarmanti tra bambino e bambino rispetto a questa capacità, la cui padronanza non ha nulla a che vedere con l’intelligenza in senso stretto; si tratta semplicemente di bambini che hanno avuto un percorso formativo nel senso più ampio del termine completamente differente gli uni dagli altri. Attraverso alcuni giochi particolari, un bell’esempio potrebbe essere il mai abbastanza lodato Giro del mondo degli Animali, possiamo stimolare facilmente l’acquisizione di una competenza – il cui utilizzo che va ben oltre quello che se ne fa nei giochi – la quale sta velocemente scomparendo dai nostri bambini.

 

1.3 Videogiochiamo!

La logica conseguenza dei due punti analizzati precedentemente è secondo me chiara. La maggior parte dei bambini andrà alla ricerca di un intrattenimento che risponda alle proprie necessità. La prima è che non può essere poco strutturato e organizzato perché spessissimo manca chi aiuti, almeno agli inizi, a destreggiarsi con queste difficoltà, la seconda è che il meccanismo stesso del gioco deve in qualche modo adeguarsi alle sue capacità e alla sua attitudine a rispondere ai problemi attraverso il modello del trial and error.

Come può il gioco da tavola rispondere a queste esigenze? Il gioco da tavola richiede una strutturazione complessa, l'applicazione di regole astratte ed il rispetto delle stesse, ottenute attraverso l'applicazione costante delle proprie capacità ed in mancanza di un controllore esterno. Richiederebbe per forza , in particolare in età infantile, la presenza di una figura adulta che molto spesso manca. Anche successivamente se il bambino non ha mai acquisito le abilità non sarà in grado di compiere questa attività in autonomia.

Inoltre nello svolgimento dello stesso il gioco da tavola facilmente non rispecchia l'attitudine cognitiva del bambino (trial and error) perché richiede una riflessione attenta e astratta sulla partita e sul suo svolgimento per ottenere un miglioramento delle proprie capacità.

Ho visto bambini di 8-9-10 anni giocare a Coloni di Catan Junior con grande passione ma sostanzialmente "a caso", senza capire perché il maestro o il bambino più bravo vincessero partita dopo partita. Anche in questo caso ribadisco che la controprova è costantemente presente quando un bambino più abituato, anche se magari più piccolo, si siede al tavolo ed è in grado di cogliere fin da subito il nocciolo del problema.

Ma di chi è la “colpa”? È forse del bambino?

E possiamo stupirci se poi quando avrà 15 anni continuerà a mantenere le proprie abitudini e non giocare da tavolo? No.

E a venti?
E a trenta?

 

Siamo arrivati finalmente al videogioco.

Il videogioco non è una chimera da odiare, o una sorta di idolo pagano a cui i nostri bambini sono prostrati. Il videogioco è semplicemente una risposta alle loro esigenze.

La presenza di un'infrastruttura formata e ben definita garantisce all'attività ludica un'organizzazione stabile pur in mancanza di una figura – adulta o non – che controlli il buono svolgimento delle attività. Le regole le controlla l'elaboratore, non serve l'intervento umano.
Ma forse ancor più importante è il fatto che nel videogioco si ritrova giocoforza quel modello di apprendimento che lentamente sta diventando l'unico del giovane contemporaneo. I videogiochi ultimamente stanno sempre più privilegiando questo modello, anche laddove prima magari il mondo videoludico era più sfaccettato: salvo, provo, ricarico. All'infinito.
Molto spesso è possibile leggere di commenti infervorati di vecchi videogiocatori che disapprovano la tendenza delle case di produzione a pubblicare prodotti sempre più facili e user-friendly. Anche in questo caso però il meccanismo è sempre lo stesso, il mercato vuole assolutamente questo:

Salvo, provo, riesco: vado avanti. Salvo, provo qualcosa, fallisco, carico. Riprovo una soluzione diversa, ricarico.

 

Tutta questa situazione dà il la ad una sorta di circolo vizioso che diventa sempre più difficile da spezzare. L'immediatezza del videogioco non ha nulla di negativo, ne è semmai una caratteristica. Vi sono aspetti molto positivi nei videogiochi e nella strumentazione elettronica più in generale. Il problema sta semmai nel saper accostare l'utilizzo di videogiochi con quello di giochi di tipologia diversa, ed in questo piccola discussione ci siamo limitati a fare l’esempio dei giochi da tavola, ma ovviamente il discorso potrebbe essere allargato ad altri tipi di attività ludica.

Che si giochi troppo ai videogiochi è colpa dei videogiochi?

Assolutamente no.

 

Quante volte avrete sentito frasi sulla falsariga di –  “Eh, ma i bambini di oggi sanno fare solo una cosa; guardare la tv!” – oppure –  “I bambini giocano solo con il computer!” – e  ancora – “I bambini???? Non hanno più fantasia”?

Quante volte?

E quante poi avete pensato: “Certo, è proprio vero…”

 

È la prospettiva sbagliata. Permettetemi di correggere:

 

“Eh, ai bambini di oggi insegniamo una cosa sola; guardare la tv!”

“Ai bambini di oggi facciamo giocare solo con il computer”

“I bambini!!!!!!! Non siamo più capaci di valorizzarne la fantasia”.

 

La mia opinione di educatore professionista (animatore e professore) è che da qui dobbiamo iniziare. Dobbiamo (ri)cominciare a dare ai bambini quello che meritano e quello di cui hanno bisogno, ci accorgeremo così che videogioco e gioco da tavola potranno tranquillamente andare a braccetto, e andranno a sommarsi quale componente fondamentale alla formazione degli individui.

Il ruolo formativo del gioco, in tutte le sue forme, penso sia quanto di meno discutibile si possa parlare.

Commenti

Complimenti, lettura interessantissima.

Hai fatto veramente un bell'articolo.
Grazie

Un articolo che ho letto con molto interesse, scritto bene e che condivido.

Articolo da far leggere a tutti quelli coinvolti nell'educazione di un bambino, oltre ai genitori ovviamente.

Bravissimo! Veramente bello ed interessante
Grazie :)

Condivido appieno le conclusioni relative al modo di approcciare l'educazione ludica dei bambini: meno TV, meno videogiochi e più giochi da tavolo o comunque che favoriscano la socializzazione.
Grazie del prezioso contributo!

Bravissimo, tika! ;)

Brao Filo!
un articolo da pro...
Ne riparliamo quando ti darò la rivincita a Le Havre!

Ottimo ed interessante articolo. Una realtà.

Complimenti per l'articolo, davvero una lettura preziosa!
Sono educatrice anche io, particolarmente in attività di animazione e progetti para-scolastici, e devo dire che condivido tutto quello che è stato scritto. Il discorso potrebbe ampliarsi all'infinito, inserendovi anche l'aspetto fisico/abile dl gioco e le ripercussioni che hanno le scelte degli adulti sulla motricità e la sicurezza dei bambini: ormai si trovano col binocolo le scuole che permettono ad esempio ai bambini di correre a ricreazione; l'ultimo aneddoto su tale questione riguarda proprio la scorsa settimana: avevo programmato di "Iniziare" i bambini (scuola primaria) ai giochi da tavolo ma è risultato fisicamente impossibile, avendo loro un bisogno evidente di scaricare l'energia correndo in cortile (di pietra, manco a dirlo). Inutile e sciocco non ascoltare questo loro bisogno!
Un'altra importante chiave della questione è l'associazionismo, condivido in toto: c'è sempre meno tempo per trovarsi nelle condizioni di "stare insieme in gruppo", che, riguardi ai nostri amati boardgame, è una condizione fondamentale per sperimentarne tutte le potenzialità. Quando questo succede le sorprese fioccano: i bambini riescono a trovare quasi subito eventuali "bug" dei meccanismi, per non parlare del modo sorprendente con cui riescono a cambiare ed inventare nuove regole in completa autonomia... sono convinta che gli inventori di giochi troverebbero pane per i loro denti nell'osservarli!

Grazie per questa lettura ;) !

Ho letto con vero piacere questo articolo. Personalmente, vivo con preoccupazione il fatto che, mediamente, le ultime generazioni vivano sotto la facile influenza dei videogiochi, dove le regole sono imposte dal programmatore e il bambino le acquisisce passivamente, subendole perchè non può fare la tale mossa. È tale passività nelle norme da rispettare che mi fa riflettere: nel gioco dal vivo (da tavolo, a nascondino, ecc...) le regole sono fatte rispettare dagli stessi giocatori, i bambini nel caso specifico, e sono loro che conoscono le regole e valutano caso per caso se è giusta o meno la mossa fatta dall'avversario. C'è uno stimolo maggiore in quest'ultimo caso, rispetto al videogioco. Osservando vari nuclei familiari, mi sono accorto che i videogiochi sono dati in mano ai bambini per "toglierseli dai piedi", ma anche per la pressione che i bambini subiscono dai loro coetanei nell'ambiente scolastico, dove devono avere quello che gli altri hanno, per essere ammessi e accettati dagli altri. E qui mi chiedo dove sia l'essere punto di riferimento di molti genitori: avere la comprensione del problema, la forza e il tempo da dedicare al proprio figlio per non farlo allineare a quello che gli viene sollecitato/imposto dall'esterno del nucleo familiare.
Ho visto un bambino di quasi nove anni giocare in modo eccellente a Caylus (devo prendere il rosa e il marrone e mi ci compro quella casa; oppure: vendo il rosa perché ne ho molti e faccio i soldini!), e un altro dire che Carcassonne era troppo difficile! E, ancora, una madre farsi sbloccare il cellulare dal figlio di cinque anni perché era più volece di lei! Percorsi educativi diversi, ma anche teste diverse.

Innanzitutto complimenti per l'articolo, io come educatore non-professionista (da svariati anni sono capo scout) ho più volte avuto modo di verificare la mancanza di capacità progettuale di alcuni ragazzi a dispetto di un elevata coesione procedurale; tuttavia ritengo (forse perché preso in mezzo tra il lavoro in ambito informatico e la passione per il gioco da tavolo) che queste "metodologie di gioco" dovrebbero integrarsi tra loro nell'ambito della progettualità sul ragazzo.
Credo che il gioco possa e debba essere parte integrante nella crescita dei ragazzi, e che tale strumento dovrebbe essere adottato in primo luogo dai genitori. Mi fa tristezza a volte vedere bambini di 10 anni che non sanno giocare secondo la formula del "facciamo che..." pur avendo forti competenze in ambiti specifici perché i genitori li hanno sempre "parcheggiati" di fronte a TV o PlayStation.
In ambito educativo ogni gioco ha (ma qui educatori professionisti e/o psicologhi dicano se sbaglio, io questo ho tratto dall'analisi della realtà che mi trovo innanzi) una sua età per essere introdotto, e con questo non intendo che dopo non si possa continaure o che non si possa avvicinarsi più avanti:
- Il gioco di Ruolo (purché introduttivo) nell'età dell'infanzia per stimolare la fantasia, il pensiero astratto e facilitare la comprensione del concetto di regola; in questa fase si elabora assieme agli amici con l'aiuto di un genitore (il proprio o quello di uno degli amici che partecipano al gioco) sul principo di regola (se non la rispetto non ci si diverte più, ne consegue che scelgo di rispettarla) e di correzione fraterna (se sbaglio e non rispetto una regola sono i miei amici a chiedermi di stare più attento e dunque tale limite diventa più sentito)
- Il gioco da Tavolo (meglio se tedesco) nell'età dell'adolescenza per aiutare la capacità progettuale, la comprensioe e la rielaborazione di concetti astratti.
- Il gioco da Tavolo (americano) e il videogioco nella fase "intermedia", il primo per migliorare la capacità reattiva del ragazzo di fronte ad un imprevisto (tiro di dadi sfortunato, carta sbagliata, ...) il secondo per iniziare il ragazzo alla capacità di apprendimento procedurale (trial-and-error).

P.S. chiedo scusa se magari non sono stato troppo comprensibile ma sto scrivendo il commento di fretta in pausa pranzo.

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