Mi dispiace ma non sono completamente d'accordo.
Segnalo un problema: il rispetto delle regole. Mentre in un competitivo il problema non sussiste (anche in giochi in cui è facile imbrogliare come Semenza), in un collaborativo mi è capitato spesso di trovarmi in una situazione tipo:
- ...e con questa mossa uccido il mostro xy...
- veramente non puoi perché c'è quella regoletta...
- ma si, dai, non fare il pignolo, facciamo che è morto...
nessuno protesta, e il gioco crolla come un castello di carte. Non c'è niente da fare, finisce sempre così.
Il dibattito sui cooperativi è sempre stato acceso nel mio gruppo, ancora di più con l'avvento di Pandemic Legacy. Siamo esattamente spaccati a metà: due li detestano, due li amano. Ma leggendo un po' in giro, noto che il mio piccolo gruppo è specchio di una realtà più grande.
C'è chi detesta i cooperativi a priori, ritenendoli poco da gamer, poco stimolanti come difficoltà e impegno, sempre proni al leader dominante.
Ovviamente per ognuna di queste obiezioni c'è una risposta.
1) Poco da gamer
Perché? Perché l'avversario è il gioco e non una persona in carne ed ossa? Le decisioni da prendere contro Pandemia o Robinson Crusoe o Gears of War sono forse più banali di quelle da prendere contro un giocatore umano? Dà forse meno soddisfazione vincere una partita? Forse non avete mai provato un collaborativo veramente tosto o con un livello di difficoltà adeguato...
2) Poco stimolanti come difficoltà e impegno
Anche qui, provate qualche collaborativo difficile, giocate disattenti e rilassati e poi sappiatemi dire. Personalmente la prima vittoria a Pandemia livello 10 è una delle soddisfazioni che ricordo con più piacere della mia carriera ludica.
3) Soggetti al problema del leader dominante.
Ne parlammo qui e abbiamo visto come molti collaborativi moderni trovino da soli una soluzione a questo, se non ci pensa la presunta intelligenza dei giocatori al tavolo (confrontarsi non significa imporsi). Peraltro, anche se alcuni titoli fossero funestati dal leader dominante, non è che per questo vada scartata un'intera categoria. In fondo, se alcuni giochi con punti azione sono soggetti a paralisi da analisi, non è che buttiamo a mare a priori tutti i giochi con punti azione. E questo vale per tutti gli altri numerosi difetti riscontrabili nei vari generi di giochi da tavolo.
Ma è proprio dal terzo punto che voglio partire per “dimostrare” come i collaborativi puri abbiano semmai qualcosa in più e non qualcosa in meno dei gdt competitivi.
Quando Caillois ci ha parlato di giochi, ha evidenziato quattro componenti essenziali.
Vediamo se le ritroviamo nei cooperativi puri:
1) Agon (competizione)
La competizione è la sfida, ciò che mantiene viva l'attenzione e la concentrazione al tavolo. Il cooperativo si basa sulla sfida contro il gioco, la mente umana contro l'intelligenza artificiale ed è tanto più alta quanto più competitivo viene tarato il livello di difficoltà.
2) Alea (caso)
Sebbene in alcuni giochi al posto di caso sarebbe bene parlare di “imprevedibilità” (quelli in cui non interviene alcun elemento esterno alle scelte dei giocatori a definire questo aspetto), di sicuro non è il caso dei cooperativi puri, in cui la randomicità dell'AI – mediata da una certa predicibilità, azzardo e valutazione statistica – costituisce la sfida viva per i giocatori.
3) Mimicry (mimica)
Potremmo anche esprimerla come ambientazione o simulazione, comunque la tendenza a calarsi in un mondo fittizio e fantastico, regolato da leggi proprie e definite. Molti collaborativi puri hanno una forte ambientazione e fanno appunto leva su coinvolgimento e immedesimazione.
4) Ilinx (vertigine)
Il panico, il senso di cerchio magico e coinvolgimento a tutto tondo che il gioco dà, la creazione di una realtà alternativa forte e percepibile, per quanto effimera e transitoria.
Ma quello che i cooperativi puri possono dare in più, e in misura maggiore proprio quelli a rischio di leader dominate, è un quinto elemento* che potremmo chiamare
5) Socialità (sociality)
Che è scontata nei giochi da tavolo (o giochi di società...) che mettono al tavolo più persone e le “costringono” ad accettare patti sociali comuni, ad abbracciare tutti assieme i quattro punti di cui sopra, pena la “rottura” del patto, del cerchio magico e, di conseguenza, del divertimento.
Ma questo, obietterete, non è prerogativa dei collaborativi puri: tutti i giochi da tavolo hanno la socialità alla base della propria costituzione. É vero, ma il cooperativo puro costringe ad accettare questa sociality a un ulteriore livello rispetto a quello extra-game dei comuni competitivi. La trasferisce infatti anche in-game. Non solo dobbiamo stringere un patto sociale di collaborazione con gli altri giocatori per rispettare le regole, non barare, restare concentrati, calarci nell'ambientazione (socialità extra-game), ma siamo obbligati anche a creare una socialità in-game, se vogliamo che il collaborativo puro funzioni bene e sia soddisfacente per tutti. I nostri personaggi devono collaborare, ascoltarsi, prendere decisioni assieme, essere tutti protagonisti della vicenda narrata. La vera sfida che il collaborativo puro pone ai gamers è questa: superare il problema del leader dominante con le proprie forze, con la propria maturità di giocatori, trascendere l'”egoismo” tipico dei giochi competitivi e raggiungere un livello più alto di condivisione e di socialità.
Pensateci, voi gamers che tanto disdegnate i cooperativi puri: forse siete voi a non essere ancora pronti per la sfida che vi viene lanciata...
* Lungi da me aver davvero la pretesa di aggiungere un quinto elemento all'analisi di Caillois. Sarebbe quasi come voler scrivere un quinto vangelo. L'analisi mi serve da spunto e provocazione per scardinare alcuni pregiudizi che leggo in giro sui cooperativi e che, a mio parere, non sono assolutamente avallabili.