Classifica personale di Fabrizio Bellini

Titolo Voto giocoordinamento crescente Commento Data commento
6 nimmt! 10,0

Ma si può dare un 10 ad un gioco?!? Be', io a 6 nimmt glielo do, perchè non ci trovo davvero difetti e ci ho fatto impazzire - sempre - tutti quelli ai quali l'ho proposto: una partita tira l'altra, tanto che spesso questo filler, antipasto od ammazzacaffè che sia, diventa la portata principale della serata anche di fronte a primi piatti corposi. Regole semplicissime, grandissima scalabilità (a me piace anche in due, anche se in gruppo è meglio), aleatorietà media o bassa a seconda del numero di carte assegnate di partenza (si può anche variare, rispetto alle dieci carte assegnate da regolamento, ad esempio giocando in cinque con venti carte a testa), dipendenza linguistica nulla, tattica e strategia semplici, ma non così tanto da non renderlo insidioso e le scelte a volte piuttosto subdole... e quando finisci con zero carte prese, la soddisfazione personale è enorme.

Poi, non so le altre edizioni, ma io ho la jubilaumsedition che ha carte telate resistentissime all'uso anche senza imbustarle, ed una scatola elegantissima.

Alcuni, all'inizio, faticano a capire che le teste sono di toro (l'ultima volta m'hanno detto che erano dei ragni) ma non mi sembra questo un difetto ;)

Wolfgang Kramer al suo meglio, almeno per me che amo i giochi la cui complessità è inversamente proporzionale al numero di regole, e che per questo considero particolarmente "eleganti".

21/01/2017
Citadels 9,9

E' vero, con più di cinque giocatori tende ad essere un po' lento e con più di sei diventa difficile mantenere il controllo su ciò che succede nell'ombra, ma... non mi stancherò mai di giocarlo!

Uno dei miei due, tre giochi favoriti, sempre apprezzato dai compagni (giocatori esperti o non) che di volta in volta l'hanno provato: ha il pregio di toccare le corde sia di chi ama la strategia, sia di chi ama il bluf e l'interazione, anche se poi il pregio principale - a mio avviso - è proprio quello di dover "leggere nella mente" degli altri giocatori, per poter ottenere la vittoria... vittoria che non è poi sempre così importante: a volte è abbastanza gratificante anche solo riuscire a "colpire" con assassino o ladro un giocatore che credeva di aver compiuto una scelta così astuta da metterlo al sicuro, o comunque riuscire a calare qualche carta di alto valore. Suppongo che giocatori carenti in fatto di comprensione psicologica dell'avversario possano avere la sensazione di giocare alla cieca, perchè a Citadels non basta la logica, serve anche intuizione nel capire gli altrui meccanismi mentali e quindi prevederne le scelte... ma si rimedia di solito facilmente con un minimo d'esperienza. E' quindi ben diverso giocare con amici che ben si conoscono o con semisconosciuti, ma entrambe le modalità offrono occasioni di scoperta e divertimento.

Il fattore fortuna c'è (soprattutto nella pesca dei territori e nell'ottenere il bonus colore), ma è una sfida in più per il giocatore, che quasi sempre può aggirarlo con la giusta strategia nella scelta della carta personaggio.

Indispensabile l'espansione Dark City, sufficiente, per la mia lunga esperienza come giocatore di Citadels, a garantire una longevità straordinaria, la personalizzazione del gioco e l'impossibilità di annoiarsi anche di fronte a molte partite di seguito.

Seppure, nei primi tre minuti di spiegazione delle regole ai neofiti, gli sguardi siano di sconcerto, e verso la fine qualcuno si gratti la testa temendo di non riuscire a memorizzare tutti i poteri dei personaggi, di solito dopo un paio di turni la situazione si fa rilassata e tutti si cominciano a divertire: alla peggio basta una partita per impratichirsi con le meccaniche del gioco.

Dal punto di vista della qualità dei materiali, c'è da sottolineare che le carte personaggio sono molto soggette a sfregamento e vanno prontamente imbustate, altrimenti tendono a rovinarsi, e non poco.

19/01/2017
Torres 9,5

Mi sono innamorato di questo gioco da quando ho aperto la scatola la prima volta: i materiali erano di una semplicità disarmante ma anche di una cura incredibile e... tutti quei pezzi di torre con porte e merli da incastrare fra loro! Mi pareva di tornare a giocare con le costruzioni (non che abbia mai davvero smesso)! Da allora, il mio amore non è scemato, anche se devo ammettere che non sempre ho voglia di giocare a Torres (a volte preferisco un po' di bluf, a volte un po' di aleatorietà, a seconda dei momenti) e, soprattutto, non sempre ho a disposizione giocatori con il giusto approccio mentale...

Il difetto del gioco, infatti, è anche la sua bellezza, ovvero la sua tipicità, il suo carattere: la matematicità dello svolgimento, il calcolo minuzioso delle mosse e delle tattiche, i ridottissimi margini di vantaggio nei vari castelli che determinano la vittoria o la sconfitta, la morbidezza del fattore competitivo, che porta la sfida ad essere spesso più con se stessi nella ricerca della soluzione più vantaggiosa che contro gli avversari (anche se poi non mancano occasioni per mosse "bastarde"), la bassissima o nulla aleatorietà (a seconda se si gioca pescando le carte o con tutto il set), l'immersione intellettuale scacchistica mista alla dolcezza della dama cinese. E' un gioco che ho imparato a proporre a soggetti a cui intuisco possa piacere flipparsi il cervello così, ed in situazioni isolate da ogni possibile distrazione... è tutto meno che un party game, piuttosto un gioco da stanza buia e faro puntato sul tavolo. Ed inoltre è un gioco che piace anche a chi di solito non gioca, perchè ha poche regole molto chiare e pulite, dura poco e può risultare stimolante come esercizio intellettuale anche al di là del fattore competitivo.

Ecco, mi sto già dilungando e non sono ancora entrato nel merito di questo commento!

Torres ha una meccanica che trovo quasi perfetta e, se dopo parecchie partite, inizia a risultare ripetitivo nello svolgimento, vuol dire probabilmente che è arrivato il momento per i giocatori di modificare il proprio approccio e cercare di variare le proprie strategie. Qui c'è forse un possibile difetto, perchè se è vero che per buona parte della partita il giocatore ha la possibilità di costruire la propria strategia, è anche vero che, a ridosso delle ultime mosse e del calcolo dei punti, è frequente che i movimenti siano matematicamente obbligati (un po' come a volte capita negli scacchi); poco male, perchè il gioco si fa veloce e si può passare direttamente ad un'altra mano.

E poi ci sono sempre le carte Master che stravolgono tutto ed è bello giocarne una ogni tanto anche solo per ricordarsi di quanto fondamentalmente sia splendido il gioco base. E poi c'è sempre la possibilità di modificare a piacere l'assetto di partenza delle torri, solo per il gusto di vedere che succede.

E' fondamentalmente un gioco astratto, con una spolverata di ambientazione che poteva anche non esserci, ma che comunque ho sempre trovato molto simpatica: i giocatori sono i figli del vecchio Re che devono ricostruire il castello crollato per un terremoto, ottenendo così il titolo di erede... una lotta non violenta per un fine comune, quindi, che ben rappresenta, a mio parere, lo spirito di Torres: fatte le congratulazioni al vincitore, col mio gruppo di affezionati ci siamo sempre trovati a fine partita a commentare la conformazione dei castelli da un punto di vista estetico, orgogliosi di averli tirati su con tanta fatica, e spesso ci siamo soffermati a ripetere le ultime mosse, solo per vedere quale scelta avesse determinato il vantaggio decisivo rispetto alle altre possibili.

Quanto a scalabilità e durata, le varianti per numero di giocatori le trovo accurate (e rese chiarissime grazie alle apposite carte) ed il tempo di gioco sempre inferiore all'ora (con giocatori un minimo pratici è difficile superare i quarantacinque minuti).

Tutto il gioco, sia per meccaniche che per estetica, mi è sempre parso un'opera d'arte anche se, devo ammettere, il contatore kramer ai bordi del tabellone lo trovo inutilizzabile da chi, come me, ogni tanto fa movimenti inconsulti e rischia facilmente di spostare i segnalini mandando a monte la partita! Meglio carta e penna.

(lo so, è il commento più lungo di sempre, chiedo venia)

21/02/2017
HeroQuest 9,0

Ci ho messo una (piacevolissima) nottata a leggere tutti i commenti ed ho evinto che 1) c'è ancora una certa confusione su cosa sia un GdR ;) 2) per la maggior parte degli utenti, Heroquest ha aperto le porte a nuovi modi di concepire il gioco e la fantasia: anche per me è stato così, ma credo che, per ognuno di quelli che hanno potuto aprire la propria preziosissima scatola quando erano ragazzetti ludicamente innocenti, la sensazione sia stata quella di essere dei privilegiati, persino degli iniziati, unici affidatari delle chiavi di un altro mondo, un po' come il Bastian della Storia Infinita (altro must di quegli anni). Ne consegue la paradossale oggettività di un giudizio non oggettivo, che non può limitarsi all'analisi delle dinamiche di gioco... dinamiche assai carenti, a dire il vero, non tanto nell'idea generale, assolutamente vincente ed ancora attuale, ma negli equilibri interni: ruoli squilibrati, frustrazione per il Master nelle missioni del manuale (sarebbe bastato dargli la possibilità di piazzare una manciata di mostri come avrebbe preferito, per farlo felice) e per i mostri troppo deboli (s'è dovuta aspettare l'espansione degli Ogre per avere da menare le mani come si deve), set d'incantesimi limitati e squilibrati (pur con qualche genialata tattica come "attraverso la roccia"), Punti Mente assolutamente inutili nel set di base (sarebbe bastata qualche trappola psichica o illusoria), equipaggiamento limitato nella scelta e nelle possibilità (ad esempio, solo un'armatura diminuisce il movimento, per il resto tutti muovono alla pari), bassa interazione con il bellissimo mobilio (in armeria ci dovrebbe essere sempre un'arma utile!), bassa utilità dei soldi una volta che hai già le armi che servono, carenza di obiettivi personali legati al power play, etc.

Impareggiabili invece sono l'atmosfera, i materiali, la modalità di esplorazione e la suspance che ne consegue; il coinvolgimento, il divertimento.

Non è mia abitudine rifarmi ai giudizi degli altri, ma fra tutti i commenti ne voglio citare due che ho trovato particolarmente lucidi e che combino per motivare il mio voto: Agzaroth propone un condivisibilissimo otto (mediando fra il sei che darebbe al gioco se non lo conoscesse da sempre ed il dieci per il divertimento accumulato), mentre Nomadion scrive: "Peccato per le regole scarne e imprecise, ma questo porta a creare delle versioni personali del gioco tentando di migliorarlo, quindi il suo peggior difetto è anche uno dei suoi punti forti." E proprio questa argomentazione mi fa alzare il voto a nove: HeroQuest può essere (e per me è stato) un dannatissimo esercizio di game design!

Oltre all'ovvia possibilità di farsi le proprie mappe, prevista dal regolamento, HeroQuest spinge naturalmente a crearsi regole proprie, non fosse altro per sorprendere i giocatori, combattere la noia e motivare la presenza dei dannatissimi Punti Mente. In questo processo (a meno ovviamente di abbandonare) è agevole aggiungere materiali (e idee) da altri giochi (o fabbricarseli con cartone, stampante e pennarelli), facendo crescere la complessità del gioco al crescere dell'età dei giocatori: nella mia versione finale (?) - che certamente riprenderò in mano quando mio figlio sarà abbastanza grande - le carte fungevano solo da consultazione, i tesori erano argutamente randomizzati e segnati su una nuova apposita scheda, i mostri erranti potevano essere multipli (torme di goblin!), i mostri uccisi venivano segnati con crocette nell'apposito riquadro e davano esperienza da spendere per potenziamenti come Punti Corpo e Mente extra, attacchi multipli ed incantesimi aggiuntivi, il turno godeva di un'azione extra per usare oggetti magici, si poteva parlare con i mostri intimidendoli o corrompendoli per farne seguaci, la ricerca di trappole era separata da quella delle porte segrete, bisognava toccare un mobile per cercarne lo specifico tesoro o le specifiche trappole, c'erano nuove classi di personaggio, etc.

Impegno inutile? Meglio cambiare gioco? Forse, ma all'epoca era difficile trovare alternative, internet era per pochissimi, i videogiochi avevano pixel grandi quanto un ogre e, comunque, il tutto era incredibilmente, dannatamente stimolante!

Ho investito già abbastanza tempo in questo commento: saluto e vado in soffitta a prendere la vecchia, strabordante scatola muffita. Qualche sorpresa, insieme a tante antiche emozioni, salterà sicuramente fuori.

08/02/2017
Backgammon 9,0

A mio avviso, il paragone con gli scacchi ha senso solo in chiave antitetica: due giochi più diversi non riesco ad immaginarli. Se gli scacchi sono paragonabili ad uno sport e completamente privi di alea (e nemmeno tanto astratti quanto tutti dicono, visto che in definitiva simulano una battaglia), il backgammon è puro piacere ludico e della fortuna fa l'elemento centrale... ma attenzione, non è una fortuna che domina incontrastata, quanto una fortuna che dialoga; dialoga col continuo calcolo delle probabilità, sul quale è costruito l'impianto strategico (il fatto che una strategia possa non funzionare non vuole dire che non ci sia o non abbia senso, solo che ha un certo grado di probabilità di realizzarsi - altrimenti invece di giocare a backgammon tutti noi appassionati faremmo meglio a passare il tempo a lanciare monete scommettendo su testa o croce): quale che sia il tiro dei dadi, avremo quasi sempre di fronte due o tre scelte da fare, a vari gradi di rischio e potenziale vantaggio; muovere sul sicuro ora determina sovente un limitato numero di possibilità per le mosse a venire, mentre sparpagliare le pedine scoperte crea un rischio immediato ma facilita i turni seguenti e complica potenzialmente la vita all'avversario. Non a caso, una delle possibili strategie (ed è incredibile quanto sia efficace) consiste nell'evitare in apertura ogni mossa sicura, consentendo all'avversario di mangiarci varie pedine (cosa che dovrebbe impedirgli di costruire una casa ben distribuita) ma contemporaneamente anche organizzare un efficace occupazione della propria casa, con la conseguenza che l'avversario si trova ad affrontare un contrattacco massivo che lo costringe a sua volta ad esporsi all'essere mangiato.

Il fatto di fare una buona strategia non garantisce la vittoria, è vero, ma proprio qui sta l'aspetto ludico, ovvero nella non necessità di vincere e basta (tanto comunque ci puoi mettere tutto l'impegno che vuoi, non c'è alcuna garanzia), quanto di realizzare una buona partita col fine di vincere "bene", provocando la sorte, cercando di capire quando tirare la corda e quando cedere alla prudenza. Perchè nel backgammon - dal punto di vista di uno che non gioca a soldi - una buona partita è una partita adrenalinica, piena di colpi di scena e magari con qualche capovolgimento di fronte (e comunque non tutte lo sono, cosa che di solito spinge a giocare ancora ed ancora). Due giocatori che svolgessero entrambi il proprio gioco facendo solo le mosse di minimo rischio (o, ancora peggio, accettando il rischio obbligato di malavoglia) arriverebbero in poche partite ad odiare il backgammon ed a ritenere che sia solo un gioco in cui vince chi fa i tiri più alti. Non gioco a poker ma credo sia lo stesso: se giocassi la tua mano di poker solo quando hai buone carte, tanto varrebbe lasciar giocare un computer al posto tuo, perchè perderesti il senso, ovvero l'azzardo: proprio una coppia di otto spinge il giocatore talentuoso a dare il meglio di se' nel bluf, così come un bravo giocatore di backgammon sa far valere una serie di tiri bassi costruendosi una salda difesa, tendendo trappole e preparando il contrattacco (l'elegante meccanica di gioco prevede che non sempre un tiro doppio o un tiro alto sia vantaggioso) o, alla peggio, accettando la sconfitta con savoir-faire.

Quindi, anche se è vero che fra giocatori esperti la maggior parte delle mosse saranno di routine (e qui mi contraddico, perchè il paragone con gli scacchi sorge spontaneo), è anche vero che verrà certamente il momento nel quale s'imporrà l'improbabile, regalando emozioni che, duro ammetterlo, solo i dadi possono regalare. Se non vi piacciono, non ci giocate, ma non negatene il valore.

Complici la velocità d'esecuzione e la bellezza della meccanica di scorrimento inverso, il Backgammon è per me il must fra i giochi aleatori, penalizzato solo dal limite del gioco a due (anche se ho letto di varianti che lo rendono un vero e proprio party game, vedere wikipedia).

11/02/2017
Robo Rally 8,6

Nella pizzeria vicino casa dove andavo coi miei da bambino c'era una stanza dedicata ai videogiochi. All'inizio m'intimidivano un po': mi sembravano difficili. Metti una moneta, dai due colpetti a caso e subito una torma di strane creature piombano sul tuo avatar e lo fanno a pezzi, oppure lo sorpassano, oppure gli lanciano oggetti, oppure strane bolle lo investono, uccidendolo, oppure un baratro s'apre sotto i suoi piedi, risucchiandolo.

Ci vuole un po' di pratica e quindi parecchie monete.

Il più delle volte, mi limitavo a guardare, affascinato, le schermate di presentazione: sapete, quelle dove i personaggi combattono, corrono, saltano, sparano per un po', poi impazziscono, fanno idiozie e muoiono. Nelle schermate dimostrative non c'è un'intelligenza alla prova, il programma ti sfida a mettercela tu.

Ecco, questa è la sensazione che mi da RoboRally: robottini che vanno dritti alla meta per un po', poi cominciano a girare su se stessi, prendono direzioni sbagliate e muoiono. Ogni volta, mi viene voglia di piazzare una macchina fotografica a perpendicolo sulla plancia per catturare la sequenza di assurdi movimenti dei corridori... ma poi non lo faccio, perchè comunque non si vedrebbero i laser!

Dopo parecchi RoboRally, s'impara a muovere il proprio Robot come danzando, evitando ogni ostacolo (ma non sempre i laser degli altri), sfruttando i tappeti mobili, sincronizzandosi con le presse... ma la cosa più divertente resta sempre vedere i neofiti spremersi le meningi, tesi come ad un esame, programmando ogni carta con la cura di un potatore di bonsai per poi scoprire d'aver fatto male i calcoli e trovarsi ad andare dalla parte sbagliata, magari inevitabilmente verso un pozzo, o senza più carte da giocare al turno dopo, tanto da essere poi costretti a girare in tondo, con la magra consolazione di sparare ad ogni mossa.

Un gioco assolutamente fantastico, nel quale si tenta in continuazione (e di solito invano) di mettere ordine al caos. Da giocare almeno in sei per renderlo ancora più adeguatamente incasinato (si allungano i tempi a dismisura, ma il RoboRally è un gioco da duri: ci vogliono nervi saldi ed una buona dose di pazzia).

Con tutti (e tanti) giocatori esperti, da provare assolutamente la modalita capture the flag.

Difetti?

- Ti brucia il cervello e magari non combini niente comunque: bisogna averci voglia e prenderla sul ridere (ovvero, avere la capacità/ il temperamento di divertirsi anche se non si ha più la possibilità di vincere perchè si è rimasti indietro o qualcuno si è involato).

- A volte è un po' stancante stare lì ad eseguire tutte le mosse con tanti giocatori: se ognuno fa da se' è un casino, ci vuole che i giocatori esperti mettano ordine... e di solito tocca al proprietario del gioco (cioè a me).

- Alcune persone hanno reali difficoltà ad immaginare movimenti astratti nello spazio.

- La tensione del gioco a tempo non è per tutti, inoltre deve piacere la sensazione di "frustrazione" tipica dei giochi di corse con componente aleatoria.

- Con grossi scarti di abilità fra i giocatori, forse è meglio introdurre una classifica finale a tre posizioni, perchè a volte il neofita che è in fondo non ha tempo nemmeno di toccare la prima bandiera e ciò è anche troppo frustrante.

- La meccanica dei tappeti mobili che curvano è poco intuitiva.

17/02/2017
Xiangqi 7,7

Perchè si chiami "gioco dell'elefante" non si riesce proprio a capire: "gioco delle catapulte" sarebbe più efficace, dato che proprio le catapulte (o cannoni) sono il pezzo - a mio avviso - più interessante e divertente, unico per meccanica di presa sia in relazione agli altri pezzi che a quelli degli scacchi (muovono come una torre ma mangiano solo se c'è un qualsiasi pezzo fra loro ed il bersaglio. Come conseguenza, per evitarne l'effetto, basta a volta togliere il pezzo che sta in mezzo! E ne consegue anche che due catapulte in serie sono devastanti!).

Un giocatore di scacchi non dovrebbe avere difficoltà ad impratichirsi con gli "scacchi cinesi", perchè i due giochi sono "semplici" varianti l'uno dell'altro.

A parte le minime differenze dei pezzi in gioco in quanto a tipo, posizione, numero e movimento (che si possono studiare tranquillamente anche su wikipedia in cinque minuti), la differenza sostanziale che ho riscontrato - giocando però circa una dozzina di partite e non essendo un grande scacchista - è la differenziazione fra strategia di attacco e strategia di difesa: la scacchiera è divisa da un fiume e solo alcuni pezzi possono superarlo, mentre altri devono restare unicamente in difesa. Negli scacchi, persino il Re può partecipare all'attacco e comunque, al fallimento di un'offensiva, consegue spesso uno rapido spostamento dei pezzi impegnati al ruolo di difensori: c'è un'unica strategia complessiva di pressione ed alleggerimento; nello Xiangxi, invece, attacco e difesa si organizzano quasi separatamente e solo quando è davvero necessario si richiamano i pezzi in attacco a dar man forte.

Dato il fitto incastro di pezzi schierati dentro ed attorno al castello dell'Imperatore, ho trovato che sfondare una difesa può essere davvero difficile ed a tratti frustrante; come al solito, i pedoni fanno la differenza, solo che qui sono di meno! Forse ancor meno dinamico degli scacchi, quindi, ma una validissima alternativa per esercitare l'elasticità mentale di chi è troppo abituato alle stesse stragiocate meccaniche.

Un decimo di punto in più degli scacchi sul mio giudizio in relazione alla relativa novità culturale che possono rappresentare nel noioso mondo degli scacchi occidentale.

Un altro decimo per l'ambientazione, seppur stilizzata, che rende la scacchiera un pizzico meno astratta di quella occidentale, ed il livello di wargame quindi più sentito.

Ultima nota: alcuni accusano la difficoltà di giocarci perchè non ci sono miniature ma pedine con ideogrammi... un po' d'inventiva, diamine! Basta disegnarsi la plancia, prendere i pezzi di una scacchiera ed inventarsi qualcosa per elefanti e cannoni, assemblandoli come ho fatto io, cercando nei negozi di cineserie, nelle bancarelle o magari attingendo alle miniature dei diecimila giochi da tavolo che avete nello sgabuzzino!

11/02/2017
Chess 7,5

Mi è venuto in mente di votarli solo perchè, prima di votare Xiangqi - che da noi è misconosciuto - volevo decidere che voto dare alla versione che meglio conosciamo in occidente... mi si è creato un bel dilemma: come si fa a votare un gioco che la storia ha già promosso con la lode? La soluzione che ho scelto è quella di provare ad accantonare la storia del mondo e pensare solo alla mia ed al gioco in se', perchè se ho definitivamente smesso di giocare a scacchi qualche motivo ci sarà.

Dal lato caratteriale, è un gioco che non fa per me perchè è una troppo splendida rappresentazione della guerra (a mio avviso nemmeno poi tanto astratta, se si pensa, ad esempio, che nel Risiko i carrarmatini escono fuori all'infinito, mentre qui quando i pezzi muoiono, muoiono) spietata, subdola, logorante, gelida, ingannevole ed assurda (i pedoni vanno a morire per il Re, ma il Re, anche se sconfitto, non muore mai). Il livello competitivo è altissimo (da bambino facevo tornei ed ho visto ragazzi piangere per una sconfitta e genitori fanatici denigrarli in pubblico, ma anche fra adulti l'impatto emotivo è sorprendentemente forte) almeno quanto è alta la necessità di concentrazione (spesso la resistenza è importante quanto la logica e la strategia). Ma questi non sono difetti, solo caratteristiche: a moltissimi piace mettersi alla prova nel tentativo di dominare l'avversario grazie all'addestramento selettivo del proprio intelletto (perchè non è che si è intelligenti, se si vince a scacchi, solo molto specializzati), altri preferiscono situazioni di gioco più morbide ed intuitive come quelle offerte dalla dama cinese o più adrenaliniche come quelle del backgammon - tanto per citare due giochi millenari e diffusissimi che adoro.

Per vincere a scacchi occorre giocare moltissimo e/o studiare moltissimo: occorre una dedizione che lo rende un gioco difficile e per pochi. Se un amico non sa giocare a scacchi, difficilmente gli si chiede comunque di fare una partita, perchè per insegnargli a giocare ci vorrebbero dei mesi e questo per me è un bel limite.

Anche sul fattore divertimento, riscontro dei problemi: si gioca solo in due, preferibilmente in silenzio e a testa bassa, meglio se sobri... no, direi che non è proprio un gioco per tutti e forse non è neppure da considerarsi un gioco nel senso di attività ludica (www.treccani.it/vocabolario/ludico/), quanto più uno sport (www.treccani.it/vocabolario/sport/), seppur giocato col cervello invece che coi muscoli.

Il fatto che nella nostra lingua si usi la parola "gioco" per indicare entrambe queste cose parecchio diverse fra loro (che si mischiano o confliggono in tanti differenti modi), può generare una certa confusione nel momento in cui si va a cercare di capire cosa, in un gioco, ci piace e cosa no.

Resta un sette e mezzo per le meccaniche raffinate (l'idea della copertura resta ineguagliata), le possibilità strategiche e per il piacere che mi da guardare qualcuno di bravo giocare mentre bevo un bottiglia di vino chiacchierando allegramente con gli altri spettatori.

10/02/2017
Capital Lux 7,5

Prime impressioni (mi riservo modifiche a voto e commento a fronte di verifiche alla scalabilità ed alla longevità).

Piacevolmente colpito dalla complessità tattica e strategica derivata da meccaniche interessantissime sviluppate attorno un mazzetto di carte di quattro colori (con un potere associato) e numerate da due a sei, con solo quattro carte speciali (neanche tanto, dato che sono modificatori numerici da giocare a faccia in giù per incasinare i calcoli) ed una manciata di monete (quadrate?!? La mia compagna sostiene sia una scelta di design... mah).

L'alea c'è, ma appare molto smorzata dallo scambio di carte fra i giocatori ad inizio turno e dalle scelte su come e quando giocarle.

Uno dei rari giochi nel quale pescare una carta extra può essere una risorsa ma a volte anche un problema, perchè una delle caratteristiche del gioco è quella di non dover sballare, influenzando sia le proprie carte che il valore di riferimento del "banco", ovvero della Capitale: una sorta di black jack strategico, quindi.

Croce e delizia è l'artwork di Kwanchai Moriya (sul suo sito immagini ad alta qualità) che ha influito sulla scelta di acquistare il titolo: (per i miei gusti) le immagini sono strepitose ed incredibilmente evocative, unendo un'iconografia sf retrò (a cavallo fra Metropolis e la spaceopera) a colori moderni e sgargianti! ... Peccato ce ne siano solo quattro (più i retro astratti delle carte... ritagliati da altri quadri!), ripetute su tutte le carte dello stesso colore. Nessuna immagine della capitale, nemmeno sulla scatola... ed il Mercante, che ha in mano un martello (?), sembra più un giudice. Viene da chiedersi se l'artista ha lavorato sul gioco od i designer hanno solo appiccicato al gioco le immagini che questo aveva pronte.

L'ambientazione, infatti, è praticamente assente, rendendo il gioco fondamentalmente astratto (bastava davvero poco per ambientarlo un pelino di più: monete caratterizzate, due righe d'introduzione sul regolamento, un paio d'immagini in più. In tal modo si sarebbe dato un senso alle illustrazioni che, ripeto, sono fantastiche e creano atmosfera anche da sole).

01/03/2017
The Dwarf King 7,0

Esercizietto di stile senza pretese per il buon Bruno "messaggero del caos" Faidutti, che mette le mani su giochi classici di carte (briscola, tressette, peppa, etc.) con lo scopo d'incasinare il cervello dei giocatori e costringerli a continui riadattamenti tattici, modificando ogni turno le condizioni per far punti (o non perderli!). E' meglio degli originali? Probabilmente no, ma ha il pregio di essere comunque molto divertente, complici le belle ed ironiche illustrazioni (es. il Druido sembra intento a fare una pozione, ma in realtà sta cucinando una zuppa di pesce) e l'assurdità di certe "missioni" (es. fai punti per ogni presa fatta dal giocatore accanto).

Il gioco è leggerissimo ed aleatorio, ma gode della complessità di scelta e calcolo che hanno i giochi di carte sopra citati. Per molti, questi saranno difetti, a me piacciono.

La longevità dipende dal fatto di tirarlo fuori solo ogni tanto, per rilassarsi fra un giocone e l'altro, e comunque le possibilità di combinazioni fra carte speciali, missioni e mani pescate sono astronomiche.

Consigliato nei circoli per anziani, in sostituzione forzata dei soliti mazzi di carte, come robusto stimolo cognitivo ("Ma che c***o fai! I Goblin facevano punto la mano prima! Ora conta la Donna di Nani!").

Sconsigliato a chi cerca originalità ed impegno.

Il voto tiene conto del fatto che il gioco riesce in quello che si propone - anche se non si propone chissà che - dell'apprezzamento per grafica e testi e per la simpatia incondizionata che ho per lo stile di Faidutti.

08/03/2017
Italian Checkers 4,9

(In riferimento solo alla Dama italiana, le altre versioni non le ho - quasi - mai giocate)

Non è un gioco facile, occorre calcolare mosse e contromosse ed io non vincevo praticamente mai e non credo perchè manco di capacità quanto perchè l'ho sempre trovato noioso, evitando di dedicarmici: in pratica, puoi fare due cose, avanzare o mangiare, più volte di fila se l'avversario s'è fatto incastrare o a ritroso se hai fatto Dama. L'emozione più grande è quando qualcuno sbaglia ed il pezzo è soffiato (se si gioca con quella regola). Non c'è fantasia, zero fascino, pochissimo brivido e mi sfugge completamente il senso simbolico/filosofico che altri astratti - come la meravigliosa dama cinese - manifestano. Anche il paragone con gli scacchi mi pare poco azzeccato: una pedina copre l'altra (con modalità peraltro parecchio differenti), c'è la promozione, ci sono due giocatori, la scacchiera è quadrata, fine delle somiglianze.

Ora, non mi sento di demolirla completamente, è comunque un gioco strategico e come tale può essere approfondito, ma... non riesco a finire questa frase. Diciamo allora che, leggendo due righe sulla storia di questo gioco, se ne determinano le origini attorno al 1200 d.C., su derivazione per vari passaggi di un gioco del 1500 a.C., l'alquerque.

Nell'alquerque la plancia è 5x5, le pedine sono sempre 24 e puoi scegliere tre direzioni di movimento (orizzontale, verticale, diagonale), piuttosto che l'unica della Dama (diagonale).

Ecco, dando un'occhiata alle regole, il gioco del 1500 a.C. sembra più avvincente (fra l'altro, mi sa che una volta ci ho anche giocato).

Tanto per dire che non è una questione di giochi (e giocatori) antichi o moderni: la gente nei giochi cerca le stesse cose da sempre, perchè certe cose, come il gusto della sfida intellettuale e strategica, sono cose che non sono mai cambiate... ma se vogliamo la sfida strategica (magari con un pizzico di divertimento), allora è meglio avere qualche possibilità di scelta in più, rispetto al "mi faccio mangiare così lui mi rimangia ed io lo rimangio, tanto comunque devo per forza muovere e qualcosa mi devo far mangiare", no?

In termini scolastici il voto sarebbe 5- perchè comunque il gioco ha un suo senso e 4 è poco, ma davvero a 5 non mi sento di arrivare ed ora capisco gl'insegnanti str***i che ho avuto alle superiori.

20/02/2017
Game of Goose 2,0

Avrò avuto sì e no cinque anni quando ho realizzato che un gioco nel quale non si ha nemmeno una scelta (ed, aggiungerei, nemmeno l'illusione di avere una scelta) non ha senso. Avevo un aggeggio di plastica con due rotelle che facevano scorrere plance magnetiche di vari giochi ed un cassettino con le pedine ed i dadi: il gioco dell'oca lo evitavo come la peste.

Alcuni giochi di fortuna si fanno anche solo per il brivido dell'azzardo: il gioco dell'oca non ha nemmeno quello perchè, anche se dura poco, dura sempre troppo per quel che offre, ovvero uno stupido rincorrersi. Meglio "testa o croce", che è veloce e pieno di suspance, oppure "facciamo a chi arriva prima", almeno ci si rincorre davvero.

Un punto perchè, come gioco per l'infanzia, può essere un introduttivo (impari a contare, a muovere una pedina su un tabellone ed a capire che ci sono anche giochi brutti, iniziando così il lungo percorso di affinamento del gusto ludico).

Un altro punto perchè offre spesso un estetica gradevole e lo stimolo a disegnarsi da soli i percorsi.

22/02/2017