Ho pensato di poter condividere con tutti voi una riflessione, che parte da un punto di vista personale ma che certo può assumere carattere generale per noi giocatori, proprio per riflettere su cosa rappresenti il gioco.
E’ circa un anno che sono entrato in questo mondo. Tutto è partito da Stone Age e via via, giocando sempre in 2, con mia moglie, la passione è cresciuta così come gli acquisti, evolvendo verso esperienze ludiche sempre più articolate, complesse e senza dubbio molto affascinanti.
Cosa c’è nei giochi che può catturare tanto, sino a determinare una sorta di “dipendenza”?
Personalmente ritengo che favoriscano lo sprigionarsi delle energie compresse della nostra immaginazione e dei suoi risvolti visivi, intellettuali ed emotivi. Le ambientazioni, animate dalle meccaniche che ne determinano lo sviluppo, nei giochi di qualità naturalmente, mostrano tutta la loro fluida genialità. Questo estro geniale ha la forza di indurre il giocatore ad un coinvolgimento quasi totale, che lo ripaga nella misura esatta in cui ha prodotto uno sforzo per la comprensione e l’ immedesimazione nel gioco stesso.
Ecco l’argomento ambientazione.
Sebbene sia assolutamente normale e legittimo che tutti noi si abbia gusti differenti, per cui una ambientazione ci può risultare migliore di un'altra, la forza implicita di un gioco sta proprio nel crescente coinvolgimento che riesce a scatenare durante il suo sviluppo e le diverse fasi in cui è articolato. Siamo portati a giudicare l’ambientazione come un fatto statico. Per tale ragione spesso ci confrontiamo nell’esprimere un giudizio sul tabellone, ovvero sulle carte, sulle singole componenti in legno e così via.
Tutto ciò viene completamente (a mio avviso) sovvertito dall’esperienza viva di gioco, intesa come alto momento di sintesi di tutti i suddetti aspetti e che ha carattere assolutamente dinamico.
E’ proprio nello sviluppo del gioco che lentamente si compone il quadro nella sua interezza, attraverso i meccanismi che lo animano, con le carte che via via si affiancano al tabellone, con l’utilizzo sapiente delle altre componenti e la circolarità degli eventi; un insieme che induce una sorta di “illuminazione” nel giocatore, qualcosa che si avvicina alla “perfezione” e provoca un notevole senso di benessere, esattamente ludico, nella sua espressione più convincente di “rappresentazione del reale”: arte. Credo che alla base ci sia proprio qualcosa di estremamente legato all’astratto, che si riesce a rivelare nel concreto (per chi nell’adolescenza ha letto qualcosa di Hesse, oso richiamare il parallelo con una sintesi tra Narciso e Boccadoro).
Infatti, la lucida razionalità che anima la struttura e lo svolgimento di taluni giochi (immagino alcune produzioni di Wallace, come anche Le Havre, di Rosenberg….e tanti altri, anche italiani) può essere assimilata al processo filosofico che dal caos conduce all’ordine.
Il caos può essere rappresentato dal nostro bisogno, il nostro istinto, la nostra cultura quasi sempre deficitaria, che necessitano di continua crescita e di modalità di espressione; ma è anche rappresentato dalla nostra ansia di conoscere, di produrre, di creare e condividere che, attraverso il “gioco”, si realizzano simultaneamente, trovando la sintesi e quindi qualcosa di simile all’espressione artistica.
L’ intento di queste righe è quello di proporre un momento di condivisione, intellettuale ed emotiva e di riflettere su una delle “risorse” tanto scarse in questa era, la voglia di conoscere e conoscersi.
Un grazie a tutti, continuate così.