In merito alla soverchiante presenza maschile nel nostro ambiente ho maturato alcune riflessioni. La motivazione principale risiede nel ruolo che le femmine sono chiamate a svolgere nella nostra società e la cui trasmissione culturale è introiettata profondamente nella forma mentis dell’individuo, delle madri in particolare.
Da millenni alla femmina è richiesto di occuparsi dell’universo domestico: cura degli ambienti e dei suoi abitanti, organizzazione della vita domestica, gestione delle risorse familiari, soddisfazione del maschio e della prole. Al maschio compete agire nel mondo esterno, procacciando le risorse economiche e sociali necessarie al sostentamento del nucleo organizzativo di riferimento (clan, tribù, famiglia, ecc.). Questo modello è stato messo in discussione da un periodo temporale troppo esiguo perché possa dirsi non più effettivo.
Questa organizzazione ci ha consegnato nei secoli una società in cui i protagonisti sono maschi incapaci di badare a sé stessi senza femmine - poiché non è stato loro insegnato a cucinare, lavare gli abiti, pulire gli ambienti, gestire la casa - e femmine autosufficienti ma impossibilitate ad esprimersi al di fuori delle mura domestiche.
Da ciò ne discendono due corollari. Il primo ci dice che il maschio, terminato il tempo del lavoro (retribuito) può dedicarsi allo svago. Il secondo vuole che la femmina non abbia modo di proiettare la sua persona nel mondo esterno.
Certo la società italiana non è più così, ma nel corso dei secoli questo tipo di struttura funzionale ha generato maschi che perpetuano atteggiamenti adolescenziali fino a tarda età e femmine prematuramente mature e contegnose.
Questo il motivo per cui le femmine tendono a considerare - più dei maschi - il giocare una attività futile e da immaturi.
Un secondo motivo è legato all’igene. Negli anni ho visto molti luoghi dedicati al gioco da tavolo adulto; la maggior parte di essi sono sporchi e spesso maleodoranti (e chi frequenta la tana dei goblin di Milano sa di cosa parlo). I maschi tendono a non notare o a tollerare ambienti malsani. Le femmine, per educazione, hanno sviluppato una maggiore attenzione e intolleranza nei confronti del disordine e dello sporco.
Nella puntata si è anche asserito che un luogo comune vuole le femmine meno propense al pensiero logico-razionale rispetto ai maschi e che questo stereotipo è spesso rafforzato dall’autopercezione di molte femmine. Credo che questo atteggiamento sia figlio del tipo di trasmissione culturale della nostra società, a partire dalle scuole. Fin da quando sono bambine le femmine imparano che la nostra cultura e la nostra storia è stata plasmata da maschi: filosofi, artisti, scienziati, scrittori, imprenditori, esploratori, politici sono pressoché tutti maschi. Inconsciamente le femmine percepiscono fin da bambine la loro inesistenza, la loro inutilità. La stessa lingua che parliamo denuncia la preminenza del genere maschile: e la lingua è pensiero che si fa parola. Da ciò deriva un inconsapevole senso di inadeguatezza intellettiva. Eppure se non ci fermassimo alla superficie scopriremmo il ruolo fondamentale di molte femmine nel cinema, nell’astronomia, nella pittura, nella politica, ecc. Ruolo il più delle volte adombrato da mariti, colleghi, compagni che si sono attestati i loro meriti.
Chiudo questo brevissimo intervento facendo notare come lo stereotipo di genere sia pervasivo e insidioso - anche nelle menti più aperte e tolleranti - riportando due affermazioni che Sava ha fatto a inizio puntata.
1. presentando le ospiti le ha definite “belle”. Se fossero stati tre maschi li avrebbe definiti “virili” o “prestanti”?
2.decidendo l’ordine degli interventi ha detto che non si chiede l’età a una ragazza. Questo è un inconsapevole retaggio di tempi in cui la femmina, scemata la sua avvenenza giovanile, perde completamente di interesse.
So che possono apparire quisquilie, ma sono minutissimi segni che tradiscono la presenza di un discorso più ampio, come la punta di un iceberg.