Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 22
Novembre 2019
Parte IV, Capitolo 6: "L'isola Clotilde e tante terze chiavi..."
Seduta del 24 Febbraio 2004
"L'isola Clotilde e tante terze chiavi..."
nuovamente
trasportati dal mitico drago d'argento, volammo verso ovest fino al
tramonto e per tutta la notte e la giornata seguente senza sosta,
riposando brevemente per quanto riuscivamo a fare, arrangiandoci con i
pasti procurati magicamente dall'intercessione di Warnom presso la sua
divinità. Sotto di noi scorreva monotona l'immensa massa d'acqua scura,
sulla quale si rifletteva il sole che sorgeva alle nostre spalle per
salutarci da davanti, investendoci al tramonto con i suoi ultimi raggi
portatori di speranza e calore.
Poco
prima del tramonto del secondo giorno, finalmente avvistammo qualcosa
all'orizzonte, qualcosa di diverso che si stagliava sull'oceano, una
massa scura che presto iniziò a delinearsi come un'isola. Si trattava
di un pezzo di terra non molto grande, dall'aspetto quasi completamente
brullo e irregolare, al centro della quale si ergeva una cima rocciosa
alta non meno di duecento o trecento passi.
-
C'è un'imbarcazione alla fonda, laggiù - ci comunicò Rael parlando
direttamente alle nostre menti, come era solita fare quando volavamo,
poiché il vento non avrebbe permesso di parlare normalmente.
Aguzzando
la vista, mano a mano che ci avvicinavamo, scorgemmo la modesta nave
themanita all'ancora, riconoscendola come quella usata da Perigastus e
Daeron. A quanto sembrava, avevamo raggiunto il luogo dell'appuntamento,
la nostra ultima tappa, il posto dove avremmo ottenuto la terza chiave
per passare le Mura di Ghiaccio alla ricerca dell'anito popolo degli
Elfi.
Volteggiando
sull'isola preparandoci ad atterrare, notai che sembrava del tutto
deserta. Non v'era traccia di essere vivente, né di abitazioni o
costruzioni che lasciassero presagire dove avremmo dovuto recarci per
completare la nostra ricerca. Dai movimenti sulla nave e dall'assenza di
una qualsiasi scialuppa sulla spiaggia che si trovava a meno di cento
passi dal punto in cui si trovava all'ancora, potevamo dedurre che
nessuno aveva preso terra. Per qualche ragione, sia Perigastus che
Daeron si trovavano ancora a bordo.
Con
leggerezza innaturale per la sua immensa mole, Rael si posò a terra
depositandoci sulla spiaggia, dove assunse la sua forma umana. Ora che
eravamo fermi, notammo il vento robusto che sferzava l'isola, agitando
il mare le cui ondate si infrangevano sulla spiaggia in un continuo
ribollire di spuma bianca. La sabbia bagnata era ben più scura di
quella delle coste esmeldiane che ben conoscevo, e il mare diventava di
un colore assai scuro già dopo pochi passi, rivelando una profondità
che doveva essere ben elevata sin dai primi passi in acqua.
Sostammo
qualche istante, discutendo sul da farsi, mentre Warnom era
dell'opinione di raggiungere subito la nave per sentire cosa avessero da
dirci i suoi occupanti che non vedevamo già da parecchi giorni. In
particolare, ci premeva la questione del cristallo, non essendo del
tutto sicuri che Perigastus ce lo avrebbe riconsegnato senza fare
storie; in fin dei conti, il suo era lo stesso sangue di Frostwind!
-
Percepisco qualcosa, o qualcuno... - ci interruppe Rael ad un tratto, ma
non fu in grado di rivelare altro. Warnom aveva già invocato i suoi
poteri che gli avrebbero concesso di muoversi sulle acque, ed io stavo
per andare con lui verso la nave, quando udimmo una voce dai cespugli
poco distanti.
-
Chi percepisce me? - chiese la vocina, all'apparenza del tutto innocua e
per questo per noi allarmante. Da un piccolo cespuglio ne uscì un
ometto dall'apparenza assai modesta, la pelle scura e rugosa come quella
dei marinai e dei pescatori. Poteva avere una cinquantina d'anni.
Incurante del nuovo incontro, Warnom prese a dirigersi verso
l'imbarcazione, mentre io preferii restare per capire chi fosse quello
strano individuo che viveva su un'isola deserta che, secondo Rael, non
doveva contenere alcuna forma di vita.
-
Chi riesce me a percepire? - chiese ancora una volta.
il
colloquio con l'uomo si rivelò più semplice del previsto, dal momento
che si esprimeva in un corretto Auldim commerciale, lingua assai diffusa
e nota alla maggior parte di noi. Sulle prime fu Thorin a instaurare la
conversazione, scoprendo così che si chiamava Ishal. Dal suo modo di
parlare mi feci la convinzione che fosse un po' fuori di testa. Attese
che ci presentassimo uno ad uno, voltandosi ed inchinandosi a ciascuno
di noi subito dopo che pronunciavamo i nostri nomi, ignorandoci del
tutto fino a quando non pronunciavamo i nostri nomi.
Da
quanto riuscimmo a capire, Ishal proveniva da un'altra isola dove in
passato, circa una quarantina di anni prima, la sua gente aveva avuto
problemi di sovraffollamento. Per tale ragione, alcuni erano partiti
alla ricerca di altre isole da abitare, ma quando lui si era stabilito
qui aveva scoperto il piacere della solitudine ed era rimasto, felice di
trovare qui un nuovo mondo tutto per sé dove, a dir suo, non gli
mancava nulla. Meditare, riflettere e analizzare erano le cose che
ripeteva più frequentemente quando gli chiedemmo cosa mai potesse
trovare di tanto interessante in questa vita eremitica, ma non vi fu
modo di farci rivelare cosa riguardassero tali suoi pensieri
dall'apparenza filosofici.
Poco
dopo aveva fatto ritorno anche Warnom, il quale continuava ad ignorare
Ishal e mi mise al corrente di quanto aveva scoperto a bordo. Sembrava
che Perigastus non avesse voluto prendere terra perché sentiva di non
essere gradito da qualcosa o qualcuno, sebbene secondo lui l'isola
dovesse essere del tutto deserta. La cosa appariva incomprensibile,
tanto più dopo aver incontrato Ishal, ma non c'era stato modo di
saperne di più. Comunque, aveva concluso Warnom, il vecchio era
disposto a restituire il cristallo senza problemi non appena il gruppo
lo avesse richiesto, e avrebbe fornito la sua chiave non appena fossimo
entrati in possesso della terza. Il problema era ora trovare
quest'ultima, e se il solo modo di ottenerla era tramite lo svampito
Ishal, l'impresa poteva rivelarsi più difficoltosa del previsto.
Nel
frattempo anche Rael si era presentata al nostro misterioso ospite, il
quale pareva aver riconosciuto in lei un membro di una razza assai
antica, a giudicare dall'inchino in cui si produsse, quasi gettandosi a
terra ai suoi piedi. La cosa strana era che fino a quel momento, fino a
quando non fu Rael a parlargli, lui non l'aveva neanche notata. Fu
allora che comprendemmo: Ishal era cieco, e questo spiegava il suo
strano modo di agire. Quando ne parlai agli altri, l'ometto si risentì
nel sentirsi chiamare cieco, e comprendemmo che quella era una delle
ragioni vere per cui aveva cercato l'isolamento; aveva vissuto la sua
menomazione come un problema nella sua comunità, e la solitudine
gli aveva permesso di ripartire da zero in un mondo tutto suo, nel quale
nessuno poteva ricordargli il suo difetto.
-
Gawain, c'è un problema... - mi bisbigliò Warnom ad un orecchio,
mentre Ishal ci raccontava della pietra che incideva scrivendo in tal
modo i risultati delle sue riflessioni nel corso degli anni.
-
Anche se alcune mappe la riportano come tale, quest'isola non è in
realtà un'isola - continuò il prete, suscitando la mia curiosità.
-
Che vuoi dire, non ti capisco...
-
Non so spiegarti meglio, ma c'è qualcosa che non quadra. Anche la
montagna, lì davanti, ha qualcosa di sbagliato, non dovrebbe trovarsi
lì... - concluse, mostrandosi a sua volta confuso e perplesso almeno
quanto me.
In
quel momento, Thorin aveva deciso di essere più diretto nei confronti
di Ishal, visto che non si riusciva ad ottenere nulla di coerente o
interessante prendendo le cose alla larga. In breve, gli aveva appena
detto che stavamo cercando una chiave.
-
A per quello voi qui venuti. Forse io sa cosa voi interessa. Vecchi
scritti che io non capisce, nella pietra lassù, forse voi interessa
quello - rispose l'ometto, per nulla sorpreso, indicando la montagna al
centro dell'isola.
-
Voi segue Ishal, io porta là - disse, dopo una breve pausa. - Ma prima
noi mangia, Ishal deve nutrire sé.
Naturalmente
non avevamo molte scelte, quella poteva essere la sola indicazione utile
che avremmo trovato, e Ishal era la sola e migliore guida su
quell'isola, così decidemmo di seguirlo.
la
notte era ormai calata quando finimmo di seguire Ishal che si muoveva
agilmente fra i cespugli raccogliendo bacche e frutta selvatica.
Nonostante gli avvertimenti di Warnom, io ed Adesir ci cibammo a nostra
volta di quelle delizie dal sapore e dall'aspetto ben più invitanti
rispetto al solito cibo marroncino ed insapore che il prete creava
quando ce n'era bisogno e che solo i nani sembravano apprezzare.
Riposammo per qualche istante, attendendo che Ishal si nutrisse
avidamente di quanto aveva raccolto, in attesa del suo segnale per
avviarci verso la montagna. Quindi, quando fu soddisfatto, ci invitò a
seguirlo ed iniziammo la marcia verso l'interno dell'isola.
Giunti
ai piedi del picco, Ishal iniziò a scalarne la parete quasi verticale,
che non presentava alcun tipo di sentiero. L'impresa si rivelò
piuttosto complessa, ma tentai ugualmente, riuscendo a seguirlo fino
all'altezza di un centinaio di passi, mentre Warnom camminava nell'aria
come vi fossero scale invisibili, conducendo i nani ed Adesir legati ad
una corda, privi di peso come fossero nuvole. Solo Rael non ci aveva
seguiti ed era rimasta in basso, asserendo che non si trattava di
un'impresa per lei. Quando ad un tratto persi la presa, minacciando una
rovinosa caduta che avrebbe avuto nefaste conseguenze data l'altezza, il
prete fu rapido a rendere anche il mio corpo senza peso, cosi che Adesir
fu in grado di agguantarmi a mezz'aria, assicurando anche me alla sua
stessa fune. Procedemmo così, in modo alquanto inusuale, fino a
raggiungere una piccola cengia che distava non più di cinquanta braccia
dalla vetta.
-
Ecco dove noi andiamo - disse Ishal indicando l'ingresso di una caverna
davani a noi, mentre si faceva da parte per lasciarci passare. I nani
furono rapidi ad introdursi nell'apertura, seguiti quasi subito da
Adesir. Io preferii chiudere la fila ed attesi che passasse anche Warnom,
ma per lui la caverna si rivelò impraticabile. Era come se l'ingresso
fosse ostruito da un muro invisibile, che il prete non poteva in alcun
modo penetrare.
-
Probabilmente è perché tu non sei un erede - dissi al mio amico, -
andrò io, tu attendici qui con Ishal.
Per
me l'ingresso era libero, ed appena Warnom finì di invocare su di me la
benedizione del suo dio, mi feci avanti, trovandomi quasi subito immerso
in un buio totale nel quale non potevo scorgere neanche l'apertura da
cui provenivo. Pochi istanti dopo, in lontananza, iniziai a distinguere
una luce e, non avendo altra scelta, iniziai a camminare in quella
direzione. Mi trovai davanti ad una sorta di portale illuminato, la cui
luce era così intensa da non permettermi di vedere cosa vi fosse
dall'altro lato. Mi feci coraggio e vi mossi attraverso, impugnando la
spada nera.
Con
una certa sorpresa, mi trovai all'interno di quella che sembrava
un'abitazione contadina con le pareti in roccia e legno ed il tetto di
paglia e canne, dall'aspetto povero ma dignitoso. Più mi guardavo
attorno, più avevo l'impressione di aver già conosciuto quel luogo, ed
in effetti la sua somiglianza con la mia casa natale di Arl-Raverim era
quantomeno straordinaria. Dalla porta socchiusa che sapevo dare
sull'esterno, proveniva l'inconfondibile rumore della battaglia.
Sembrava una scena già vissuta, ed in effetti era così. Mi portai
sull'uscio, in modo da guardare all'esterno, così mi ritrovai di fronte
al massacro del mio villaggio, cui avevo assistito da bambino. Da
qualche parte, sull'altura di fronte, sapevo ora che c'era Shair,
intenta ad osservare il macello senza tuttavia intervenire. Cosa stava
accadendo? Perché rivedevo una parte della mia vita passata che speravo
di aver cancellato con l'uccisione di Ob Dentrix, unico vero
responsabile di tutto?
Istintivamente,
volsi il mio sguardo nella direzione in cui ricordavo di essermi trovato
quando avvenne l'episodio, e mi vidi ancora là. Ma al posto del Gawain
bambino c'era ora quello adulto, del tutto identico a me come mi
conoscevo ora, tranne per il fatto che era completamente vestito di
bianco. L'altro me stesso si voltò verso di me e mi scorse, storcendo
la bocca con un'espressione mista di odio e disgusto. Quindi, di scatto,
balzò in piedi e iniziò a venirmi incontro, come se tutto il resto non
avesse alcuna importanza.
-
Come hai potuto ucciderli, maledetto? Come hai potuto uccidere i miei
genitori? - mi disse, rabbiosamente, mentre avanzava sfoderando la
spada. La sua arma era del tutto identica alla mia, ma anziché
risplendere della sua tetra luce nera emetteva un bagliore bianco
abbacinante, che non mi permetteva di fissarla. Balbettai qualche frase
incoerente cercando di spiegare che non ero stato io, che non c'entravo
nulla, ma l'altro Gawain per tutta risposta indicò la mia spada. Con
enorme stupore, mi accorsi che la lama grondava sangue fresco. Dietro di
me, all'interno dell'abitazione, i corpi dei miei genitori adottivi
giacevano, privi di vita, in una pozza di sangue. Cosa stava accadendo?
-
Aspetta, non sono stato io a commettere questo delitto, sono anche i
miei genitori! - gridai, cercando di spiegare. - Io ho già trovato il
colpevole ed ho avuto la nostra vendetta...
L'altro
me stesso non mi ascoltava, in preda alla rabbia. Prima ancora che
potessi completare la frase, mi fu addosso ed iniziò a volteggiare la
spada cercando di colpirmi. Che si trattasse di un confronto con la mia
stessa coscienza? Che quella fosse la parte buona di Gawain che mi
metteva alla prova? In tal caso, io dovevo essere la parte cattiva e
questo non mi suonava giusto. Ad ogni modo, se quella era una prova alla
quale venivo sottoposto, doveva essere la parte buona a prevalere, così
decisi che non avrei cercato di abbatterlo, e non ricorsi al potere
della spada nera.
Iniziai
a parare i suoi colpi, cercando di evitare di essere colpito senza
portare a mia volta attacchi contro l'altro Gawain. Nei momenti in cui
riprendevo fiato, continuavo a cercare di convincerlo dell'errore,
spiegando come avessi già vendicato il massacro del nostro villaggio e
dei nostri genitori, ma non c'era verso di fare breccia nella sua furia.
Ad un tratto riuscii a disarmarlo facendo volare la sua lama a terra,
che subito bloccai posandovi un piede sopra.
-
Lo vedi? Se volessi ti ucciderei ora, ma non lo sto facendo. Che motivo
potrei avere di uccidere te o i miei genitori? Rifletti, per Maethus,
ragiona!
Sordo
anche a questa mia ennesima dimostrazione, l'altro me stesso fece
comparire nuovamente la spada fra le sue mani, chissà in che modo,
tornando ad aggredirmi. La sorpresa fu tale che mi raggiunse al fianco,
provocandomi un'ampia ferita dalla quale presi a sanguinare
copiosamente.
-
Lo vedi? Sei cieco, per tutta la vita hai cercato di essere qualcosa di
diverso da ciò che sei veramente, quando capirai?
Incapace
di comprendere quell'accusa, rintuzzai le sue parole con il solo effetto
di inasprire la sua rabbia, mentre cieco per il dolore e la rabbia a mia
volta, rinunciai a parare e mossi un paio di timidi affondi che
mancarono il bersaglio. Fui colpito un'altra volta e caddi ancora nel
buio.
ciò
in cui avevamo fallito, a detta di Ishal, era stato il fatto di non
riuscire ad accettare una qualche verità sulla quale non vi fu modo di
ottenere maggiori dettagli. Sembrava che avremmo dovuto renderci conto
di qualcosa dalle parole suggerite dalle nostre coscienze, qualcosa che
avrebbe interrotto il loro atteggiamento aggressivo, ma che non avevamo
saputo vedere. Dal canto mio, ero convinto di aver appreso fin troppe
verità "scomode" sul mio stesso conto, e non potevo pensare
ve ne fossero altre, così l'atteggiamento di Ishal mi risultava sempre
più irritante e fui sul punto di minacciarlo nuovamente, quando
d'improvviso i due nani comparvero in mezzo a noi.
-
Bravi, bravi - commentò Ishal al loro indirizzo, inchinandosi
leggermente e battendo le mani. Chiaramente, i due fratelli erano
riusciti dove io e Adesir avevamo fallito. Almeno due di noi ce
l'avevano fatta, ma qual'era la soluzione a quella prova?
Cercammo
di farci spiegare l'accaduto dai nani, nonostante le pressioni di Ishal
il quale, adesso che il "lavoro" era stato compiuto, insisteva
perché ce ne andassimo lasciando lui e Clotilde alla loro solitudine. E
la soluzione era assai più semplice di quanto avrei mai immaginato. Ad
un tratto, i due avevano compreso che la terza chiave erano loro stessi,
e questo aveva risolto la prova in modo favorevole. La ricerca della
terza chiave era più semplice di quanto ci aspettavamo, e forse proprio
per questo io e Adesir non eravamo stati in grado di capire.
Ma
non era tutto qui, c'era di più. In realtà, ognuno di noi era stato
concepito fin dall'origine per essere una chiave, tutti noi eredi dei
cristalli eravamo, di fatto, una terza chiave potenziale che sarebbe
entrata in nostro possesso solo realizzando questa verità. Mi sembrava
un ragionamento contorto, ma lo accettai rallegrandomi della conclusione
della nostra terza tappa. Delle tre chiavi che avevamo cercato solo una,
la prima, era materiale, mentre le altre erano gli stessi esseri viventi
che, in un modo o nell'altro, erano coinvolti nella vicenda del
cristallo.
Come
fossero stati in attesa della conclusione delle nostre prove, vedemmo
allora Rael, Perigastus e Daeron che, dal basso, iniziavano a muoversi
verso di noi, procedendo verso la montagna. Ci vollero pochi istanti
perché li vedessimo comparire sulla cengia con un'espressione che
rivelava chiaramente come fossero al corrente di quanto era accaduto
già da molto prima che noi stessi lo scoprissimo. Anzi, c'erano
numerosi particolari che ancora non conoscevamo.
-
Bene, Ishal, direi che la cosa è fatta, tre contro due è la
maggioranza, no? - disse Perigastus con il suo solito fare misterioso,
mentre quasi con noncuranza riconsegnò spontaneamente il cristallo a
Adesir.
In
qualità di Perigastus o, se si preferisce, di erede di sé stesso,
scoprimmo infatti che l'arcimago aveva già superato la nostra stessa
prova il giorno precedente, portando a tre i componenti del gruppo che
avevano avuto successo. Affinché la chiave ci fosse consegnata, Ishal
aveva richiesto che la maggioranza degli eredi riuscisse nella prova,
cosa che era avvenuta. Ora eravamo tutti delle terze chiavi. Tante terze
chiavi, ma per aprire cosa?