A&P Chronicles 2003-2004 (IV, 7)

Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 30
Novembre 2019

Parte IV, Capitolo 7: "Infine, Eldaril!"

Seduta del 24 Febbraio 2004

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Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 30
Novembre 2019

Parte IV, Capitolo 7: "Infine, Eldaril!"

Seduta del 24 Febbraio 2004

"Infine, Eldaril!"

ben
felice di lasciare alla sua reclusione volontaria l'insopportabile Ishal,
montai nuovamente sul dorso di Rael, nuovamente in forma di drago,
pronta ad intraprendere l'ultimo tratto del nostro viaggio. Oltre al
nostro gruppo, vennero con noi stavolta anche Perigastus e Daeron,
poiché ormai era tempo che tutti gli attori della nostra storia
agissero assieme per portarla a compimento, nel tentativo di superare le
Mura di Ghiaccio e raggiungere infine gli Elfi.

Descrivendo
alcune ampie spire in aria per prendere rapidamente quota, Rael ci
proiettò rapidamente verso il cielo ancora una volta, dall'alto del
quale potemmo osservare l'isola Clotilde che si inabissava,
inaspettatamente. A conferma di quanto aveva detto Warnom, constatammo
che si trattava in realtà di una specie di gigantesca testuggine di
mare, un essere antico quanto il mondo stesso, il cui compito era forse
finito quel giorno, sottoponendoci alla prova delle nostre coscienze. Fu
uno spettacolo sorprendente e mirabile che non dimenticherò mai, e che
a lungo catturò la mia attenzione mentre ci allontanavamo ancora una
volta verso ovest.

Passammo
sei giorni sull'immenso drago le cui dimensioni apparivano ora modeste,
rispetto a quelle di Clotilde, solcando l'aria senza interruzione né
imprevisti, riscaldati di giorno da un sole a tratti intenso, foriero di
ciò che si prospettava come un felice epilogo della nostra avventura.
Ci riposammo a turno, sostenuti da coloro che vegliavano perché non
cadessimo nel sonno, mangiammo il cibo insapore di Warnom e ci
dissetammo dell'acqua che il prete creava dal nulla, in una trepidante
attesa di qualcosa che ancora non conoscevamo ma che suscitava ora un
comprensibile ottimismo generale. Perigastus si premurò di rivelare la
prima chiave, contenuta all'interno della sua staffa, la sola di natura
materiale che avremmo dovuto utilizzare in qualche modo. Le sole
perplessità erano quelle di Thorin, ancora preoccupato per la sua
convinzione che non vi potesse essere nulla al di là della barriera
che, secondo le comuni credenze, segnalava la fine del mondo.

Infine,
dinanzi a noi comparve la sagoma massiccia e imponente delle Mura di
Ghiaccio, una barriera infinita in larghezza ed altezza, dall'aspetto
impenetrabile. Sembrava una sorta di parete che circondava Terala come
fosse una grande stanza chiusa, come se il nostro mondo non fosse che
una scatola fredda al di fuori della quale un universo di ignoto
attendeva fin dai tempi della creazione di essere svelato. Rael
rallentò in prossimità della barriera, scrutando l'orizzonte, come
tutti noi, in cerca di un segno, un'apertura, o almeno di una toppa in
cui inserire la prima chiave.

Per
quanto ci sforzassimo, nulla lasciava intuire che le Mura di Ghiaccio
potessero aprirsi dinanzi a noi, e neanche Warnom trovò nulla
esaminando da vicino la parete gelida mentre camminava con naturalezza
sospeso nell'aria. Poi, dopo alcune clessidre e quasi sfiduciati,
notammo un'apertura sotto di noi, quasi sul livello del mare. Si
trattava di una specie di passaggio largo non meno di quaranta passi e
alto venti, più che sufficiente per noi ma assolutamente stretto per il
drago, eppure si trattava del solo indizio che riuscimmo a trovare per
un possibile ingresso. Occorreva esplorarlo, ma Rael non avrebbe mai
potuto scendere così in basso senza rischiare di precipitare in acqua,
cosa che sarebbe stata assai problematica dato che tutti eravamo
appesantiti dal nostro equipaggiamento, dalle armi e dalle
corazze. 

Di
comune accordo, consegnammo la prima chiave a Warnom il quale,
continuando a camminare sospeso in aria, avrebbe potuto controllare la
presenza di una serratura o di qualsiasi altro modo per utilizzare il
passaggio o un altro varco nelle Mura di Ghiaccio. Dopo pochi istanti,
lo vedemmo scendere e sparire all'interno dell'apertura. 

il
tempo passava, ma non accadeva nulla. Non si era aperto un passaggio né
un varco e, cosa ancor più preoccupante, non giungeva alcuna notizia da
Warnom che sembrava sparito nel nulla. Tentammo di chiamarlo fino ad
urlare a squarciagola, scatenando l'eco possente della barriera, ma non
giungeva nessuna risposta, né un cenno. Oltretutto, eravamo senza
l'aiuto della magia, poiché sia i poteri di Perigastus che quelli di
Thorin non sembravano funzionare in quel luogo; forse, la magia di
Warnom aveva funzionato proprio perché non era un erede, ma questo ora
non poteva esserci d'aiuto.

-
Legatemi ad una corda e calatemi giù, così che possa vedere cosa
succede - dissi ad un tratto, quando decidemmo che non era il caso di
attendere oltre. 

Rapidamente, i nani mi calarono in basso, e quando fui
quasi al livello dell'acqua potei guardare attraverso l'apertura. Il
passaggio era aperto, adesso, e dall'altra parte potevo vedere
chiaramente che il mondo non finiva alla barriera come tutti temevamo. Dall'altra
parte vidi una nuova distesa d'acqua, ben meno profonda, a giudicare dai
riflessi che sembravano rivelare una secca e dal fatto che vidi Warnom,
a circa cento passi di distanza, che si allontanava camminandovi verso
un'isola dall'apparenza verde e rigogliosa. Chiamai il prete, senza
risposta. Provai più volte, urlando più che potevo, ma Warnom non
sembrava udire né accorgersi di nulla, e procedeva in direzione
opposta, come se non esistessi. Visto che non riuscivo a richiamare il
nostro amico, strattonai la corda per farmi issare dagli altri.

Spiegai
quanto avevo visto, suscitando la perplessità anche del resto del
gruppo, di fronte allo strano comportamento di Warnom. D'altra parte,
era chiaro che il prete fosse riuscito in qualche modo ad utilizzare la
prima chiave per aprire il varco, quindi era opportuno in ogni caso che
lo seguissimo. Il problema delle dimensioni di Rael in forma di drago
non era irrilevante, tuttavia. Avrebbe dovuto ritrasformarsi in forma
umana, il che significava che ci saremmo dovuti tuffare nelle acque
gelide per poi proseguire a piedi come faceva Warnom: inevitabilmente,
avremmo dovuto separarci in modo definitivo da tutto il nostro
equipaggiamento. 

Sebbene
non sembrassero esserci altre alternative, la cosa non mi piaceva
affatto, ero assai affezionato alla mia corazza dono dei nani, ed alla
mia spada nera, che in quel momento mi trovai ad osservare, provando una
sensazione che potrei descrivere simile all'affetto. Non volevo
privarmene, pensai sulle prime, ed ebbi l'impressione che la spada
stessa mi chiedesse di non abbandonarla. Forse, era l'ultimo tentativo
di influenzare la mia mente di quell'oggetto che in fin dei conti sapevo
essere stato creato e posseduto da una volontà malvagia, di cui
rischiavo di cadere preda ogni volta che ne facevo uso.

Quella
consapevolezza, frutto di un momento di lucidità, e la determinazione
dei nani, che vidi gettare in acqua senza esitazione i loro martelli, le
asce e le pesanti corazze, alla fine mi convinsero. Anche Perigastus,
cosa che non mi sarei mai aspettato, lasciò che i flutti ingoiassero la
sua leggendaria staffa, che non degnò neppure di un ultimo sguardo.
Allo stesso modo, Adesir abbandonò l'Arco Sacro di Uldan, che in tante
occasioni ci aveva salvato la vita ed aveva determinato il nostro
successo nei numerosi combattimenti che avevamo affrontato. Ultimo ad
agire, sganciai infine i lacci e le cinghie del corpetto, abbandonandolo
all'oceano.  Poi, con mani tremanti, feci altrettanto con la lama
nera. Non riuscii a impedirmi di seguirla durante la caduta, tuttavia,
osservando la sua luce scura che si inabissava sotto di noi... Era come
se una parte di me fosse andata via, per sempre.

-
Sono molto debilitato e potrei avere difficoltà, nell'acqua gelida -
Perigastus mi riportò alla realtà, mentre ancora non distoglievo lo
sguardo dal punto in cui, sotto di noi, la spada si era inabissata per
sempre. 

-
Tieniti a me, vecchio - risposi, - ti aiuterò io a tornare a galla...

l'acqua
era veramente gelida e faceva rattrappire gli arti al solo contatto, non
appena ci fummo tuffati, rischiando una pericolosa paralisi dei muscoli
che non avrebbe concesso a nessuno di nuotare fino alla superficie.
Sentivo ancora la stretta di Perigastus, che annaspava faticosamente a
poca distanza da me, mentre tutto attorno turbinava la spuma provocata
dal tumultuoso ingresso in acqua di tante persone. Con l'aiuto di Daeron
trascinammo il vecchio verso la superficie, quindi ci affrettammo a
raggiungere il suolo ghiacciato del passaggio aperto da Warnom, dove
Adesir e Rael ci stavano già attendendo. In breve, anche i nani furono
issati in salvo, e ci avviammo attraverso il passaggio.

Come
avevo visto, al di là delle Mura di Ghiaccio la distesa d'acqua copriva
una grande secca sulla quale potevamo camminare agevolmente, poiché
l'acqua non superava le caviglie, e la cosa rassicurò certamente i due
nani, anche se in quell'occasione non si lamentarono particolarmente per
il tuffo cui eravamo stati costretti. Davanti a noi, la sagoma di Warnom
appariva in lontananza, sempre diretta verso l'isola verdeggiante. Lo
chiamammo a gran voce, e finalmente si voltò, fermandosi, agitando una
mano affinché potessimo distinguerlo meglio.

-
Per quale dannata ragione te ne sei andato senza dirci nulla, prete? -
lo apostrofò rabbiosamente Polgrim non appena raggiungemmo Warnom.

-
Ma siete impazziti? - rispose il seguace di Tais-Nokar, mentre Thorin lo
rimproverava a sua volta.

-
Come pensate che potessi chiamarvi, avete guardato alle vostre spalle? -
disse infine Warnom, facendoci voltare.

Le
Mura di Ghiaccio erano completamente intatte, dietro di noi. Nessun
segno dell'apertura da cui eravamo giunti. Evidentemente si trattava di
un passaggio magico che consentiva di muoversi in un senso solamente, il
che spiegava perché Warnom non avesse avuto altra possibilità che
muoversi per proprio conto. La cosa, ovviamente, significava anche che
non doveva essere facile lasciare quel posto per fare ritorno a Terala,
ma di questo nessuno sembrò preoccuparsi, in quel momento. Avevamo
affrontato pericoli e insidie di ogni sorta per giungere fino in quello
strano luogo, certo ora non si sarebbe tirato indietro nessuno.

-
Ora ricordo! - esclamò ad un tratto Daeron, come colto da un'improvvisa
rivelazione, mentre si guardava attorno, soffermandosi sull'isola ancora
lontana. - Ora ricordo da dove vengo, dove vive la mia gente... Ecco là
verde Eldaril!

L'isola
era dunque la nostra meta finale. Avevamo trovato il rifugio degli Elfi,
a quanto sembrava. Il posto da cui Daeron e pochi altri si erano messi
in viaggio per tornare a Terala, e di cui avevano perso memoria per un
sortilegio che imponeva di non rivelare a nessuno l'ultima dimora
dell'Antico Popolo. Alcune figure snelle e slanciate venivano verso di
noi, e non fu difficile supporre che si trattasse del comitato di
accoglienza di Eldaril. Ma quale sarebbe stata l'accoglienza?

Quando
ci incontrammo con gli elfi, ufficialmente per la prima volta, rimasi
alcuni istanti assorto nel contemplare quelle creature leggendarie,
eppure sotto molti aspetti simili a noi. Avevano gambe e braccia e occhi
come tutti, eppure era subito evidente quanto fossero diversi. E non era
per le orecchie lievemente a punta, né per gli occhi che accennavano
appena all'insù, ma per un'aura magica che essi emanavano e che pareva
quasi palpabile. Indossavano abiti elaborati e ornati di mille fregi e
rune, eleganti, con tinte del bianco, del verde e rifiniti con oro e
rosso porpora; i capelli erano lunghi e chiari, raccolti in lunghe code
o lasciati sciolti dando l'impressione di una leggerezza soprannaturale.
I loro gesti erano delicati ed aggraziati, e la loro lingua sembrava una
musica dolce e suadente, tanto che non mi resi conto, sulle prime che
avevano iniziato a parlare con Warnom, che sembrava comprendere quei
suoni.

-
Hanno detto che la nostra presenza non è gradita, qui - ci spiegò
Warnom dopo alcuni istanti, - ma hanno cambiato atteggiamento quando gli
ho parlato delle vostre eredità...

Quindi,
Rael si avvicinò al gruppetto e parlò loro nella sua lingua, che essi
compresero senza dubbio, poiché si produssero in un lieve inchino
riconoscendola evidentemente quale esponente di una razza antica almeno
quanto la loro. Penso che fu in quell'occasione che la seconda e la
terza chiave vennero usate, indirettamente, concedendoci il favore degli
Elfi, poiché immediatamente essi ci invitarono a seguirli verso la
città di Eldaril chiamandoci "nobili ospiti", con un
atteggiamento amichevole e cordiale di certo non avevano mostrato sulle
prime. Maliziosamente, ripensando a quanto era accaduto a Bar-Arghaal,
durante quell'ultimo breve tragitto mi trovai a fantasticare sui
complotti e le losche trame in cui ci saremmo trovati coinvolti al
nostro arrivo, ma stavolta, fortunatamente, la mia malizia era
ingiustificata.

eldaril,
l'ultima dimora degli Elfi che avevano lasciato Terala, era qualcosa di
straordinario, che mai avrei immaginato. Se a suo tempo mi ero
meravigliato dell'incredibile abilità degli ingegneri nanici che erano
stati capaci di ricavare un gioiello come Bar-Arghaal dalla fredda e
dura roccia, ancor più fui colpito nel constatare come gli Elfi vivevano
in completa armonia con la natura e l'ambiente circostante. Nessuna
costruzione balzava all'occhio in contrasto con il bosco che costituiva
il cuore di Eldaril, solo uno sguardo attento riuscì a distinguere,
dopo un po', i segni della presenza elfica in quel luogo.

Inizialmente,
sembrava di trovarsi all'interno di un bosco sacro dei druidi, composto
di grandi e antiche piante dai fusti slanciati verso l'alto, con un
sottobosco pulito e impregnato dei fragranti aromi della natura. Animali
di ogni genere si aggiravano in quel bosco, incuranti della nostra
presenza, affatto timorosi come si sarebbero invece mostrati dalle
nostre parti. Scoiattoli, ghiri, uccelli e altro ancora sembravano a
loro volta condividere quel mondo fantastico con ogni altra creatura, e
non avevano alcun pudore nel saltellarci intorno, venendo anche ad
annusarci per capire che razza di creature potessimo mai essere.

Poi,
iniziammo a vedere le abitazioni degli elfi, le loro strade sospese fra
gli alberi, ed i primi abitanti, che certo non avremmo mai notato se
solo così avessero desiderato. Ogni casa era delicatamente ricavata o
integrata con gli alberi, a varie altezze, lungo i tronchi secolari e
altissimi, in apparenza senza alcun danno per le piante stesse, come se
queste si fossero volontariamente offerte di fornire il proprio riparo
ad una razza con la quale erano usi convivere da sempre. Fra gli immensi
alberi si snodava un fitto intrico di passaggi sospesi, fatti di
tronchi, di liane ed altro ancora, che costituivano una vera e propria
rete viaria di quella città  sospesa, da cui volti curiosi ci
osservavano come qualcosa di assolutamente inatteso e straordinario.
Tutto sembrava pulito e ordinato, razionale e organizzato, ma pareva
essere ottenuto in completa armonia con l'ambiente circostante piuttosto
che con l'intervento del lavoro manuale. Era un luogo magico e
seducente.

Dopo
esserci addentrati per un pò all'interno del bosco, iniziammo a salire
lungo alcuni passaggi sospesi, fino a che raggiungemmo una specie di
piattaforma che potrebbe corrispondere ad una piccola piazza delle
nostre città umane. Un elfo molto, molto anziano, che indossava
paramenti particolarmente eleganti dalle tonalità del verde e del
marrone ci venne incontro, sorridendo.

-
Siate voi i benvenuti nella verde Eldaril, o eredi degli eroi dei
cristalli che furono miei cari amici! Il mio nome è Willard, Willard da
Apolirt.

Riconobbi
quel nome dalle antiche cronache dei cristalli che avevo consultato
tempo addietro, prima ancora di sapere che quelle stesse vicende mi
avrebbero coinvolto non molto tempo dopo. Era egli stesso uno degli eroi
dei cristalli, in particolare buon amico di Felgrim, l'antenato comune
di Polgrim e Thorin. Dunque, sembrava proprio che chiunque avesse avuto
a che fare con i cristalli ne avesse tratto una singolare longevità,
poiché a parte Felgrim e Korradrim avevamo incontrato o sentito parlare
di tutti gli altri! Chissà se anche a noi sarebbe toccato quello stesso
destino, in particolare Adesir che tanto a lungo era stata a contatto
con il cristallo?

Esauriti
i convenevoli, Willard si premurò di darci un alloggio perché
potessimo riposare, e ci fece anche avere abiti nuovi dal momento che i
nostri erano o rovinati e fradici, oppure li avevamo dovuti abbandonare
perché troppo d'impaccio nel nostro breve tuffo in acqua, come nel caso
di Adesir e Perigastus. L'indomani saremmo stati ricevuti dal senato
degli Elfi perché potessimo completare la nostra missione, ma per il
momento ci limitammo a riposare godendoci il banchetto serale, che in
quel luogo magico aveva un'atmosfera assai diversa dai soliti
ricevimenti. Dopo giorni e giorni di poltiglia insapore, alla quale
dovevamo comunque la nostra sopravvivenza grazie a Warnom, assaporammo
finalmente il gusto del cibo vero, mangiando a sazietà e oltre di
quelle pietanze prelibate che recavano anch'esse un qualcosa di magico
nei sapori. Il tutto fu condito da fiumi di una straordinaria birra
elfica che gli stessi nani gradirono moltissimo, che aveva l'inusuale
proprietà di non ubriacare per quanta ne bevessi.

Tutti
sembravano finalmente felici e tranquilli, dopo tante incertezze e i
tanti pericoli corsi in quei mesi passati. I momenti di sconforto, i
cattivi presagi, tutto sembrava superato come per miracolo, certamente
un ulteriore effetto della magia che pervadeva Eldaril ed i suoi
abitanti. Non solo non ci trovammo mai a disagio fra gli elfi, come
avevo temuto, ma anzi ci trovammo così bene che in quei momenti iniziai
a pensare che non me ne sarei mai più andato da quel posto fantastico,
nonostante fossero evidenti le differenze profonde che c'erano fra le
nostre razze.

Solo
Adesir e Daeron non parteciparono al banchetto, ma non certo perché
fossero ancora oppressi da oscuri pensieri e timori, anzi. Già
dall'ultima parte del nostro viaggio avevo notato un curioso interesse
della ragazza nei confronti di Daeron, interesse che si era via via
rivelato più esplicito per via del fatto che l'elfo non sembrava
disdegnare gli sguardi e gli ammiccamenti della ragazza. I due,
evidentemente, ne avevano approfittato per appartarsi e godersi un po'
di tranquilla solitudine, beneficiando forse nel modo migliore di
quell'atmosfera particolare...

il
Senato elfico era costituito da tre gigantesche querce che ospitavano i
vari seggi, grossolanamente divisi fra un'ala destra ed una sinistra,
dove prendevano parte rispettivamente, come ci aveva informato Willard,
i cosiddetti "giovani" e gli "anziani". Si trattava
di una suddivisione principale, all'interno dell'organo consiliare, che
divideva due importanti interpretazioni della gente di Eldaril. La
fazione dei giovani, di cui era capo lo stesso Willard e di cui facevano
parte altre nostre conoscenze come Daeron, era quella di coloro che
ritenevano errata la scelta di isolarsi da Terala, e che periodicamente
avevano inviato qualcuno al di là delle Mura di Ghiaccio per non
perdere completamente i contatti con il mondo. Di contro, gli anziani
erano coloro che avevano originariamente fatto valere la loro idea che
fosse necessario lasciare il mondo al destino determinato dalle sue
altre razze bellicose, disinteressandosi di ciò che accadeva.

Non
ci voleva molto per capire che la nostra missione diplomatica avrebbe
comportato uno scontro definitivo tra le due fazioni, poiché
ufficialmente eravamo lì per chiedere agli Elfi di rinunciare al loro
isolamento e tornare a interessarsi di Terala e delle altre razze.
Willard era ovviamente dalla nostra parte e si premurò di farci alcune
utili raccomandazioni prima di parlare, intese a evitare che il nostro
modo così diretto e diverso di interpretare le cose potesse essere
recepito in modo sbagliato dai nostri autorevoli interlocutori.

Infine
venne il momento, quando entrarono i tre re degli Elfi, che
rappresentavano i Silvani, gli Alti ed i Bianchi. Gli elfi selvaggi
erano rappresentati da numerosi senatori come le altre tre razze, ma non
erano organizzati secondo una struttura monarchica, di conseguenza non
c'era un quarto re a presiedere la seduta. Per prima cosa venne chiamato
Perigastus, il quale non si era presentato ritenendo di non essere
gradito, ma evidentemente non era così. Con mia grande sorpresa,
l'arcimago aveva nuovamente la sua tunica di un tempo, e stringeva
ancora la sua staffa.

Poi,
fu la volta di parlare.

Il
primo ad essere ascoltato fu Polgrim, che seppe sottolineare molto
abilmente l'errore di una scelta isolazionista, portando l'esempio del
Bar-Arghaal; la presunta inviolabilità di Eldaril, contestata da alcuni
senatori "anziani", fu messa in discussione proprio
dall'esempio portato dai due nani, poiché all'orazione del fratello si
aggiunse presto anche Thorin. Quindi fu la volta di Adesir, che rispose
ad alcuni senatori che si piccavano per il fatto che, ancora una volta,
le razze più giovani si rivolgessero agli elfi chiedendo qualcosa,
senza mai avere nulla da dare. La ragazza fu abile a sua volta, nello
sfruttare il colpo di scena che si verificò quando mostrò a tutti il
cristallo, indicando cosa avevamo da dare loro.

Vi
furono a questo punto alcuni interventi confusi, poiché il cristallo
era naturalmente considerato un oggetto pericoloso, in quanto avrebbe
potuto sedurre e corrompere a sua volta gli elfi stessi, ancorché
inizialmente intenzionati alla sua distruzione. E tuttavia, anche queste
proteste e discussioni, per quanto accese, mi stupirono perché non si
trasformarono mai nelle invettive piene d'ira cui ero solito assistere
in questi casi, il tutto si manteneva in un clima di civile ed educata
discussione che, seppur accalorata in alcuni momenti, almeno non mise
mai il nostro gruppo sul banco degli imputati.

Perigastus
sottolineò ancora l'esempio di Bar-Arghaal per convincere la platea che
l'isolamento non poteva essere una soluzione definitiva né duratura.
Quindi, infine, venni ascoltato anche io, che modestamente, da uomo
d'armi, ero forse il meno indicato per un compito simile. Eppure, vinto
il primo momento di imbarazzo di fronte a quella platea così
particolare, udii la mia voce sicura e ferma richiamare l'intera razza
elfica al dovere che gli dei le avevano imposto sul mondo e sulle altre
razze, creandoli per primi. Non eravamo fatti per vivere isolati gli uni
dagli altri, o gli dei ci avrebbero creato un mondo per ciascuno, dissi.
Eravamo fatti per vivere assieme, e anche se a volte i nostri vicini di
casa erano maleducati o sgradevoli, chi era più anziano e saggio aveva
il dovere di istruire, educare e guidare gli altri, come sempre era
stato nelle ere precedenti di Terala. La mancanza degli elfi causava ora
uno squilibrio che non poteva essere pareggiato e sul cui esito tutti
saremmo stati chiamati a rispondere di fronte agli dei per giustificare
cosa avevamo fatto per impedire la rovina del mondo.

Con
stupore, notai che anche il mio discorso fu seguito con interesse, e non
sollevò le obiezioni della fazione opposta, come se in qualche modo
fossi riuscito a fare leva su argomenti in qualche modo convincenti.
Rael aggiunse del suo, concludendo la nostra esposizione, sottolineando
il ruolo dell'equilibrio delle forze che aveva costretto anche i draghi
a tornare in campo, anche se questo non mancò di attirare sulla sua
razza le critiche di qualcuno.

Al
termine, mi sentivo stanco come se avessi sostenuto un combattimento,
dato che la tensione nervosa evidentemente non era da poco. Vi furono
alcuni istanti di silenzio quando tutti ebbero parlato, ed infine fu uno
dei tre re a prendere la parola.

-
Vi siamo assai grati per quanto ci avete riferito, e siamo riconoscenti
per l'impegno che ci avete messo per giungere fin qui a portare notizie
così importanti senza certezza alcuna di un risultato favorevole. La
nostra antica razza non mancherà di considerare tutto quanto avete
fatto finora e detto oggi, ma occorrerà del tempo perché si possa
prendere una decisione assennata, poiché le nostre numerose esperienze
dovute ad una vita ben più lunga della vostra richiederanno una
particolare attenzione.

Sembrava
quasi un modo cortese per liquidarci in fretta, e per un momento fui
preoccupato, attendendomi un rifiuto conclusivo. Ma gli elfi erano gente
ben diversa da tutti coloro che avevo mai incontrato in vita mia, e
quando il re riprese a parlare ebbi modo di sentirmi compiaciuto e
orgoglioso.

-
Cercheremo di fare in modo che il tempo delle decisioni sia il più
breve possibile, proprio in considerazione del fatto che le vicende del
mondo non seguono più i tempi degli Elfi, ma sono accelerate, come le
vostre vite. Voi sarete nostri nobili ospiti e vivrete con noi, in
questo periodo, nella considerazione dei grandi eroi di tutti i tempi,
poiché la vostra epopea è straordinaria anche ai nostri occhi, e ci
mostra nuove vie di pensiero che tutti dovremo esplorare, anche coloro
che già da tempo sostengono che sia giunto il momento di un ritorno.

compresi
in quel momento che ce l'avevamo fatta. Gli elfi sarebbero intervenuti,
si trattava solo di definire come, quando, con quali obiettivi. Ma di
sicuro, non avevano perso l'interesse per il mondo di Terala che un
tempo gli dei avevano loro affidato, né avevano del tutto perso
l'interesse per le nuove razze, nonostante la comprensione del nostro
pensiero fosse qualcosa di arduo almeno per i più anziani. E anche se
alla fine avessimo perso e Themanis fosse risultato vincitore, tutti
eravamo coscienti in cuor nostro di aver fatto tutto il possibile per
impedirlo, ognuno avrebbe risposto al suo dio con la coscienza a posto
nel giorno del grande giudizio. 

C'era
ancora grande incertezza su cosa sarebbe accaduto ora, eppure una nuova
speranza era appena nata, per merito nostro. Forse un giorno dei nuovi
eroi si sarebbero ispirati alle nostre gesta nel tentativo di fare ciò
che era giusto, sfidando la sorte ed il destino anche quando questi si
mostravano ineluttabili e poderosi. Forse la nostra epopea serviva a
dare una nuova speranza anche ad altri, dimostrando che, in fin dei
conti, il destino non è immutabile e può essere alterato dalle nostre
azioni. Si tratta solo di scegliere le nostre azioni con mente libera e
cuore puro, come mi sentivo in quei giorni più ancora che prima.

Era
evidente che una nuova era iniziava per il mondo di Terala in quei
giorni. Nulla sarebbe più stato lo stesso. Il ritorno dei draghi e
degli elfi era destinato a provocare un cambiamento radicale non solo,
come ci auguravamo, negli equilibri che governavano il mondo, ma anche
nel modo di vivere e di pensare di tutte le razze, che forse avrebbero
trovato nella cooperazione una nuova via verso un'esistenza più serena.

Non
mi facevo illusioni allora come non me ne faccio ora, il mondo
conoscerà altri malvagi, altre guerre, altre storie di tradimento,
assassinio e perversioni di tutti i tipi, perché queste cose sono nella
natura di tutte le razze e, come ci fu dimostrato, non si può estirpare
selettivamente la malvagià o la bontà da un popolo né da un
individuo. Il segreto era nell'equilibrio, nel prendere coscienza della
natura del mondo e nella capacità di vivere in armonia con esso. Il
libero arbitrio esercitato da ciascuno serviva per scegliere un campo di
battaglia, che fosse per il bene o per il male non importa, poiché
anche il male è necessario per apprezzare il bene.

Una
nuova era si accingeva ad iniziare. Il nostro ruolo era stato quello di
portare a compimento quegli eventi, messi in moto dai nostri antenati
secoli prima, che avrebbero permesso di avviare la nuova epoca di Terala.
Ora il nostro compito era terminato. Forse ci sarebbero state altre
avventure, con gli stessi compagni o con altri, ma la nostra missione di
vita, l'eredità che avevamo portato nel sangue, aveva trovato il suo
compimento con quanto ho narrato in questo mio diario.

Per
questi motivi, qui si interrompe la mia narrazione. Se questo mio diario
può essere d'aiuto per le generazioni future, costituendo una
testimonianza di quanto di eroico vi fosse in noi, saranno i posteri a
giudicarlo. A me piace pensare che qualcuno ci ricordi per aver dato al
mondo una nuova epoca di speranza, e in questo contesto non importa ciò
che accadde dopo, cosa fecero Gawain, Adesir, Thorin, Polgrim, Warnom, e
tutti gli altri.

Di
noi si è parlato ormai abbastanza, ma c'è molto altro da raccontare.
Vi furono altri eroi, dopo di noi, le cui gesta meritano di essere
narrate, gli eroi della nuova era di Terala. E' ora che le leggende
parlino di loro, adesso. Gli Eredi dei Cristalli hanno solo fatto la
loro parte.