Bellissimo articolo, grazie a te ConteGoblin per essere sempre un goblin dal cuore verde/oro!!
Nella vita faccio l’insegnante perché un giorno, dopo aver perso il lavoro per una seria forma di pigrizia cronica, ho scoperto che mi piace dire alla gente che sbaglia e adesso mi pagano per farlo.
Fino a qualche anno fa, la mia vita ruotava attorno a due cose: mia moglie e il gioco. In una vita in cui, per soffrire meno, ho scelto di provare poco, il gioco rappresenta una via d’uscita; il gioco mi fa soffrire, mi fa gioire, mi fa riflettere in maniera positiva, mi fa smettere di pensare al mondo e alle sue nefandezze, mi frustra, mi fa arrabbiare, mi fa sbattere i piedi, mi fa sbuffare per l’insoddisfazione e la noia. Mi concede, cioè, la scelta di provare le emozioni che solitamente rifiuto.
Non per sminuire una seria condizione mentale, ma la solitudine è una brutta bestia. Nella solitudine ti aggrappi ad amicizie che non sono costruttive per la tua salute mentale. Non sto parlando di quelle nate come conseguenza del paragrafo precedente, ma di quelle strette con altre figure “immaginarie” che ti fanno compagnia quando sei solo, amiche con nomi altisonanti e spesso fraintesi, come depressione e ansia. Ci sono amicizie migliori per un essere umano, ma quando ti senti solo non vai troppo per il sottile, ti aggrappi a quel che trovi.
Invece, grazie all’evento nel freddo di fine decennio, mi sarei trovato, di lì a breve, circondato di persone. Persone vere, persone fisiche, persone di pelle e ossa e carne e sangue. Solo il loro sangue era diverso da quello di tutti gli altri, perché il loro sangue era verde. Io non ci potevo credere: c’erano delle persone che non erano mia moglie che sembravano aver voglia di passare del tempo con me e che condividevano la mia passione per il gioco. Ero in paradiso? No, ero in una Contea, circondato da Goblin.
Scoprii un nobile in me. Nel primo gioco giocato, ogni giocatore era rappresentato da un personaggio, e il mio era un vampiro goblinesco. Io, che nella vita internettiana avevo vissuto alla ricerca del nickname perfetto, con risultati più o meno eccelsi, alla necessità di inserirne uno per il sito Goblin scelsi a caso, ripensando al primo gioco provato. Ma ero convinto che sarebbe stato solo un nickname per un forum, non sapevo che avrebbe guidato la mia vita futura. E invece… Entro nel locale, luci soffuse e gente che mumbla. Faccio a tempo a varcare la soglia e a guardarmi un attimo intorno che una giovane e procace fanciulla mi si para davanti e mi fa: “Tu devi essere il ConteGoblin. Benvenuto!” La mia vita non fu più la stessa.
Scoprii di avere amici. Io di amici ne ho sempre avuti pochi, forse per la mia tendenza a isolarmi per dare attenzione alle amiche immaginarie, forse perché a pochi piace stare in compagnia di un disfattista cronico, forse perché la maschera che indosso mostra agli altri un’aria di indifferenza che tiene a distanza. Forse per una serie di altri motivi di cui non sono a conoscenza; che ne so, magari perché sono una brutta persona. Ma questa gente sembrava seriamente interessata ad avermi intorno.
Scoprii un mondo più grande, un mondo più verde, un mondo più felice, pieno di altre Vanie e altri Jones e altre Bube e Fate e Nymerie e altri Dimi e Yoghii e Fabii. Decine, centinaia di persone che svestivano per un giorno o due i costumi e le maschere indossati nella vita di tutti i giorni, nella vita di tutti gli altri giorni, e indossavano una maglia, un’anima, una vita verde. Persone da ogni angolo d’Italia e anche dall’estero, dagli aspetti, visioni e opinioni più diversi e magari opposti, persone che magari là fuori si sarebbero dovute odiare, che si scoprivano famiglia per un istante, un giorno, un fine settimana.
Scoprii Play. Play è il Paese dei Balocchi, il villaggio di Babbo Natale, il mondo magico in cui la passione diventa realtà per migliaia di persone. Play è l’occasione di provare tutto il provabile, socializzare con il socializzabile, comprare il comprabile e lamentarsi del lamentabile. Play è la sagra del sorriso e delle borse di plastica, delle scatole di cartone e dei puzzilli di legno. Si potrebbe descrivere come l’evento ludico più grande d’Italia (non conosco i numeri lucchesi, ma questo è l’Evento sul gioco da tavolo), ma per me è la vacanza che aspetto per trecentosessantadue giorni all’anno, più ancora delle vacanze al mare o in montagna. Sono le vacanze da passare nuotando in un mare di verde, con quegli occhi che ti guardano esattamente come i tuoi guardano loro, con quegli atteggiamenti che ti dicono “non ci vediamo da un anno, ma a me non importa, tuo sei mio fratello e io ti voglio bene”, ma anche “non ti conosco ma tu sei la mia famiglia, abbracciamoci!” Play mi fa sempre tornare alla mente la bandiera vista all’ingresso di Celtica: “Qui non ci sono estranei, solo amici che non abbiamo ancora incontrato.”
Scoprii, infine, la Goblinanza. Un senso di appartenenza alla mia famiglia dal cuore verde. La Goblinanza può essere una spilla, una maglietta, una tessera, un tatuaggio, un palloncino e un orecchino, un dado colorato e un gioco prestato, un abbraccio e una spiega, un cicchetto e un “Pesca! Pesca!” urlato a squarciagola.
La Goblinanza è la voglia di stare insieme in un mare di facce, un mare di mani, un mare di cuori tutti indistintamente verdi. La Goblinanza è la fatica che non senti, la voce che usi anche se non ce l’hai, le gambe che muovi sull’onda dell’entusiasmo. La Goblinanza è l’antitesi della solitudine, è la cura, anche solo temporanea, contro le amiche immaginarie. La Goblinanza è il sorriso mentre spieghi lo stesso gioco per la dodicesima volta.
In una vita di “amicizie” sbagliate, la Goblinanza è serenità, è felicità, è amore.