A&P Chronicles 2002-2003 (III, 7)

Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 24 Dicembre 2005

Parte III, Capitolo 7: Fuga da Bor-Vigassian

Seduta del 18/12/2002

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Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 24 Dicembre 2005

Parte III, Capitolo 7: Fuga da Bor-Vigassian

Seduta del 18/12/2002

Fuga da Bor-Vigassian

restammo in silenzio per alcuni interminabili istanti, senza trovare nulla da dire. Il peso della consapevolezza di aver compromesso i rapporti di Bor-Vigassian con Themanis sembrava un macigno sulle nostre coscienze, come era facile intuire dalle espressioni sui nostri volti.

Frostwind tentò di dire qualcosa scusandosi er la piega che avevano preso gli eventi a causa nostra, ed io a mia volta diedi la mia disponibilità per tentare di riparare in qualche modo, se potevamo renderci utili. Il Duca rimase pensoso senza rispondere.

Non mi sentivo colpevole per qualcosa, come credo anche i miei compagni, in fin dei conti era uno dei rischi della missione affidataci, e non eravamo stati noi a sbagliare qualcosa per incapacità o leggerezza. Tuttavia, volenti o nolenti, eravamo noi la causa principale di quella situazione che, forse per la prima volta nella storia, rischiava di mettere seriamente in pericolo la fortezza più inespugnabile dell'intera
Esmeldia.

Vigassian trascurò le nostre parole, scambiò qualche frase con il suo Lothar Noch, quindi disse che aveva bisogno di discutere alcune cose urgenti con i suoi. Si alzarono, dicendoci di attendere in quella sala, e si allontanarono lasciandoci soli. Restammo ancora in silenzio, scambiando solo poche parole, in attesa di una via d'uscita. 

dopo qualche tempo la porta fu aperta e nuovamente il Duca si unì a noi, tornando a sedersi al tavolo delle riunioni, accompagnato da un uomo di mezza età che indossava un'ampia tunica grigia. Come prima cosa ci consegnò una lettera contenente la risposta da portare a Shair, che recava il sigillo di Bor-Vigassian, avendo cura di farci intendere che si trattasse di un messaggio in codice, decifrabile solo con l'uso della magia.

- Questo è Galassar, il mio esperto di arti magiche - ci presentò l'uomo in grigio che era rimasto in piedi al suo fianco, il quale fece un cenno di saluto. Galassar sarebbe stato determinante sia per la nostra fuga che per insegnare a Frostwind ciò che serviva per decifrare il messaggio, una volta che lo avessimo recapitato a
Shair.

- Dovete partire al più presto - disse - e in questo ci aiuterà Galassar. Tu, Frostwind, immagino sia in grado di violare le barriere del tempo, vero?

Frostwind annuì, mentre Galassar gli porgeva una pergamena dall'aspetto antico, tenuta arrotolata da un nastro blu. Il mago sciolse il nastro e srotolò la pergamena, osservandola. Incuriosito, sbirciai le scritte sporgendo la testa di lato, ma riuscii a vedere solo una miriade di segni incomprensibili che mi provocarono un cerchio alla testa al solo sguardo.

Poi vidi Frostwind effettuare alcuni rapidi movimenti con le mani, seguito da Galassar, ed improvvisamente i due scomparvero in una grande sfera luminescente che si materializzò a mezz'aria nella stanza, lasciandoci tutti sorpresi ad eccezione della sola Adesir che sembrò avere una certa familiarità con quelle stranezze magiche. Prima ancora che potessimo riprenderci dalla sorpresa, i due uomini erano nuovamente dinanzi a noi, come non si fossero mai allontanati.

- Uscirete da Bor-Vigassian per una via segreta - disse il Duca, tornando a sedere. - Tuttavia, è necessario per la sicurezza della città che tale via resti segreta, pertanto Galassar opererà su di voi un incantamento che vi farà dimenticare ogni cosa della vostra fuga, una volta fuori di qui. Spero vorrete comprendere questa necessità...

Thorin tentò di obiettare qualcosa, ma intuendo che quella era la sola via di fuga possibile che avrebbe consentito a Bor-Vigassian di matenere la sua sicurezza, cercai di farlo ragionare ed ottenni il suo assenso, anche se poco convinto.

Galassar ci fece disporre a semicerchio e iniziò ad aspergere alcune polveri scintillanti dal profumo aromatico, gesticolando don le snelle ed agili dita di una mano mentre intonava una cantilena che trovai rasserenante ed ipnotica. 

L'ultima cosa che vidi fu uno sguardo fra Adesir ed il Duca di
Vigassian.

ci ritrovammo ai piedi di una catena montuosa, in mezzo alla neve ed al freddo rigido di quelle regioni, stanchi morti, bagnati dalla testa ai piedi. Thorin aveva evidenti segni di ferite riportate in combattimento, e aveva perduto la sua ascia. Adesir scoprì di avere almeno una dozzina di frecce in meno nella faretra, e la mia lama grondava di un liquido scuro come il sangue di qualche creatura degli abissi. Frostwind si sentiva esausto e disse che aveva perduto molto potere, ma riuscì comunque ad invocare le sue arti per asciugarci gli abiti. Il freddo era pungente, ma almeno non eravamo più bagnati come pulcini.

Era evidente che avessimo sostenuto un combattimento, ma dove, quando e contro chi erano domande alle quali nessuno di noi avrebbe saputo rispondere, ad eccezione del solo Frostwind che però avrebbe dovuto prima riposare a lungo. Ci accontentammo di constatare che eravamo comunque vivi, ed anche ad una certa distanza dalla rocca di Vigassian, secondo le stime di Thorin, secondo il quale ci trovavamo a sud della fortezza, dall'altro lato della catena montuosa.

Quanto tempo fosse passato dal momento in cui ci eravamo affidati a Galassar per la nostra fuga era un'altra delle domande che dovevano restare, per ora, senza risposta. Poteva essere passato un giorno o una settimana, ma comunque doveva trattarsi di un bel po' di tempo, dato che nessuno indossava gli stessi abiti che avevamo alla partenza, i quali erano nei nostri zaini, bagnati e malridotti.

Avevamo con noi il nostro equipaggiamento leggero, gli zaini e le borse, ma non i cavalli né il carro e quanto vi avevamo lasciato. Il malumore tornò in me a sostituire l'eccitazione quando constatai che probabilmente avevo perduto Notturno per sempre.

Ci incamminammo, orientandoci in qualche modo, per evitare che il freddo ci gelasse sul posto. Decidemmo di farci guidare da Thorin che aveva percorso quelle zone pochi mesi prima, per cercare di evitare di trovarci nel bel mezzo dell'esercito che sapevamo accampato da qualche parte al di là del Meldan. Anche Bor-Skullarim era ovviamente da evitare, così ci incamminammo verso il Passo di Giada, che in quel periodo dell'anno non era molto frequentato e attraverso il quale avremmo raggiunto la pianura, riprendendo la stessa strada seguita nel viaggio di andata.

Verso sera la neve smise di cadere, concedendoci una tregua insperata. Il corvo era tornato e gracchiava sulla mia spalla, indicando qualcosa in alto.

- Servitori del nemico! - esclamò Frostwind guardando alcuni stormi di uccelli neri avvicinarsi verso la nostra direzione. Ci stendemmo a terra cercando di renderci il meno visibili possibile, ed il mago fece diventare bianchi i nostri indumenti, in modo che si confondessero con la neve.

- Cercatori... ci stanno cercando! - disse quindi Frostwind, dopo aver brevemente impugnato il suo nuovo bastone di fronte a sé. Ora eravamo davvero in pericolo. I cercatori erano le Ombre, quelle che avevamo già incontrato una volta, e sapevamo di non avere speranza contro tali aberrazioni di non-vita. Rinunciammo alla sosta e riprendemmo la nostra marcia, allo scopo di allontanarci il più possibile.

camminammo quasi senza soste per almeno un giorno intero, spinti dalla paura delle Ombre e dalla consapevolezza che una sosta in quei luoghi avrebbe certo comportato la morte certa a causa del grande freddo.

Esausti, trovammo una grotta riparata e ci accampammo al tramonto, quando avevamo già in vista il Passo di Giada a non più di quattro clessidre di marcia. Frostwind non avvertiva più la presenza di cercatori, e questo contribuì a migliorare il nostro umore, consentendoci di riposare per riguadagnare le forze.

Al mattino, riprendemmo il viaggio, che fu reso più confortevole da Frostwind, il quale, recuperati i suoi poteri, evocò alcune di quelle strane cavalcature fantasma che già una volta avevamo usato. Il solo a creare problemi fu in quel caso Thorin, che non ne voleva assolutamente sapere di montare con me. Fummo costretti a farlo partire prima, per dimostrargli che potevamo procedere più speditamente, ed alla fine mi fece promettere che non gli sarebbe accaduto nulla di male se lo avessi preso in sella.

Ad un tratto, il corvo iniziò a gracchiare con una certa insistenza.

- E' una trappola! - esclamò
Frostwind.

Non riuscivo a vedere null'altro che il paesaggio attorno a noi. Sembrava sgombro e tranquillo, nulla faceva pensare che vi fosse un pericolo in agguato. Sfoderai la spada e mi accorsi che vibrava violentemente! Inotlre, notai che la mia mano era ora nera come la lama stessa, ma non ebbi tempo da dedicare a quell'ulteriore stranezza.

Vidi il panorama davanti a me strapparsi come un drappo, e istintivamente mi strofinai gli occhi per essere certo di non sognare. Ad una trentina di passi da noi, il panorama sembrava come dipinto su una tenda che era stata scostata, dalla quale fuoriuscivano ora otto themaniti. Tre di loro impugnavano delle balestre pronte al tiro, mentre gli altri avevano delle asce. 

- Allora, venite con noi, o dobbiamo venire a prendervi? - gridò Ob
Dentrix. 

Nonostante la magia, nonostante la distanza, il maledetto era riuscito a trovarci ancora. 

era ora di mettere fine a quella situazione. Frostwind agì immediatamente e vidi ancora un grosso cristallo materializzarsi a mezz'aria fra i nemici, quindi esplodere in una miriade di frammenti acuminati. Lasciai scendere il nano e feci scattare in avanti la mia cavalcatura, roteando la spada in alto oltre la testa, pronto a calarla con la massima forza possibile.

Quando si diradò il polverone causato dall'esplosione del cristallo, ero già in corsa. Tre themaniti giacevano a terra privi di vita ed un altro sembrava ridotto in pessime condizioni. Ob Dentrix era coperto di ghiaccio, ma non sembrava aver risentito dell'attacco.

Calai la lama con tutta la forza che avevo in corpo, affondandola nella corazza dell'avversario, mentre lui con un colpo basso diretto ai garretti causò l'improvviso smaterializzarsi della mia cavalcatura. Mi ritrovai in volo, proiettato in avanti a grande velocità, fino a cadere in un cumulo di neve che fortunatamente attutì l'impatto. 

In un attimo, Ob Dentrix fu su di me, intenzionato a non lasciarmi rialzare. Inginocchiato ed in parte sbilanciato, tentai di parare i suoi colpi mentre riguadagnavo la posizione eretta, ma fui ugualmente raggiunto da un colpo alla spalla che fortunatamente fu assorbito dalla mia armatura.

Impugnado la spada con una mano, il Cavaliere Nero di Themanis mosse rapidamente l'altra davanti a me, descrivendo un ampio semicerchio. Una forza invisibile mi colpì in pieno come un muro, facendomi mancare il fiato e scagliandomi contro le rocce che si trovavano a più di cinque passi alle mie spalle. Mi rialzai in fretta, respirando a fatica, la vista annebbiata, e mi resi conto che avevo almeno una costola spezzata, ma mi preparai a ricevere il nuovo assalto di Ob
Dentrix.

Con un urlo animalesco, chiamai a raccolta le ultime forze che avevo per abbattere la spada contro il mio acerrimo nemico. Vidi la lama squarciare la corazza lungo un fianco, quindi penetrare profondamente nelle carni, schizzandomi in faccia un disgustoso fiotto di sangue. Ma riuscì ugualmente a colpirmi. 

Un dolore lancinante, seguito dalla consapevolezza che era tutto finito, immerso in un senso di stanchezza totale, sentii le spalle adagiarsi sulla fredda neve ed ebbi un brivido. Le voci, i suoni ed i rumori erano ovattati e confusi, non riuscivo più a distinguere nulla. Desideravo urlare, chiamare i miei compagni perché mi prestassero aiuto, ma le parole non uscivano dalla mia bocca. 

Poi mi accorsi che venivo trascinato, sentii un'esplosione, udii qualcuno che sembrava chiamare Thorin, come in un sogno cui partecipavo senza esserne l'artefice.

Un ululato. 

Poi un altro, ed un altro ancora. 

Infine, il buio della rassegnazione ed il silenzio del nulla.

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