Dal diario di Gawain "Corvo Nero" Caradrim - 16 Novembre 2019
Parte IV, Capitolo 2: "Sangue e ferro ai confini del mondo"
Seduta del 3 Febbraio 2004
"Sangue e ferro ai confini del mondo"
l'enorme
portello metallico che rappresentava la poppa della Divina Speranza iniziò
ad aprirsi, calando verso l'acqua con uno sbuffo di vapore e rimbombando del
frastuono di catene e contrappesi che lo mettevano in movimento grazie ai
prodigi della tecnologia gnomesca. Non appena fu completamente aperto, una
grossa zattera fu calata in mare e due passerelle di legno vennero calate in
modo da consentire il trasbordo dal vascello all'imbarcazione più piccola.
Con un rombo tonante ed un denso getto di fumo, lo gnomoarmato fece la sua
uscita, cigolando e sferragliando come un drago d'acciaio, mentre lo gnomo
ai comandi eseguiva le delicate manovre necessarie per portarlo sulla
zattera. Il livello di galleggiamento scese paurosamente sotto il peso del
colosso metallico, e per un istante mi chiesi se ce l'avrebbe fatta a
galleggiare, ma non c'era tempo per restare ad osservare quei prodigi, le
altre imbarcazioni stavano già per essere calate in acqua a loro volta, e
dovevamo prendervi posto a bordo.
Il
nostro gruppo, con il contingente dei nani guidato da Thorin, fu il primo a
prendere posto sulle imbarcazioni, che avrebbero dovuto compiere un secondo
viaggio per completare lo sbarco, includendo anche i soldati che Crassius ci
aveva affidato, al comando di Marcus Vispanius, un altro alto ufficiale
romeldano. Quando approdammo ai piedi dell'enorme pilastro lungo il quale si
avvolgeva la scalinata, le sue proporzioni apparvero ancor più imponenti,
al punto che Warnom non ebbe dubbi nel giudicare un'opera degli dei l'intera
isola che ci accingevamo a esplorare. Subito i nani iniziarono ad
inerpicarsi per la ripida scalinata di roccia, guidati da Thorin, anche per
fare posto a coloro che sarebbero sbarcati subito dopo, dal momento che la
piattaforma non era poi così ampia.
La
zattera più grande e robusta, quella che trasportava lo gnomoarmato, la
nostra arma segreta, era visibilmente la più lenta, e ci attardammo
nell'attesa, mentre già la seconda ondata di imbarcazioni iniziava il
viaggio verso di noi. Ad un tratto, uno degli gnomi montò uno strano
congegno di sagoma oblunga, che parzialmente immerso nell'acqua sembrò dare
una nuova e maggiore spinta all'imbarcazione. Presto fu chiaro che la spinta
era eccessiva, al punto che qualcuno si prodigò nell'intessere una barriera
di ragnatele magiche per impedire che la zattera si sfasciasse contro la
piattaforma di solida roccia. Ma non ve ne fu bisogno. Warnom aveva già
iniziato a invocare il suo signore, e muovendo lievemente le mani
all'indirizzo dello gnomoarmato, lo fece sollevare verso l'alto, dapprima
lentamente, poi in modo sempre più convincente, fino a che potei vederlo
sospeso ad almeno dieci braccia sopra le nostre teste..
Gli
gnomi non persero neanche in quei drammatici momenti di nervosismo la loro
indole gioviale, al punto che iniziarono scherzosamente a bersagliare i nani
dall'alto dello gnomoarmato con il lancio di piccole pietre, cosa che
ovviamente essi non gradirono affatto. Warnom fu costretto a imprimere
all'oggetto volante una traiettoria diversa, che lo portasse al di fuori
della portata di lancio degli gnomi, onde non causare pericolose reazioni
all'interno del nostro piccolo esercito, già così esiguo al confronto di
quanto ci attendeva.
Fra
gli uomini che aveva al suo comando, Marcus Vispanius ci informò di avere
una decina di esploratori, che Adesir si affrettò a comandare verso la cima
del pilastro, affinché potessero avvisarci di eventuali imboscate o
tranelli ai nostri danni, che certo consideravamo più una probabilità che
non un rischio. A metà della lunga fila di armati, iniziammo anche noi la
salita, verso quella che poteva essere la più coraggiosa delle nostre
imprese o la più devastante delle sconfitte.
poco
prima di raggiungere la sommità, uno degli esploratori ci venne ad
informare dell'esistenza di un accampamento themanita, a poca distanza da
dove saremmo giunti in cima alla scalinata. L'accampamento era sembrato
deserto, ma non volendo rischiare, concordammo con Adesir di tenerci ad una
certa distanza, almeno fino a che non avessimo potuto portare sulla piana un
numero adeguato di combattenti e lo gnomoarmato.
Ma
la vera sorpresa fu che nessuno ci attendeva: nessuna imboscata, nessuna
trappola ai nostri danni. Sapevo che, da quanto aveva scritto Ob Dentrix sul
diario della nave che avevamo abbordato, i themaniti non avevano idea di
cosa cercassimo esattamente, e certo questo lasciava presupporre che saremmo
stati abbastanza al sicuro almeno fino al momento in cui non avremmo trovato
la chiave. D'altra parte era difficile immaginare che l'ammiraglio themanita
avesse rinunciato ad approfittare della ghiotta opportunità di attenderci
al varco, sorprendendoci non appena avessimo messo piede sulla piana.
E
tuttavia era così. L'accampamento si distendeva, calmo e silenzioso, a una
cinquantina di passi dal punto in cui eravamo giunti al termine della
salita. Era composto da una decina di tende nere ed un paio bianche, sulle
quali svettavano le bandiere del drago di Themanis degli stessi colori.
L'intero perimetro dell'accampamento era stato contrassegnato con una specie
di recinzione di corda stesa lungo i lati fra quattro paletti angolari, che
subito notammo essere particolarmente scolpiti e decorati da una vistosa
gemma sulla sommità.
-
Non attraversate per nessuna ragione quella recinzione! - intimò Warnom,
assicurandosi che tutti potessimo udire il suo avvertimento. Sembrava
evidente che quella singolare ed apparentemente debole recinzione potesse
essere solo il ricettacolo di qualche incantesimo che non attendeva altro
che qualcuno vi passasse per entrare in funzione. Ed in effetti, già ad un
primo esame Warnom ci confermò che la corda, come tutto l'accampamento
risultavano impregnati di essenza magica al momento non meglio
determinabile...
Tutto
attorno all'accampamento, e ovunque potessi volgere lo sguardo oltre, una
fitta vegetazione sembrava ricoprire l'isola, facendosi ancor più fitta via
via che procedeva verso l'interno, dove il terreno diventava presto
ondulato, fino ad ergersi improvvisamente in un picco centrale dalle
proporzioni ancor più stupefacenti di quelle dei pilastri che sorreggevano
l'isola. I fianchi della montagna solitaria erano quasi verticali, e la cima
doveva trovarsi così in alto che la vista era ostacolata dalle nubi che
l'avvolgevano, impedendo di poterne stimare la quota. Numerosi rivoli,
torrenti e corsi d'acqua sembravano irrompere da qualsiasi parte, riversando
infine le loro acque in un'infinità di cascate che rimbalzavano l'una
nell'altra fino a precipitare oltre il ciglio esterno direttamente nel mare
sottostante.
-
Figuriamoci se non dobbiamo arrivare là in cima! - borbottò Polgrim
indicando il picco centrale, dopo che gli scout ci riferirono di aver
trovato inequivocabili tracce dei Guerrieri di Ferro che si erano addentrati
verso l'interno. Ma non aveva quasi completato la frase quando spalancò la
bocca, stupito, indicando qualcosa alle nostre spalle.
Mi
voltai rapidamente, aspettandomi il peggio, ma di certo non mi sarei mai
aspettato ciò che vidi. Una donna dall'aspetto scompigliato e sofferente
correva, ansimante e barcollante, verso di noi, all'apparenza esausta. Le
vesti erano lacere e sanguinava da numerosi graffi e ferite che aveva
riportato nella corsa a piedi nudi fra la vegetazione, ma ciò non ne
nascondeva la grande bellezza, resa ancor più particolare dal fatto che
aveva i lunghi capelli ricci di color argenteo. Istintivamente, temendo che
potesse crollare per lo sfinimento, le corsi incontro.
-
Ti sostengo io, mia signora, non temere - le dissi ingenuamente, pensando
che potesse comprendere ciò che le dicevo. La sua risposta fu in una lingua
che doveva essere molto antica e ricordava solo lontanamente l'auldim in cui
le avevo parlato. La condussi sorreggendola fino agli altri, dove Warnom si
era già preparato alla conversazione in quella misteriosa lingua. La
adagiammo e le portammo da bere, quindi il nostro amico iniziò a parlarle
come se da sempre conoscesse quel linguaggio. Warnom e la magia non finivano
di stupirmi.
-
Si chiama Rael - disse ad un tratto Warnom, dopo una prima breve
conversazione. - Appartiene al regno della montagna e viene dal villaggio
del sole, in cima al picco oltre le nuvole, dice di essere fuggita perché
uomini neri e guerrieri di ferro hanno occupato la loro città. Sembra che
cerchino una chiave, ma lei non sa di cosa si tratta...
Improvvisamente,
Warnom si zittì, assorto.
-
C'è qualcuno nell'accampamento! - esclamò dopo la breve pausa. - Ho
percepito due voci che si parlavano, una diceva di aver stabilito il
contatto e l'altra gli ha intimato di attendere...
Non
fece in tempo a completare la frase, che la donna, improvvisamente, lo
spinse violentemente, cadendo a terra assieme a lui. Una freccia dalle piume
nere sibilò nell'aria dove poco prima si trovava la testa di Warnom: Rael
gli aveva salvato la vita.
L'accampamento,
fino a un momento prima deserto, era ora abitato! Più di cinquanta arcieri
neri, disposti su due file, erano a venti o trenta passi dal punto in cui ci
trovavamo, e rilasciarono in quel momento le corde dei loro archi già
pronti per il tiro.
la
prima salva di dardi oscurò il cielo prima ancora che potessimo reagire per
la sorpresa, e fu solo per caso se non fummo colpiti a morte. Non
altrettanto fortunati furono alcuni nani, che vidi cadere a terra, trafitti
da numerose frecce. La confusione si impadronì del nostro schieramento, e
solo le voci di Adesir, Thorin, Polgrim e Vispanius si levavano chiare oltre
il tumulto disordinato, cercando di organizzare i diversi gruppi per
disporli alla battaglia.
Istintivamente,
raccolsi un grande scudo dal corpo di un romeldano caduto poco distante da
me, e lo levai verso l'alto, mentre brandendo la spada nell'altra mano mi
lanciai avventatamente in avanti. Sentii il pesante scudo vibrare sotto i
colpi di altre frecce, e udivo accanto a me e dietro i lamenti di coloro che
venivano colpiti, mentre cercavo di coprire la distanza che ci separava
dagli arcieri il più velocemente possibile. La sola cosa alla quale pensavo
in quel momento era che se fossi riuscito a piombare in mezzo al loro
schieramento, avrei impedito a molti degli avversari di continuare a
bersagliarci come piccioni, favorendo l'avanzata in mischia dei nani.
Corsi
su quella breve distanza per un tempìo che sembrò infinito, senza vedere
dove mettevo i piedi. Una freccia trapassò l'enorme scudo ferendomi ad una
spalla, ma non sentii il dolore, ero una macchina da guerra che pensava solo
a mietere vittime prima di cadere. Alle mie spalle vidi dardeggiare le
frecce magiche di Adesir ed i quadrelli dei nani che aprirono i primi varchi
nelle fila nemiche, quindi percepii sullo scudo la violenza dell'impatto e
seppi di aver cozzato contro la prima fila dei nemici. Rilasciai la presa
abbandonando la protezione ormai inutilmente ingombrante, portando la
seconda mano all'impugnatura della spada, quindi feci volteggiare la lama
nera in un ampio cerchio e la abbattei contro chiunque mi si trovasse di
fronte, levando verso l'alto densi fiotti di sangue.
Ora
potevo vedere dove mi trovavo. Ero completamente in mezzo ai nemici, molti
dei quali, sorpresi da una mossa tanto azzardata, non fecero in tempo a
estrarre le spade prima che colpissi nuovamente. La lama nera ululò ancora
in un ampia rotazione e cinque themaniti caddero urlando ai miei piedi. In
quel momento lo gnomo armato faceva il suo ingresso in battaglia, scagliando
una prima bordata di dardi d'acciaio che falciarono numerosi arcieri della
seconda fila. Alle mie spalle, sentivo avanzare i nani, incitati dalle voci
di Polgrim e Thorin che chiamavano una formazione a testuggine per ripararsi
dalle frecce.
Improvvisamente,
un'ombra si levò da dietro l'avversario che avevo di fronte, e anzi,
giurerei che vi passasse attraverso, lasciandolo come impietrito. La sola
vista di quella cosa, che peraltro avevo già incontrato, mi gelò il sangue
nelle vene, trasformando le mie gambe in gelatina e lasciandomi impietrito
mentre si accingeva a passarmi attraverso. In quel momento, la cosa fu
raggiunta da una quantità impressionante di dardi luminosi, che certo
provenivano dall'arco di Adesir, e la creatura si dissolse nel nulla dopo
avermi mostrato, ancora una volta, una fugace e terrificante visione
dell'oscuro regno dei morti.
Ripresi
il controllo assieme ai miei nemici, trovandomi ancora accerchiato, ma
riuscii ad evitare i loro colpi, mentre mi rallegravo accorgendomi che sia i
nani che i romeldani erano finalmente entrati nella mischia. La spada nera
sembrava non saziarsi mai, la sentivo leggera nelle mie mani, docile e
letalmente rapida nell'alzarsi verso l'alto e quindi precipitare in basso
descrivendo un mezzo arco, mentre fendeva le carni degli avversari,
trasmettendomi parte delle loro energie vitali. Altri quattro giacevano a
terra morti o morenti, e in quel momento mi resi conto di essere ebbro di
sangue più di quanto lo sarei mai stato per l'alcol...
Avevo
fatto il vuoto intorno a me, gli altri arcieri sembravano essere stati
decimati dai nani, dai romeldani, dai miei compagni e dallo gnomoarmato, ma
non era ancora finita, quella era stata la parte facile. Vispanius, che si
trovava al mio fianco, sgranò gli occhi e indicò qualcosa più avanti,
oltre il campo di battaglia: decine e decine di guerrieri di ferro
avanzavano dal fitto della boscaglia verso le nostre linee. Gli arcieri
erano serviti solo ad indebolirci e a farci avanzare, forse eravamo caduti
in una trappola mortale.
i
mostruosi costrutti themaniti erano differenti da quelli che già altre
volte avevamo incontrato, e non c'era ragione che inducesse a pensare che si
trattasse di avversari più malleabili. Le corazze erano di acciaio bianco
quasi latteo, recavano sul petto il drago nero e parevano decisamente più
alti di quelli che aevo già visto a Terembork. Invece di impugnare due
asce, una per mano, ne portavano una sola, le cui dimensioni erano tuttavia
così ragguardevoli che non credo sarei riuscito agevolmente a sollevarne
una. La loro avanzata era resa ancor più inquietante dal fatto che non
emettevano alcun suono né voce, esseri di metallo senz'anima che cercavano
il sangue dei mortali.
I
Guerrieri di Ferro irruppero sulla prima fila di nani penetrandovi
facilmente come un cuneo nel legno, e rapidamente il suolo fu cosparso dei
corpi di quei coraggiosi guerrieri, sventrati, mutilati, o agonizzanti. Non
potevo stare a guardare, Maethus mi aveva protetto e dato forza fino a quel
momento, la spada aveva fatto il suo dovere e pregai che quella condizione
durasse ancora, mentre iniziai a correre verso il punto in cui i nemici
avevano sfondato. Mi portai rapidamente verso il primo, e richiamando a me
tutta la malvagità della lama nera, sferrai un colpo che avrebbe tagliato
in due una vacca. L'orrendo avversario quasi non accusò il colpo, sebbene
sentissi la spada affondare profondamente nella sua corazza, mentre con un
rapido movimento evitai la possente ascia che veniva calata verso di me
quasi con noncuranza.
-
Devi venire via, ho bisogno di te - udii la voce di Adesir, improvvisamente
apparsa al mio fianco.
-
Non posso voltargli le spalle, un colpo e sono morto! - ringhiai,
implicitamente chiedendo aiuto alla ragazza.
Portai
una serie di altri colpi, ben più deboli del primo, purtroppo, che non
causarono molto danno al mio avversario, mentre anche Adesir lo colpiva con
la forza magica di Uldan, scagliata sotto forma di dardi luminosi dall'arco
benedetto. Fortunatamente riuscii ancora a evitare un paio di colpi, poi fui
raggiunto dall'ascia gigantesca, che mi aprì un'ampia ferita sul lato
sinistro del torace, spostandomi di alcuni passi e facendomi accusare un
intenso dolore al braccio. Traendo la forza da non so dove, rimasi in piedi,
sfidando ostentatamente una creatura che non poteva certo comprendere il mio
atteggiamento, mentre una delle frecce di Adesir lo trapassò al di sotto
dell'elmo vuoto, da parte a parte. Lo vidi barcollare per un istante, mentre
rialzava la feroce ascia. Allora trovai una nuova forza, e vibrai un nuovo
fendente, se possibile ancor più violento del primo, che ne disintegrò
l'armatura lattiginosa, lasciando solo detriti di ferro dove prima si
trovava il formidabile avversario.
-
Adesso mi vuoi seguire? - Adesir mi strattonò per il braccio, facendomi
gemere di dolore. Fortunatamente, ci trovavamo in un punto abbastanza
riparato. I nani ed i romeldani, nonostante le perdite, erano riusciti in
qualche modo a contenere la breccia e stavano affrontando i Guerrieri di
Ferro più avanti, senza che altri fossero riusciti a passare per
raggiungerci. In mezzo alla mischia, vedevo Warnom compiere le sue
invocazioni, Thorin e Polgrim tempestare gli avversari di colpi tremendi,
ricevendone a loro volta. Vispanius non era visibile e ebbi a temere per la
sua sorte. Ad un tratto, Polgrim fu raggiunto da un colpo tanto forte che lo
vidi volare inerte a svariati passi di distanza.
-
Si può sapere cosa ti prende? - esclamai, rabbioso. - C'è bisogno di noi
qui!
-
Ho parlato con Rael, e mi ha detto che dobbiamo seguirla al villaggio. C'è
bisogno di te anche lì, ha parlato di un padre che deve incontrare un
figlio...
Ogni
mia riluttanza cessò di colpo. Era dunque giunto il momento del confronto
con mio padre? Ob Dentrix non aveva partecipato a quell'imboscata, di certo
era rimasto al villaggio, e per qualche ragione attendeva che io mi recassi
da lui, magari per farmi ancora una delle sue indecenti proposte riguardo il
fatto di unirmi ai themaniti. Mi ripugnava lasciare i compagni in quella
situazione, ma del resto non potevo neanche coinvolgerli in una questione
che, essendo mia personale, non ritenevo giusto si riversasse su di loro.
-
Va bene - dissi, - andiamo.
-
Non subito, voglio portare anche gli altri - rispose Adesir. - I romeldani
ed i nani potranno farcela qui senza di noi, vado a recuperare gli altri e
poi andiamo. Tu attendi qui con Rael.
adesir
mi lasciò sul posto, correndo agilmente nel tentativo di trovare i nostri
compagni, mentre restavo con Rael a poca distanza da me, un'espressione di
indicibile urgenza dipinta sul suo volto. Ma non ero in grado di comunicare
con lei. E anzi, la mia mente era in quel momento annebbiata da una serie di
cupi pensieri su ciò che stava per accadere. Paradossalmente, avevo provato
meno timore nello scagliarmi da solo contro tutti gli arcieri, o
nell'affrontare il Guerriero di Ferro, rispetto al confronto che ora mi
attendeva con mio padre.
Avevamo
fatto tante cose assieme, con quel gruppo di amici, fratelli per me. Aevamo
rischiato le vite ad ogni angolo per una causa che ci coinvolgeva tutti e
che minacciava l'intero mondo delle razze libere, ma ora stavo per chiedere
loro di seguirmi in una faccenda personale, legata alla mia maledetta
famiglia. Forse avrei dovuto ignorare il confronto con Ob Dentrix,
continuare la ricerca della chiave, ammesso che non l'avesse già lui. Ma
non potevo più rimandare. Se la sfida con mio padre fosse stata fatale per
me, non potevo permettere che lo fosse anche per i miei compagni, al rischio
dell'intera nostra missione.
Rael
mi posò una mano sulla spalla, e mi accorsi di riuscire a intendere le sue
parole, per la prima volta.
-
Io devo andare, adesso - disse, con voce calma nonostante tutto. - Devi
decidere. Io andrò in ogni caso, con o senza di te. Nella mia città c'è
un padre che deve decidere il destino di un figlio e lì il figlio potrà
decidere il destino del padre. E' venuto il momento, ora.
Mi
decisi, e sotto il suo sguardo perplesso estrassi rapidamente dallo zaino un
foglio di pergamena ed un carboncino, con il quale scrissi un breve
messaggio, quindi, arrotolai la pergamena e la fissai ad un legno che
piantai a terra dove sapevo che Adesir mi sarebbe venuta a cercare. Poi mi
voltai, feci cenno a Rael di mostrarmi la strada e la seguii, verso
l'interno.
Quando
più tardi Adesir trovò il mio messaggio, questo è quanto vi lesse:
Il
mio destino mi chiama all'incontro con mio padre, e non è giusto
che tutti ne siate coinvolti, quindi ho deciso di seguire Rael al
suo villaggio perché tutto si compia.
Se
vorrete, e se il fato lo permetterà, potrete seguire le mie tracce,
e se gli dei vorranno ci incontreremo ancora, amici miei.
Che
Maethus sia con noi tutti,
Gawain