Caro Klauz, il gioco è cultura: basti pensare al fatto che in ogni civiltà e in ogni epoca storica troviamo prodotti ludici di qualsiasi fattispecie. Ci sono addirittura autori che sostengono che il gioco è un bisogno primario al pari della fame, della sete, del sonno, ecc... Sono un pedagogista e ho usato tantissimo i giochi nei miei interventi formativi, di cui ho lasciato traccia nel mio articolo "Un brigante a scuola". Ho usato Dixit in un corso di formazione su Teorie e metodi della comunicazione, ho usato alcuni giochi Haba per approfondire il tema della cooperazione, ho usato giochi antichi per spiegare il fenomeno degli scambi interculturali, il gioco è cultura eccome.
Ma c'è un però; non credo che tutti i giochi siano da considerarsi allo stesso livello ed è quindi ovvio che passare intere giornate sui siti dedicati e "perdere tempo e denaro" per seguire tutti i giochi di tutti gli autori e comprare l'espansione numero 9 dove c'è la tessera del "Potere assoluto", non possiamo chiamarla in altro modo che patologia, come in tutte le cose. Ma tornando alla differenza dei giochi, non riesco, da pedagogista, a mettere sullo stesso piano il già citato Dixit che sviluppa capacità interpretative, inferenziali, di gestione delle emozioni e immaginative con, ad esempio, mi scuseranno i fan, un Munchkin che oltre all'aspetto ricreativo offre poca sostanza.
C'è una bibliografia infinita sul valore sociale del gioco e una altrettanto infinita sulle valenze formative del gioco per sviluppare abilità cognitive come la memoria, l'attenzione, la flessibilità, ecc...
Il gioco trasmette valori ed è per questo che è culturale: se perdo la giornata davanti alle slot machine o con i gratta e vinci e altri giochi d'azzardo basati sulla fortuna, ecco che questi "oggetti ludici" mi trasmettono un'idea della vita come determinata dal caso e dalle speranze riposte in un dio benevolo; ma se mi applico con giochi di logica, strategia, calcolo, ecc, allora vedo la vita come determinata dalle mie capacità e abilità e sono spronato a migliorare continuamente. La mente si modella in base a ciò a cui si applica.
I giochi sono "solo" giochi? Oppure potrebbero essere anche altro? Ho scritto la mia opinione.
L’idea di questo articolo nasce da una battuta nata in casa, quando mi viene rimproverato (sempre meno spesso a dire il vero) dalla mia compagna di spendere molto in giochi, rispondo che quelli per la “cultura” sono sempre soldi spesi bene.
Cultura… ma i giochi sono o possono essere Cultura? La definizione da vocabolario lo esclude, o perlomeno è conseguente sostenere che un gioco si realizza attraverso la conoscenza, ricerca, preparazione (cultura, appunto) sommate a fantasia e creatività. Eppure sono sempre più convinto che per l’interattività con se stesso e con gli altri giocatori, il gioco sia uno strumento straordinario di apprendimento ed esercizio. Sappiamo bene che ci sono due aspetti molto differenti fra loro ma che trovano nel gioco la perfetta soluzione: i punti e l’ambientazione. I primi servono a stabilire chi vince, chi gioca solo per quelli spesso non si fa distrarre dall’ambientazione ma la elabora matematicamente per lo scopo finale di avere più punti, soldi, risorse, territori ecc. degli avversari. Ma in questo articolo mi voglio soffermare sull’ambientazione e sulla capacità di straordinari autori di farci viaggiare nel tempo, in entrambe le direzioni, permettendoci di vivere (o sopravvivere) in mondi che appartengono alla fantasia del cinema e/o alla pragmatica della storia e della vita.
Non molto tempo fa ho visto una delle tante trasmissioni televisive della famiglia Angela dedicata all’Antica Roma, il commento faceva riferimento a nomi, episodi, battaglie che ho vissuto in Republic of Rome, gioco che per i suoi molteplici aspetti potrebbe essere uno strumento di studio per l’accurata ricostruzione storica ma non solo, importantissimo l’esercizio “politico” dedicato a chiunque voglia migliorare la capacità di discussione e confronto con altre persone.
La Guerra Fredda è uno degli argomenti storici più noiosi da spiegare e apprendere: nessuna grande battaglia di cui studiare la tattica, nessun eroe da esaltare, tutto sembra nascere e finire a Cuba e Berlino. Spiegando ad amici Twilight Struggle, il figlio 18enne ha iniziato a prestare attenzione e rivolgere domande. Quella sera non abbiamo giocato, eppure le carte sono state utili per raccontare e discutere di 45 anni di storia, forse ci è sfuggita anche qualche castroneria non essendo degli storici, ma è stato un successo staccare il ragazzo da Facebook e Whatapp interessandolo a un complesso passato recente.
Ho giocato a Food Chain Magnate e ho trovato particolarmente azzeccato, ed istruttivo, il modo di sintetizzare la pubblicità ed il suo potere di convinzione e penso al marketing, ai tanti giovani (io lo fui) che in questo campo lavorano e/o studiano e credo che non ci sia uno strumento altrettanto pratico per capire le dinamiche della pubblicità in un mercato in perenne concorrenza.
Potrei riempire diverse pagine con esempi, ma voi sapete bene di cosa parlo o potrei parlare e ognuno può scegliere l’esempio che preferisce, riassumendo sono molti i giochi che propongono legami stretti con il quotidiano, penso ai gestione risorse, agli azionari, gli storici, e sono sempre più convinto che siano strumenti didattici pratici e sufficientemente profondi da abbinarsi, affiancarsi ai classici dello studio, esercizio, training. Forse non basta per essere etichettati “cultura”, non sono strumenti finiti ma ludici (non lo dimentico), ma se rendono piacevole l’apprendere, se danno una struttura reale e complessa a qualunque esercizio mentale, credo che a tutto merito possano far parte di quel mondo vasto, forse troppo, chiamato Cultura.