Il gioco, come la politica, si basa su regole certe che valgono per tutti i giocatori. Naturalmente nei giochi da tavoliere come gli Scacchi, la Dama o il Go, come del resto in quelli di simulazione bellica, non si fa politica: l'abilita' richiesta al giocatore nelle mosse e nelle contromosse, nelle manovre e negli attacchi di sorpresa rimanda direttamente alla abilita' di utilizzare al meglio le sue risorse, prevalendo direttamente sull'avversario.
Nella tradizione, pero', i giochi da tavolo hanno fatto spesso i conti con la storia della politica: nel Settecento molte tavole di Giochi dell'Oca si ispiravano alle vicende dei Re, mentre nella prima meta' del Novecento riproducevano le situazioni tipiche delle dittature, con un taglio piu' satirico che celebrativo.
Piu' di recente sono apparsi giochi in cui l'ambientazione e i protagonisti erano ispirati direttamente allo scontro politico: alla fine degli anni '70 il classico Monopoli fu ambientato, con un improbabile taglio "di sinistra", in un gioco banalotto e stucchevole che si chiamava Lotta di classe. Mentre era invece sicuramente intrigante la ricostruzione dei "matrimoni politici" tipici delle monarchie nell'Europa rinascimentale che si ritrovava in Blood Royale. D'altronde molti giochi di "simulazione storica" (in particolare dell'Avalon Hill) s'ingegnavano a rappresentare alcuni aspetti "politici" di certe situazioni, ma solo come elementi di dettaglio, come l'influenza politica sulle province in We the people, una ricostruzione della rivoluzione americana.
Piu' esplicito e provocatorio era lo scontro politico rappresentato in simulazioni come Corteo (o nel francese Mai '68), dove occorreva scegliere se stare nei panni dei manifestanti extraparlamentari o delle forze dell'ordine negli scontri di piazza tipici degli anni '70 in Italia, provando a simulare gli aspetti piu' significativi di quello che accadeva.
Ma in generale le ricostruzioni storiche, con tutto il loro corredo di insegnamenti, possono risultare poco attraenti se non addirittura noiose. Cosi', in molti altri casi, il gioco vi chiede, piu' o meno direttamente, di fare politica, ossia di comportarvi come soggetti che devono orientare le loro scelte politiche per raggiungere un obiettivo strategico. Si tratta anzitutto dei giochi in cui c'e' un intreccio forte fra le azioni di guerra e la politica come capacita' di fare alleanze. Diceva il generale von Clausewitz che "la guerra e' il proseguimento della politica con altri mezzi": in questi giochi la politica e' intrecciata alla guerra e si presenta quindi come accordo tattico fra potenze che competono, arte del compromesso per evitare i rischi di uno scontro in un certo momento del gioco. Ci si mette d'accordo contro un altro o altri piu' forti, in una logica di coalizione di breve durata: e' il trionfo dell'intrigo e del "doppiogioco", un classico nella storia della politica internazionale. Come avviene nella realta', un accordo fatto non si deve mantenere per forza: si puo' sempre venir meno ad un patto appena siglato e "tradire". Il cardinale Mazarino, grande statista all'epoca del Re Sole, non raccomandava forse, a proposito dell'atteggiamento di chi fa un accordo con un avversario, "simola e dissimola"? Inganni cinici e voltafaccia sorprendenti sono il sale di questi giochi.
Vi troverete a fare i conti con questi comportamenti se state ad un tavolo di Diplomacy: scoprirete subito le difficolta' dell'intreccio fra le azioni di guerra e i patti siglati attraverso la diplomazia. Per lo piu' dovrete riuscire a realizzare alleanze tattiche, tipici patti di non aggressione, che durano qualche turno, ma, se rispettati, possono essere fondamentali per prevalere. Ma correrete sempre il rischio che l'avversario non li rispetti: e quindi dovrete inventare qualcosa per aver delle garanzie. Potrete servirvi degli strumenti classici della diplomazia di ogni epoca: di volta in volta abbonderete in promesse o sarete minacciosi, fingerete completa sincerita' o adombrerete misteriosi complotti.
E' una storia che si ripete, come per i "soffietti" che si usano in Risiko, ossia quei territori che i giocatori si impegnano a conquistare reciprocamente al loro turno, in modo da non sprecare armate e conquistare una carta. Sono mosse che si fanno sulla base di accordi politici, palesi o segreti: farli rispettare vuol dire mettere in campo un "deterrente". La stessa cosa accade in Shogun, dove ci si accorda per attacchi limitati e di piccola entita' con l'obiettivo di far salire l'esperienza dei propri armati. In questi casi non ci sono vincoli da rispettare e quello che conta e' solo la parola dei giocatori. Fidarsi o no? E' il problema politico che ha chi gioca con l'Impero Romano in Decline and Fall of Roman Empire (o al piu' recente Barbarians): mi alleo con il nemico piu' debole per sferrare colpi duri al piu' forte oppure scelgo il contrario? E cosi' succede anche in giochi piu' avventurosi come Dune o piu' strategici e di calcolo come Civilization e Illuminati.
In tutti questi casi dovete fare i conti con l'abilita' nel fingere e nel fare previsioni: la politica si presenta nel gioco come capacita' di manovra e di intrigo, linea di condotta accorta e astuta. Il problema generale che si pone al giocatore e' la sua affidabilita' come partner di un accordo: se tradisce subito e pubblicamente la parola data, chi potra' piu' proporgli qualcosa? In questo caso state facendo politica, ma indirettamente; il problema che vi si pone e' quello di una credibilita' che dovete imparare a spendere bene.
Ma i giochi non si fermano qui. Come avrete sentito dire spesso, si afferma comunemente che "la politica e' un gioco": nel senso che la politica, come arte del governo, deve rispondere a regole riconosciute da tutti, che legittimano le scelte compiute. Quindi ci sono giochi che si occupano direttamente di politica, presentandola come esercizio del potere pubblico, caratterizzata dalla capacita' di destreggiarsi abilmente nelle situazioni e nei rapporti con gli altri.
Questi giochi non sono molti, se li mettiamo a confronto con quelli che hanno per tema la guerra, l'economia, l'avventura, per non parlare dei giochi di parole o di societa'. Ma c'e' un buon motivo: l'abilita' del politico di professione e' nella capacita' di previsione, nel fare scelte equilibrate, nella tempestivita' delle decisioni, nella consapevole riduzione dei rischi da correre. Sono doti che e' difficile inserire in uno schema di gioco: ma quando la cosa riesce, e' bene sperimentarla, anche piu' di una volta. C'e' da imparare parecchio, ma soprattutto da divertirsi.
Nei giochi in cui la politica e' espressione di scelte di Governo fondate su una volonta' comune, questo di solito si esprime nel funzionamento di un'assemblea di tipo oligarchico o parlamentare.
La volonta' comune puo' formarsi a partire dagli interessi particolari e contrapposti di pochi eletti: in Warrior Knights i giocatori, nei panni di potenti baroni di un immaginario regno medievale, devono deliberare in assemblea sulle mozioni da approvare. Queste ovviamente avvantaggiano alcuni e danneggiano altri: i baroni sono in aspra competizione fra loro per il dominio assoluto del regno e la politica assembleare si presenta come prosecuzione dello scontro militare che li vede contrapposti, come accadeva anche nel classico Kingmaker. Allora i voti, i patti, le previsioni diventano centrali e chi azzecca le scelte vince.
In altri giochi la politica si presenta piu' direttamente come pura competizione elettorale, ricca di tensioni e di trovate singolari, di paradossi e di "satira politica": i giocatori scelgono i loro "candidati" cui devono assicurare una carriera di successo, con il voto e gli accordi. Sono schemi ludici che divertono chi gioca e risultano interessanti per chi vuole curiosare nei meccanismi della politica, dato che presentano modalita' di elezione spesso molto diverse.
Quorum propone addirittura di giocare con le facce dei protagonisti del mondo politico italiano degli anni '80: qui, oltre alla piu' feroce competizione elettorale, c'e' l'ebbrezza di formare un Governo e designare i Ministri, in un sistema rigorosamente proporzionale. Ma per prevalere bisogna trovare accordi di coalizione che risultino vincenti e non e' facile. Diverso e' il caso di Candidate dove ci si misura con le elezioni primarie americane, simulandone l'andamento con uno schema di gioco un po' troppo cervellotico e calcolatore. Kremlin ha invece uno schema piu' fluido, in cui un curioso meccanismo di scommessa permette di distribuire le cariche tipiche del Partito Comunista Sovietico, legando all'eta' dei personaggi la loro durata al potere. La stesso meccanismo funziona in tutt'altra ambientazione con Monstercrash: qui i candidati sono i rudi e maneschi personaggi di un mondo fantasy e si scontrano senza troppe sottigliezze, in una serie di eliminazioni successive.
Ma l'importanza della "poltrona" e' sempre il sale dello scontro: in Junta, dove la questione della volonta' comune e' quella di spartirsi un malloppo di soldi per i componenti della Giunta militare al potere. E, come negli altri, l'abilita' sta nel fare un patto con un avversario e subito dopo provare ad eliminarlo.
In questi esempi la simulazione della politica e' volutamente "seria": decisioni strategiche, scelte fra guerre da intraprendere o trattati da stipulare, problemi di cariche da assegnare, di amministrazione e di prelievo fiscale sono ricostruiti con fedelta' e costringono a giocare con attenzione e competenza. Non c'e' molto spazio per l'improvvisazione: non a caso giochi come questi sono caratterizzati da un livello di difficolta' medio alto e possono risultare un po' ostici per chi vuole soltanto divertirsi.
La difficolta' aumenta nei giochi in cui, oltre all'obiettivo particolare di ogni giocatore, c'e' un bene comune da salvaguardare. E' il caso di Republic of Rome, in cui i giocatori sono i Senatori romani riuniti in assemblea per decidere sui problemi della Roma repubblicana: ciascuno di loro e' in gara per la supremazia e la lotta e' senza quartiere. Ma c'e' anche la famosa "res pubblica", il bene comune di Roma che tutti devono difendere, cosi' da evitare di mettere a rischio l'esistenza stessa della Repubblica. E' uno schema di gioco che si avvicina molto al modo di funzionare delle democrazie parlamentari moderne: e' avvincente perche' costringe ogni volta a ragionare in termini di gruppo e non a caso mette capo a coalizioni diverse a seconda delle scelte da compiere.
Anche in Sessantotto l'assemblea del Movimento Studentesco coinvolge i giocatori - studenti nella scelta di una fra le due mozioni relative ad un evento significativo di quell'anno: chi prevale diventa Guida del Movimento e compie le scelte tattiche che costellano lo sviluppo della situazione. Ma il suo successo individuale sta nella capacita' di raggiungere gli obiettivi comuni che il Movimento persegue e che quindi daranno vantaggi anche agli altri.
Altri giochi, questa volta di ambiente economico, come Vertigo o Ecolandia costringono a fare una scelta di tipo politico fra interesse individuale e collettivo: l'egoismo di ciascuno deve trovare una limitazione attraverso la mediazione con gli altri, altrimenti c'e' il forte rischio di sviluppare situazioni catastrofiche.
E' la stessa cosa che accade in Amber, un gioco di ruolo che fa leva sul conflitto fra ambizione personale e spirito di gruppo: l'intreccio che lega i rissosi Principi del regno di Ambra e' il potere del Disegno, che li rende simili a divinita'. Tutti devono in qualche modo salvaguardarlo, anche se la lotta fra di loro per diventare re e' durissima. Quindi il loro scontro, centrato sull'intrigo e sulla falsita', trova un limite di cui ciascuno deve tenere conto, pena la rovina del suo mondo.
Giocare con la politica puo' essere un'esperienza singolare e nuova per chi ama i giochi da tavolo. E' chiaro che giocatori smaliziati e capaci di molte sottigliezze si troveranno a loro agio piu' di quelli che amano le situazioni limpide e cristalline.
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