Mi piace molto giocare ad un singolo gioco, approfondirlo ed esplorarlo. Se la profondità è ottima, non mi dispiace spingermi fin oltre le 100 partite.
Dato che anche provare nuovi giochi è cosa buona e giusta, diciamo che il mio tempo libero da spendere in attività nerd è quasi completamente assorbito dai giochi da tavolo, senza spazio per altre distrazioni.
Se anni fa ero un avido videogiocatore, felice di “investire” giornate nel perfezionare il suo team di Final Fantasy o di Baldur’s Gate, quel capitolo della mia vita si è ormai concluso. Nella libreria Steam stanno a far la muffa titoli come Divinity: Original Sin (1 e 2), Pillars of Eternity, il nuovo Monkey Island e Darkest Dungeon.
Ma c’è stato e c’è un gioco che ha catturato la mia attenzione per gli scorsi 4 anni, che mi ha incatenato ed avviluppato intorno ad una spira senza fine, in perenne equilibrio tra soddisfazione e frustrazione.
Un videogioco che fa sembrare qualsiasi altro mio record (200+ partite a GWT?) un nano al confronto, che ha reso la frase “ancora una run” il mantra in grado di uccidere ore di sonno, che mi ha portato a sognare strategie come solo Magic riusciva a fare.
Quel videogioco è Slay the Spire.
Interrompo subito qui la manipolatrice narrativa emotiva utilizzata finora per entrare nella parte tecnica, che dovrò per necessità di cose dividere in tre spezzoni: il primo rivolto a chi non sa cosa sia Slay the Spire (videogioco), il secondo rivolto a chi lo conosce ma non ci gioca, il terzo rivolto a spiegare il gioco da tavolo vero e proprio, che potete trovare su KS in questi giorni.
Cos’è Slay the Spire (il videogame)
Slay the Spire è un
single player roguelike deckbuilder. È quindi un solitario in cui si va a creare il proprio mazzo, che alla fine di ogni partita riporta il proprio eroe al punto iniziale. Sul concetto di
roguelike (o roguelite) si potrebbe disquisire all’infinito, ci sono interi articoli online, ma si tratta di un concetto molto familiare per i giocatori di giochi da tavolo: ogni volta che si apre la scatola e si gioca si ricomincia da capo.
La grossa differenza rispetto ai deckbuilder presenti sia online ai tempi che tutt’ora in cartaceo è che il mazzo viene messo alla prova in ogni sua iterazione.
Anzichè andarsi a creare il mazzo mano a mano utilizzando le carte del mazzo (come in Dominion, Ascension e innumerevoli altri), qui la costruzione avviene inframmezzata da battaglie.
Durante ogni battaglia sfrutteremo appieno il nostro mazzo nella sua iterazione attuale; le carte consentono di parare, colpire, pescare carte, eliminarne temporaneamente e fare mille effetti strani, ma NESSUNO ha direttamente a che fare con l’acquisizione di nuove carte/punti vittoria.
Alla fine delle battaglie si ha una fase di Ricompense in cui normalmente si può scegliere una nuova carta tra tre estratte casualmente, ottenere qualche moneta e dopo scontri particolarmente duri vincere una Reliquia, cioè un effetto permanente sulla propria partita.
Nel gioco non si ottengono poi punti vittoria: lo scopo è concludere la partita uccidendo il boss finale senza perire nel frattempo. Ogni singola partita è strutturata in tre atti (quattro se si diventa bravi), e in ogni atto ci si muove su di una mappa bidimensionale che rappresenta la spira. In cima c’è il boss dell’atto, e per raggiungerlo si percorre una linea che si biforca e triforca, con l’obbligo di fermarsi sui suoi nodi.
Ogni nodo propone una sfida diversa: battaglie semplici, battaglie Elite, fuocherelli per guarirsi, mercanti per spendere denaro in carte/reliquie ed eventi casuali.
Concluso un atto si comincia con quello successivo, strutturato in maniera analoga, ma chiaramente con scontri più difficili, fino all’epico epilogo contro il boss finale.
Il tutto era estremamente originale al tempo in cui divenne disponibile sul mercato, tanto che ad oggi non se ne contano i cloni.
La cosa che
ha reso incredibile il gioco non è solo la sua originalità, ma
anche lo sforzo certosino di bilanciamento di meccaniche asimmetriche ed interessanti di cui il gioco è pieno fino a scoppiare.
Un’immensa varietà di carte e reliquie, sinergie che si incrociano a destra e a manca, scenari generati proceduralmente, battaglie sempre interessanti e mai banali lo hanno reso IL prodotto indie dei tempi, e tutt’ora la community rimane gigante, vitale e (perlopiù) positiva.
Se ci aggiungiamo un modello di business anti predatorio, senza microtransazioni né DLC né pubblicità, dove tutto il costo da affrontare è racchiuso nei 15€ (in media) da sborsare all’inizio, abbiamo davvero una gemma unica nel panorama videoludico.
Se vi piacciono i solitari, i deckbuilder e le sfide difficili, non esiste gioco che possa consigliare al di sopra di Slay the Spire.
E a proposito di sfide…
Cos’è (davvero) Slay the Spire (Ascension 20)
Un altro sottotitolo catchy, ma ho visto critiche al gioco in passato che sono a mio parere completamente ingiustificate. Voglio dedicarci in maniera preventiva un breve capitoletto.
Slay the Spire è un gioco veramente difficile; già a livello base la sfida è buona, ma ad ogni vittoria con ogni personaggio sono proposti i livelli di Ascensione. All’aumentare degli stessi aumenta la difficoltà complessiva del gioco, fino a raggiungere la sfida definitiva: Ascension 20.
Qui i nemici sono molto più cattivi, le ricompense più misere, si parte maledetti e danneggiati e alla fine del tutto si affrontano due megaboss consecutivi.
Per arrivare a questo livello di gioco e poter comunque vincere occorre una diversa comprensione del gioco.
Alla ricerca di sinergie forti che fanno vincere a prescindere e che sono almeno parzialmente in mano alla dea bendata, tipica dei primi tentativi di slaying, si contrappone un’esperienza di gioco olistica in cui si bilanciano le esigenze del mazzo di breve periodo con quelle di lungo periodo. Anziché prendere una carta perchè “fa parte del pacchetto sinergia Poison/Shiv/Exhaust” se ne prende una perché va a coprire esigenze che il nostro mazzo ha e per cui attualmente non ha un buon piano.
A inizio avventura cerchiamo carte che facciano A. Queste però diventano obsolete più avanti, per cui devo prenderne il giusto oppure avrò problemi più avanti. Se invece prendo carte che fanno C, molto forti verso fine partita in determinati incontri, aumenta di parecchio il rischio di morire nell’atto corrente.
La parte interessante diventa quindi costruire in itinere un mazzo che sappia rispondere alle diverse sfide proposte dagli incontri che mano a mano si fanno, modificandone la forma fino a renderlo una macchina non perfetta, ma dinamica.
In questo modo si sopperisce al “problema” che tanti deckbuilder hanno, per cui a un certo punto non conta più aggiungere carte perchè sei già forte abbastanza (e vuoi solo punti, nel caso di buona parte dei tabletop deckbuilders).
Per quanto la fortuna giochi comunque una parte importante, viste le ricompense casuali e l’ordine di pescata randomico nei combattimenti, l’approccio sopra descritto consente una maggiore sensazione di controllo (e quindi soddisfazione) e una maggiore efficacia nello sconfiggere la maledetta spira.
La curva di divertimento in equilibrio tra noia e frustrazione viene seguita in maniera perfetta durante tutta l’esperienza di gioco, che va a durare tra un’ora e le due ore nella maggior parte dei casi.
Slay the Spire: il gioco da tavolo
Parliamo quindi finalmente del gioco in scatola vero e proprio; un progetto durato tre anni, che ha avuto il difficile compito di adattare un videogame amatissimo ai nostri tavoli fisici in legno, acciaio e vetro.
Difficile nonostante il videogioco assomigli tantissimo, da un punto di vista del design e in parte della componentistica, a un gioco da tavolo. È facile infatti sottovalutare la mole di lavoro necessaria a restituire un’esperienza ludica simile a quella del fratello su schermo, contando però “solo” sul supporto fisico cartaceo.
Elenco qui di seguito alcuni dei punti con cui immagino i (re)designer abbiano dovuto fare i conti.
RNG (Random Number Generator)
Il supporto digitale consente di gentire una quantità incredibile di variabili generate casualmente senza farlo pesare in alcun modo sull’esperienza lato giocatore. Il supporto fisico non può percorrere gli stessi sentieri e deve trovare soluzioni alternative per ripensare completamente alcune meccaniche/elementi di gioco pur cercando di mantenerne lo spirito.
Credo questa sia stata la sfida più difficile da superare, dato che un roguelike si basa pesantemente sulla generazione procedurale di mappe e sulle percentuali generate casualmente e “aggiustate” con script appositi per adattarsi alle diverse situazioni di gioco.
Numeri gestibili
Quando c’è una struttura di programmazione a sostenerla, non è un problema proporre ai giocatori scelte che vedono i numeri scalare nell’ordine delle decine o delle centinaia. Al contrario, un gioco fisico normalmente cerca di tenere i numeri con cui un giocatore deve avere a che fare nell’ordine delle unità, raramente delle decine.
Il problema in questo caso ha a che fare con la granularità degli effetti, che ne esce diminuita di parecchio, con conseguenti difficoltà nell’ottenere un bilanciamento ottimale.
Fiddliness
Come sa chiunque abbia giocato a Through the Ages fisicamente e sull’app, questo può essere uno scoglio non da poco. La difficoltà nel maneggiare diversi elementi di giochi (tracciati, pedine, ecc.) e nel mantenere e aggiornare il boardstate (bookkeeping) sono normalmente azzerate dalla piattaforma digitale, purchè quest’ultima abbia una buona interfaccia utente.
In Slay the Spire questo è un altro grosso scoglio da superare, dato che per raggiungere la splendida profondità e complessità che lo caratterizza il gioco si avvale di status, tracciato dei turni e contatori vari, per non parlare delle carte con relativi potenziamenti. Più è alta la fiddliness più l’esperienza di gioco è minata da tutto quel che “non è gioco”, e quindi più viene diluito il divertimento.
Perché dovresti provarlo/comprarlo
È un gioco che ha fatto scuola. Come ci sono delle pietre angolari del game design per i giochi da tavolo, così ci sono per i videogiochi. Slay the Spire è una di queste.
Almeno la versione digitale andrebbe provata da chiunque abbia un certo interesse verso il
deckbuilding e non abbia paura della sfida.
La versione fisica del gioco spero apra le porte a un diverso genere di deckbuilding nei giochi da tavolo, dove il mazzo viene testato più volte durante un’avventura in cui è possibile immedesimarsi, e dove l’attività di costruzione del mazzo è parte principale del gioco anziché costituire il gioco stesso.
Il “core loop” del gioco è eccezionale, genera dipendenza ed è godibile a diversi livelli, da chi ci gioca ogni tanto per passare il tempo, a chi vuole esplorarne tutte le parti e soddisfare la propria curiosità, fino a chi lo prende come esperienza competitiva (PvE) e cerca di carpirne la struttura segreta.
Perché potrebbe non piacerti
Innanzitutto, il gioco è un solitario e un deckbuilder.
La versione da tavolo si può giocare in coop, e credo anche che possa funzionare benone, ricalcando diverse delle sensazioni che uno Spirit Island può restituire a livello di collaborazione. Ma il gioco è pensato per essere un solitario, e non vedo grosse ragioni per ritenere che questa non sia la configurazione in cui dà il meglio di sè.
È poi un deckbuilder, per cui se non sopporti l’alea controllabile tipica di questo genere è meglio dedicarti ad altro. Il mazzo è mischiato spessissimo, le ricompense sono sempre casuali e la configurazione del tabellone iniziale e dei nemici contro cui combatti può premiarti o punirti senza alcuna ragione.
In secondo luogo, il gioco fisico ha una durata, considerando tutti e 4 gli atti, che può arrivare anche a tre ore (nonostante quel che dicano su BGG). Non tutti hanno voglia di investire tutto questo tempo in un solitario.
In terzo luogo, il prezzo. Devo ammettere che sono uno dei tanti che è rimasto scioccato dal costo finale del prodotto, con un pledge base da 100$ escluse VAT e spedizioni. Per un gioco di carte mi sarei aspettato sui 60$.
C’è da dire che il gioco arriva con tutte le bustine necessarie, e che oltre alle carte ci sono diverse altre componenti. Rimane però un prezzo importante, per cui anche se il prodotto è probabilmente eccezionale, può darsi non ti faccia abbastanza gola.
Conclusione
Un progetto durato tre anni ha finalmente visto la luce.
Da un videogioco ispirato al mondo dei giochi da tavolo è nato un gioco da tavolo vero e proprio, che unisce novità interessantissime dal punto di vista del game design ad un gameplay ispirato, profondo, rigiocabile all’estremo e in grado di generare molta, molta, molta dipendenza.
Per quanto questa chiaramente non sia una recensione ma un articolo, dato che il gioco uscirà l’anno prossimo e che per ora lo sto solo testando su TTS, non posso fare a meno di consigliarlo e dargli “diesci” d’ufficio.
Se siete titubanti dato il costo, provate almeno il videogioco. Ne vale la pena.