Fortunatamente negli ultimi tempi ci siamo resi conto che è necessario ridurre il più possible il nostro impatto sul mondo. A questa presa di coscienza è seguito in molti un moto di autocritica verso i propri consumi e le proprie abitudini, volto a trovare una strada che permetta di continuare a vivere in modo tutto sommato benestante pur minimizzando il proprio impatto ambientale.
Nel mondo del gioco da tavolo l’impatto ambientalista si è fatto sentire relativamente poco e, quando si è sentito, l'ha fatto anche in modo poco pertinente; cito ad esempio il dibattito sull’impatto della plastica nato con la pubblicazione di Pendulum, al quale lo stesso Stegmeier ha risposto con un democristiano “bravi a interessarvi, ma alla fine legno o plastica cambia gran poco” (Wood vs Plastic: The Facts About Custom Tokens – Stonemaier Games ).
Quando si tratta di impatti ambientali, l’equivoco più grande in cui si rischia di cadere è limitarsi a guardare solo l’oggetto che ci si trova in mano, giudicando esclusivamente ciò che si vede con gli occhi magari pure in base a criteri un po’ semplicistici, come ad esempio plastica = petrolio = brutto e legno = naturale = bello. Tuttavia, questo è uno sguardo molto limitato.
Quello che bisognerebbe piuttosto fare è considerare l’intero ciclo di produzione dell’oggetto, a partire dalle sue materie prime, e valutare in ogni fase che risorse si spendono e che inquinamento si provoca. Se si vuole fare poi il compito in maniera perfetta, si esamina anche il fine vita dell’oggetto in modo da valorizzare quelli che meglio si riciclano e punire invece quelli che, oltre a non servire più, danneggiano anche l’ambiente. Questo tipo di ricerca, se opportunamente eseguita, in campo scientifico e industriale prende il nome di Life Cycle Assessment e permette di individuare in maniera realistica e relativamente affidabile quali sono i reali impatti ambientali di un prodotto e su che punti si può intervenire per diminuire un impatto. Questi studi vengono svolti da gruppi di tecnici specializzati e per un singolo prodotto possono arrivare a costare anche diverse centinaia di migliaia di euro; non stupisce quindi che nessuno finora si sia mai accollato l’onere di farne uno sui giochi da tavolo. Questo però non ci impedisce di fare qualche riflessione per individuare alcuni punti critici del settore industriale e magari capire come fare per portare qualche miglioramento.
Per farlo, partiamo innanzitutto dal considerare il ciclo produttivo di un gioco da tavolo, che ho provato a schematizzare in maniera abbastanza semplificata in questo schema. Nella discussione che segue, ho evidenziato le azioni pratiche che è possibile intraprendere con il corsivo.
Partendo dai materiali, c’è molto di più del semplice binomio plastica/legno. È molto importante considerare che non importa solo il materiale, ma soprattutto come questo materiale viene ottenuto. Partendo dalla fonte del legno e della carta, ovvero le foreste: sono gestite in modo sostenibile? Oppure quelli sono materiali che provengono da disboscamento?
Sul lato carta poi c’è molto da dire: l’industria della carta fa un grosso uso di sostanze chimiche che si portano dietro tutte un certo impatto. Un discorso simile si applica per la parte derivata dal petrolio, che include anche gli inchiostri utilizzati per la stampa. A questo livello, il modo più semplice per diminuire l’impatto è semplicemente utilizzare materiali riciclati: il legno dei segnalini può provenire da scarti pressati e incollati (ma attenzione che la colla è un prodotto dell’industria chimica e quindi ha di per sé un impatto), il cartone è probabilmente già in larga parte riciclato, invece la carta pone già più problemi. I libretti dei regolamenti non sono di carta riciclata e tantomeno le carte che compongono una grossa parte dei nostri giochi, perché un prodotto riciclato difficilmente raggiungerebbe la qualità richiesta dalle esigenze dei giocatori. Ecco quindi un primo punto da evidenziare: le esigenze dei consumatori verso una qualità sempre maggiore sono un ostacolo a un maggior utilizzo di materiali riciclati.
Sul lato plastica l’utilizzo di materiali riciclati è possibile per tutti i segnalini, che in genere sono fatti di polimeri di largo consumo come polietilene, polipropilene e polistirene. Discorso diverso per le resine, di cui sono fatte anche molte miniature, che non sono materiali riciclabili. Soprattutto negli ultimi anni parte degli sforzi delle industrie più attente alla sostenibilità si sono spostati verso il cosiddetto “ecodesign” che consiste nel produrre oggetti non solo a basso impatto ambientale, ma anche che si possano riciclare facilmente.
I giochi da tavolo da questo punto di vista sono messi molto male, per una serie di motivi:
- quando gettiamo i giochi, difficilmente ci viene in mente di differenziare;
- anche se lo facessimo, non sapremmo come comportarci con tutti i pezzi che non sono di carta, perché non vengono elencati i materiali;
- anche se sapessimo tutti i materiali, molti sarebbero non riciclabili (segnalini di legno) o difficilmente riciclabili (polimeri non riciclabili o pieni di coloranti); il motivo per cui vengono utilizzati questi materiali è che non ci sono modi più ecocompatibili di raggiungere la resa estetica richiesta.
L’ecodesign del gioco da tavolo è certamente un campo in cui ci sarebbe molto da lavorare.
Appurato che sui materiali ci sono i margini per una maggiore sostenibilità, devo anche riscontrare l’impossibilità per il consumatore di rendersene conto. A differenza di altri settori più sviluppati commercialmente, non vengono adottati dai produttori sistemi di certificazione che con il loro logo possano garantire al cliente che la produzione è avvenuta con un certo raziocinio. Anche perché ciò non è percepito dai consumatori come un valore aggiunto di rilievo, e allora ha poco senso impegnarsi anche per chi produce.
Tutte le materie prime sperabilmente si trovano già in Cina o nei pressi. Ogni metro in più di distanza da percorrere comporta consumo di carburante e altre risorse, quindi sarebbe meglio che stesse tutto più vicino possibile. Ma questo davvero non lo sapremo mai.
Arriviamo quindi in fabbrica, dove si stampa carta e plastica, si compongono le scatole, le si riempie con i pezzi. Il tutto alimentato con quale energia? Se siamo in Cina, probabilmente nel mix energetico che ha prodotto c’è molto carbone e questo va tutt’altro che bene. Attenzione che in realtà la discussione sulla fonte di energia utilizzata non si applica solo alla fabbrica, ma anche a tutta la catena produttiva delle materie prime. Ancora una volta, i produttori non adottano nessuna certificazione che garantisca che nel ciclo produttivo sono state utilizzate energie rinnovabili, quindi il consumatore non può sapere quanto la produzione del gioco ha influito sull’effetto serra e sul danneggiamento degli ecosistemi.
Il gioco prodotto in Cina deve poi essere distribuito in tutto il mondo e ciò avviene in genere con un sistema a piramide. A partire da un’unica fabbrica di produzione, il gioco viene spedito via nave ai vari hub continentali/nazionali, che a loro volta lo recapitano ai distributori, che conformemente al loro nome lo distribuiscono ai negozi da cui noi appassionati li acquistiamo. Il trasporto dalla fabbrica ai vari continenti avviene in nave e questo è già il mezzo più ecologico con cui si possono spostare oggetti tra i continenti. Successivamente all’attracco, avviene probabilmente tutto su gomma. Esistono due vie per minimizzare l’impatto della parte logistica. Una è molto radicale: produrre localmente invece che in Cina. In questo modo ci si risparmia una grossa parte dei movimenti di merci, purché anche le materie prime abbiano provenienza locale. Diciamo che serve relativamente a poco se produco in Italia, ma mi faccio arrivare legno, plastica e carta dalla Cina, per cui sarei molto cauto a quantificare l’impatto positivo reale di questa strategia. In ogni caso, questa via è difficilmente perseguibile per un semplice motivo economico: produzioni ancora più piccole, di giochi con tirature che già si limitano a poche migliaia o decine di migliaia di pezzi, farebbero certamente impennare i prezzi. L’altra via è molto più semplice ed è completamente fattibile: si può banalmente riempire meglio le scatole, cioè ridurne la dimensione il più possibile. Tutto lo spazio vuoto dentro le scatole è un enorme spreco, che limita la capacità di carico dei mezzi che le trasporta e di conseguenza provoca inquinamento non necessario. Vale la pena allora ricordare perché le scatole hanno queste dimensioni, cioè che la motivazione sta tutta nella testa dei giocatori che percepiscono la dimensione della scatola come direttamente connessa al valore dell’oggetto.
A questo punto, faccio presente che ho volutamente evitato di impelagarmi in discorsi relativi all’opportunità di acquistare produzioni di giochi sempre più pompate e piene di pezzi che magari si useranno solo di rado, perché ritengo che sia un argomento più di competenza della coscienza di ognuno di noi che oggetto di trattazione di un articolo che spera di essere, almeno un po’, tecnico. Tuttavia, non posso non far presente che qualsiasi acquisto “in più” che facciamo vuol dire inquinare e provocare ulteriori danni all’ambiente, e che non esiste via di fuga che tenga, nemmeno il riciclo o i pannelli fotovoltaici.
La seconda osservazione è che molto dell’impatto ambientale che si potrebbe salvare è invece bloccato a causa delle preferenze di noi consumatori: mi riferisco precisamente alla dimensione delle scatole e all’utilizzo di materiali non riciclati e difficilmente riciclabili. Anche se non ho dati su questi temi, sospetto che questa parte possa essere ben più rilevante delle scaramucce tra legno/plastica riciclati e non. I produttori eseguono quanto chiedono i consumatori e se i consumatori chiedono sempre “di più” e “di bello” l’ambiente è il primo a essere sacrificato.
Infine, evidenzio ancora una volta che il mio desiderio di essere “giocatore sostenibile” viene frenato dall’assenza di certificazioni che distinguano tra prodotti sostenibili e non. Queste potranno arrivare solo con un grosso impulso da parte della comunità, che però dovrebbe iniziare a mostrare una sensibilità che finora si è vista, ma molto marginalmente, forse anche perché difficilmente il gioco viene visto come un prodotto inquinante. La verità è che purtroppo lo è, come qualsiasi altra cosa che acquistiamo. Allora, perché non decidere di tutelare l’ambiente anche con il nostro hobby?