Una riflessione critica sull’impatto ambientale dell’industria dei giochi da tavolo

Uno spera di dedicarsi all’hobby del gioco in modo spensierato, per allontanarsi dai drammi che lo affliggono continuamente. E invece no. Parliamo proprio di giochi da tavolo e sostenibilità ambientale.

Editoriale
Giochi

Fortunatamente negli ultimi tempi ci siamo resi conto che è necessario ridurre il più possible il nostro impatto sul mondo. A questa presa di coscienza è seguito in molti un moto di autocritica verso i propri consumi e le proprie abitudini, volto a trovare una strada che permetta di continuare a vivere in modo tutto sommato benestante pur minimizzando il proprio impatto ambientale.

Nel mondo del gioco da tavolo l’impatto ambientalista si è fatto sentire relativamente poco e, quando si è sentito, l'ha fatto anche in modo poco pertinente; cito ad esempio il dibattito sull’impatto della plastica nato con la pubblicazione di Pendulum, al quale lo stesso Stegmeier ha risposto con un democristiano “bravi a interessarvi, ma alla fine legno o plastica cambia gran poco” (Wood vs Plastic: The Facts About Custom Tokens – Stonemaier Games ).

Quando si tratta di impatti ambientali, l’equivoco più grande in cui si rischia di cadere è limitarsi a guardare solo l’oggetto che ci si trova in mano, giudicando esclusivamente ciò che si vede con gli occhi magari pure in base a criteri un po’ semplicistici, come ad esempio plastica = petrolio = brutto e legno = naturale = bello. Tuttavia, questo è uno sguardo molto limitato.

Quello che bisognerebbe piuttosto fare è considerare l’intero ciclo di produzione dell’oggetto, a partire dalle sue materie prime, e valutare in ogni fase che risorse si spendono e che inquinamento si provoca. Se si vuole fare poi il compito in maniera perfetta, si esamina anche il fine vita dell’oggetto in modo da valorizzare quelli che meglio si riciclano e punire invece quelli che, oltre a non servire più, danneggiano anche l’ambiente. Questo tipo di ricerca, se opportunamente eseguita, in campo scientifico e industriale prende il nome di Life Cycle Assessment e permette di individuare in maniera realistica e relativamente affidabile quali sono i reali impatti ambientali di un prodotto e su che punti si può intervenire per diminuire un impatto. Questi studi vengono svolti da gruppi di tecnici specializzati e per un singolo prodotto possono arrivare a costare anche diverse centinaia di migliaia di euro; non stupisce quindi che nessuno finora si sia mai accollato l’onere di farne uno sui giochi da tavolo. Questo però non ci impedisce di fare qualche riflessione per individuare alcuni punti critici del settore industriale e magari capire come fare per portare qualche miglioramento.

Per farlo, partiamo innanzitutto dal considerare il ciclo produttivo di un gioco da tavolo, che ho provato a schematizzare in maniera abbastanza semplificata in questo schema. Nella discussione che segue, ho evidenziato le azioni pratiche che è possibile intraprendere con il corsivo.

Partendo dai materiali, c’è molto di più del semplice binomio plastica/legno. È molto importante considerare che non importa solo il materiale, ma soprattutto come questo materiale viene ottenuto. Partendo dalla fonte del legno e della carta, ovvero le foreste: sono gestite in modo sostenibile? Oppure quelli sono materiali che provengono da disboscamento?
Sul lato carta poi c’è molto da dire: l’industria della carta fa un grosso uso di sostanze chimiche che si portano dietro tutte un certo impatto. Un discorso simile si applica per la parte derivata dal petrolio, che include anche gli inchiostri utilizzati per la stampa. A questo livello, il modo più semplice per diminuire l’impatto è semplicemente utilizzare materiali riciclati: il legno dei segnalini può provenire da scarti pressati e incollati (ma attenzione che la colla è un prodotto dell’industria chimica e quindi ha di per sé un impatto), il cartone è probabilmente già in larga parte riciclato, invece la carta pone già più problemi. I libretti dei regolamenti non sono di carta riciclata e tantomeno le carte che compongono una grossa parte dei nostri giochi, perché un prodotto riciclato difficilmente raggiungerebbe la qualità richiesta dalle esigenze dei giocatori. Ecco quindi un primo punto da evidenziare: le esigenze dei consumatori verso una qualità sempre maggiore sono un ostacolo a un maggior utilizzo di materiali riciclati.

Sul lato plastica l’utilizzo di materiali riciclati è possibile per tutti i segnalini, che in genere sono fatti di polimeri di largo consumo come polietilene, polipropilene e polistirene. Discorso diverso per le resine, di cui sono fatte anche molte miniature, che non sono materiali riciclabili. Soprattutto negli ultimi anni parte degli sforzi delle industrie più attente alla sostenibilità si sono spostati verso il cosiddetto “ecodesign” che consiste nel produrre oggetti non solo a basso impatto ambientale, ma anche che si possano riciclare facilmente.
I giochi da tavolo da questo punto di vista sono messi molto male, per una serie di motivi:

  • quando gettiamo i giochi, difficilmente ci viene in mente di differenziare;
  • anche se lo facessimo, non sapremmo come comportarci con tutti i pezzi che non sono di carta, perché non vengono elencati i materiali;
  • anche se sapessimo tutti i materiali, molti sarebbero non riciclabili (segnalini di legno) o difficilmente riciclabili (polimeri non riciclabili o pieni di coloranti); il motivo per cui vengono utilizzati questi materiali è che non ci sono modi più ecocompatibili di raggiungere la resa estetica richiesta.

L’ecodesign del gioco da tavolo è certamente un campo in cui ci sarebbe molto da lavorare.

Appurato che sui materiali ci sono i margini per una maggiore sostenibilità, devo anche riscontrare l’impossibilità per il consumatore di rendersene conto. A differenza di altri settori più sviluppati commercialmente, non vengono adottati dai produttori sistemi di certificazione che con il loro logo possano garantire al cliente che la produzione è avvenuta con un certo raziocinio. Anche perché ciò non è percepito dai consumatori come un valore aggiunto di rilievo, e allora ha poco senso impegnarsi anche per chi produce.

Tutte le materie prime sperabilmente si trovano già in Cina o nei pressi. Ogni metro in più di distanza da percorrere comporta consumo di carburante e altre risorse, quindi sarebbe meglio che stesse tutto più vicino possibile. Ma questo davvero non lo sapremo mai.

Arriviamo quindi in fabbrica, dove si stampa carta e plastica, si compongono le scatole, le si riempie con i pezzi. Il tutto alimentato con quale energia? Se siamo in Cina, probabilmente nel mix energetico che ha prodotto c’è molto carbone e questo va tutt’altro che bene. Attenzione che in realtà la discussione sulla fonte di energia utilizzata non si applica solo alla fabbrica, ma anche a tutta la catena produttiva delle materie prime. Ancora una volta, i produttori non adottano nessuna certificazione che garantisca che nel ciclo produttivo sono state utilizzate energie rinnovabili, quindi il consumatore non può sapere quanto la produzione del gioco ha influito sull’effetto serra e sul danneggiamento degli ecosistemi.

Il gioco prodotto in Cina deve poi essere distribuito in tutto il mondo e ciò avviene in genere con un sistema a piramide. A partire da un’unica fabbrica di produzione, il gioco viene spedito via nave ai vari hub continentali/nazionali, che a loro volta lo recapitano ai distributori, che conformemente al loro nome lo distribuiscono ai negozi da cui noi appassionati li acquistiamo. Il trasporto dalla fabbrica ai vari continenti avviene in nave e questo è già il mezzo più ecologico con cui si possono spostare oggetti tra i continenti. Successivamente all’attracco, avviene probabilmente tutto su gomma. Esistono due vie per minimizzare l’impatto della parte logistica. Una è molto radicale: produrre localmente invece che in Cina. In questo modo ci si risparmia una grossa parte dei movimenti di merci, purché anche le materie prime abbiano provenienza locale. Diciamo che serve relativamente a poco se produco in Italia, ma mi faccio arrivare legno, plastica e carta dalla Cina, per cui sarei molto cauto a quantificare l’impatto positivo reale di questa strategia. In ogni caso, questa via è difficilmente perseguibile per un semplice motivo economico: produzioni ancora più piccole, di giochi con tirature che già si limitano a poche migliaia o decine di migliaia di pezzi, farebbero certamente impennare i prezzi. L’altra via è molto più semplice ed è completamente fattibile: si può banalmente riempire meglio le scatole, cioè ridurne la dimensione il più possibile. Tutto lo spazio vuoto dentro le scatole è un enorme spreco, che limita la capacità di carico dei mezzi che le trasporta e di conseguenza provoca inquinamento non necessario. Vale la pena allora ricordare perché le scatole hanno queste dimensioni, cioè che la motivazione sta tutta nella testa dei giocatori che percepiscono la dimensione della scatola come direttamente connessa al valore dell’oggetto.

A questo punto, faccio presente che ho volutamente evitato di impelagarmi in discorsi relativi all’opportunità di acquistare produzioni di giochi sempre più pompate e piene di pezzi che magari si useranno solo di rado, perché ritengo che sia un argomento più di competenza della coscienza di ognuno di noi che oggetto di trattazione di un articolo che spera di essere, almeno un po’, tecnico. Tuttavia, non posso non far presente che qualsiasi acquisto “in più” che facciamo vuol dire inquinare e provocare ulteriori danni all’ambiente, e che non esiste via di fuga che tenga, nemmeno il riciclo o i pannelli fotovoltaici.

La seconda osservazione è che molto dell’impatto ambientale che si potrebbe salvare è invece bloccato a causa delle preferenze di noi consumatori: mi riferisco precisamente alla dimensione delle scatole e all’utilizzo di materiali non riciclati e difficilmente riciclabili. Anche se non ho dati su questi temi, sospetto che questa parte possa essere ben più rilevante delle scaramucce tra legno/plastica riciclati e non. I produttori eseguono quanto chiedono i consumatori e se i consumatori chiedono sempre “di più” e “di bello” l’ambiente è il primo a essere sacrificato.

Infine, evidenzio ancora una volta che il mio desiderio di essere “giocatore sostenibile” viene frenato dall’assenza di certificazioni che distinguano tra prodotti sostenibili e non. Queste potranno arrivare solo con un grosso impulso da parte della comunità, che però dovrebbe iniziare a mostrare una sensibilità che finora si è vista, ma molto marginalmente, forse anche perché difficilmente il gioco viene visto come un prodotto inquinante. La verità è che purtroppo lo è, come qualsiasi altra cosa che acquistiamo. Allora, perché non decidere di tutelare l’ambiente anche con il nostro hobby?

Commenti

L'articolo migliore mai concepito sul mondo del gdt :) . 

L'unica è frenare il consumismo folle nel settore, che peraltro ha come effetto principale un flusso di cassa continuo dalle tue tasche a quelle dell'editore e come secondario l'uscita incessante di giochi brutti. 

Complimenti per l'articolo! Nonostante in famiglia siamo piuttosto sensibili al tema dell'ecosostenibilità, ammetto di non avere mai guardato il problema da questo punto di vista. L'impressione è che la dimensione ludica del nostro hobby faccia inconsapevolmente passare in secondo piano la problematica... In fondo è un gioco, che male fa... e invece...

Non credo molto (purtroppo...) che il problema si possa risolvere con la localizzazione, quanto piuttosto con un acquisto maggiormente consapevole. Personalmente alcuni accorgimenti di ecodesign potebbero influire alla lunga sulla scelta degli acquisti.

Grazie ancora per l'articolo illuminante!

Carino questo articolo!

insomma, un altro motivo per odiare le maledette scatole sovradimensionate!

Bel articolo! C'è comunque da dire che i giochi da tavolo sono oggetti che in genere si conservano e non finiscono in una discarica o abbandonati in giro. Non fanno la tipica fine dei beni di consumo ed in un certo senso l'impatto è minore di qualsiasi altro prodotto usa e getta, che va raccolto, trasportato, smaltito, riciclato o incenerito, se non finisce ad inquinare da qualche parte.

La certificazione dei materiali sarebbe un'iniziativa molto interessante, ma concordo sul fatto che quello che possiamo fare come giocatori è innanzitutto acquistare consapevolmente (anche se, per degli appassionati, scoprire giochi nuovi è parte integrante della passione). Certo, la prima conseguenza sarebbe una riduzione del mercato dei gdt, ma alla fine, come in tutte le produzioni di massa, la sensazione è che la diminuzione significativa dei consumi sia l'unica via per innescare trasformazioni nel sistema di produzione.

Riciclaggio: al momento, una cosa che forse possiamo fare è valorizzare l'usato (il cui commercio però ha impatto sui trasporti?).

Hai tralasciato tutto il discorso wrapping che, secondo me, è l'unico punto dove realmente si può agire senza problemi.

vedi il recente caso terraforming mars big box e le sue millemila bustine di plastica.

Abbasso Asmodee....Viva Splotter Spellen

Devo dire che nella mia personale esperienza ludica legata agli acquisti di giochi, la Tana rappresenta un ottimo riduttore di CO2 emessa, perché se è pur vero che spendo del tempo navigando (cioè inquino), le numerose recensioni ed altri articoli di cui giocatori e giocatrici possono fruire, nonché l'ottima iniziativa del Mercatino orientano decisamente verso l'acquisto riflessivo e quello più eticamente responsabile dell'usato (che ha comunque un'impronta minore del nuovo, specie se lo ritiro a mano nella mia città ad esempio). 

Concordo con quanto scritto.. chiaramente il settore della produzione e vendita dei GdT è solo una parte, forse minima, dell'enorme problema ambientale globale, ma resta comunque un problema; il consumo sfrenato, di qualsiasi bene, è sempre un problema. Quindi, occhio.. e poi condivido il pensiero di chi sostiene che alla fine la bulimia ludica porta solamente a riempirsi la casa di un gran numero di giochi pessimi.

buon articolo per non addetti ai lavori. Detto questo, una quantificazione degli impatti ambientali per un futuro articolo ci starebbe bene, per quanto di difficile realizzazione ^^(spero qualcuno prenda la palla al balzo e ci provi xD)

 

 

 

Il problema è che quei pochi che ci provano (editori) poi vengono bastonati da noi giocatori per un motivo o per un altro.

Vedasi le scatole di Villainous che non hanno il cellophane attorno adottando solo 2 piccoli scotch per tenere insieme la scatola chiusa e i materiali preservati, eppure molti si sono lamentati di "graffi" o "colla attaccata" sulla scatola proprio per la mancanza del suddetto cellophane al grido di "ho pagato questo gioco 50 euro e non c'è nemmeno il cellophane, vergogna per la Ravensburger".

Un altro esempio sono le scatole della trilogia "del Regno Occidentale" di Shem Philips, quando uscì Paladini non furono in pochi a lamentarsi della scatola troppo piccola per contenere i materiali del gioco, eppure personalmente sono riuscito a ridistribuire tutto bene con un inserto e le plance dentro una scatola di espansione vuota di Architetti. Dopo queste lamentele infatti l'editore ha subito prodotto delle "big box" per contenere gioco base ed espansione (cosa per me inutile dato che risulta in un ulteriore spreco dato che entrambi hanno già la loro scatola).

Quindi finché ci sono lamentele del genere credo che non andremo molto lontani...

Il mercatino dell'usato, i giochi in prestito e le ludoteche sono le prime soluzioni a questo problema.
Voglio un gioco? Allora faccio così:
- Cerco informazioni sul web (magari anche il regolamento)

- Chiedo pareri in gruppi/forum/etc., mentre cerco delle valide recensioni

- Cerco una ludoteca o qualche associazione che permette di provarlo (possibilmente, con il numero ottimale di giocatori), tra l'altro molti si possono provare online

- Cerco in mercatini dell'usato e, se non si trova o non è in buono stato, lo acquisto nuovo

Nel frattempo, come a me succede, aggiorno la mia lista desideri secondo i miei gusti principali e le novità del mondo ludico. Sopratutto, elimino il concetto del "must have" perchè la 'conditio sine qua non' un gioco sia bello è che piaccia, non che sia nelle top classifiche di un sito piuttosto che un altro.

Ottimo articolo, rimarchevole soprattutto perché dice una cosa che non è immediatamente chiara ai più: che le cose non sono mai "così semplici". Al di là della distruzione del paradigma "legno/carta=bello; plastica=brutto", che come s'è detto lascia il tempo che trova nel momento in cui non sono chiare le origini e i metodi di lavorazione delle materie prime, ci ricorda un fatto importante: ossia che per quanto sia importante fare l'ecologia "in casa propria" gli effetti saranno sempre molto blandi se non si arriva ad una coscienza comune a spettro più ampio, al quale non può coesistere con un sistema economico aggressivo.

Traduco: chi vuole guadagnare (o risparmiare) se ne fregherà sempre dell'ecologia - anche se magari entro i limiti del consentito dalle leggi. Come dopotutto se ne frega dei diritti dei lavoratori - se la legge non li sancisce. E chi vuole sopravvivere in questa jungla produttiva ha due scelte: o si adegua alla filiera esistente e pur non avendo cattive intenzioni deve sottostare allo status quo, oppure finisce con l'essere poco competitivo e, salvo rarissimi casi, sparire.

Squalo97 ha citato Splotten Spellen, che è non a caso una goccia nell'oceano: giochi prodotti in pochissime copie esteticamente brutte e spudoratamente costose che se non fossero meravigliosi dal punto di vista delle meccaniche finirebbero al macero in tempo 0. È abbastanza evidente che un mass-market non possa vivere di simili prodotti...

Senza per forza scadere nella polemica politica da Bar Sport, ricordo che una ventina d'anni fa, in mezzo a tante farneticazioni, ho sentito uscire dalla bocca di un comico promosso a leader politico una grande verità a proposito della Cina e di altri paesi industrialmente emergenti (India, Brasile ecc), ossia: "Noi non dobbiamo importare i prodotti: noi dobbiamo esportare i diritti!". C'è una strada enorme da fare, ed anche se possiamo fare qualcosina limitando il nostro (per esempio, evitando di imbustare a tutti i costi le carte dei giochi... pensateci...) difficilmente risolveremo il problema se non si agisce a ben altro livello.

Devo essere sincero mi sono interrogato molto su questo punto anche perché la maggior parte degli appassionati è un consumatore incallito che compra e assaggia un prodotto per poi tenerlo su uno scaffale. Ogni volta che vedo un kickstarter over prodotto penso a quanto inutilmente stiamo sprecando risorse giusto per il piacere che ci dà il possesso di qualcosa. Inoltre è vero che ora i giochi li custodiamo come reliquie ma a lungo andare come i giochi dei nostri genitori dovranno essere smaltiti e per quanto crediamo che siano diamanti e che durino per sempre la realtà è che prima o poi saranno rifiuti che andranno smaltiti. Penso che un piccolo primo passo sia fermare l'escalation kickstarter e il suo continuo offrire di piu. Ma come in ogni modello economico su scala mondiale tutti guardano la convenienza e il profitto e per avere profitto un kickstarter deve avere i kg di roba e per gli acquirenti deve avere le esclusive che gli alzano il prezzo. Dal punto di vista estetico poi ormai siamo tutti incapaci di accettare dei compromessi. Vogliamo che tutto sia perfetto e questo penso che ci sia stato inculcato dalla società che ci ha cresciuto. Ed ecco che quindi ancora una volta i problemi del nostro pianeta sono causati dalla nostra avidità e vanità (anche se devo essere sincero queste forme si presentano in maniera più sana e per lo più involontaria rispetto a molti altri settori)

Vi ringrazio tutti per l'apprezzamento! Rispondo al dubbio che esce più frequentemente, che è quel "i giochi non li buttiamo". Come ha detto @madagelo, qualsiasi cosa che viene prodotta prima o poi dovrà essere smaltita (fanno eccezione solo una minima frazione che entra nel giro dell'antiquariato, ma non è così significativa sul totale). Intendo dire, oggi si parla di riciclaggio dei materiali con cui sono fatte le case, pensiamo davvero che un gioco sia più durevole di una casa? Altro esempio sono le pale eoliche che hanno una vita di circa 25 anni (e sono un problema grosso, ma andrei OT).

La verità è che prima o poi finiranno anche loro in discarica, quando il partner si stuferà e imporrà che metà collezione deve sparire, quando ahimè verremo a mancare e la discendenza vorrà vendere la casa, quando scopriremo che è più bello fare i micologi e passeremo le giornate a cercare funghi invece di giocare su un tavolo. Quindi interrogarsi sulla riciclabilità di un gioco da tavolo ha senso, perché non sono eterni.

Utilissima riflessione e ottimo articolo, ben approfondito.

Aggiungo inoltre tutto l'apporto intellettuale riguardante la produzione di un gioco in scatola. Che riguarda il consumo di risorse intellettuali, le quali comunque consumano energia. La fase di ideazione comporta ricerche e scambi di opinione (mail, chat, forum, internet, ecc...) , la fase di playtest movimenta persone e ancora scambi di opinione, la fase di editing idem.

Un'investimento e un'uso di risorse, per una scatola la cui vita media sul mercato si aggira, secondo le più recenti stime, attorno ai 40 giorni. Uno spreco immane se comparato a questi miseri 40 giorni.

aggiungerei sul piatto della discussione la lodevole iniziativa di earthborne rangers.

 

gaborambo scrive:

Concordo con quanto scritto.. chiaramente il settore della produzione e vendita dei GdT è solo una parte, forse minima, dell'enorme problema ambientale globale, ma resta comunque un problema; il consumo sfrenato, di qualsiasi bene, è sempre un problema. Quindi, occhio.. e poi condivido il pensiero di chi sostiene che alla fine la bulimia ludica porta solamente a riempirsi la casa di un gran numero di giochi pessimi.

 

E l'emorragia di denaro, non dimenticare l'emorragia di denaro :P

È una riflessione che faccio da tempo. E voi dimostrate di essere avanti. 

Perché si possono scrivere 40 pagine di regolamento e non si può aggiungere una paginetta con le istruzioni per lo smaltimento? Sarebbe un discreto passo avanti.

Ma poi ho sempre pensato,  se ho i meeple di Lords of Waterdeep perché non posso usarli in altri giochi ? È così impossibile imporre degli standard che impediscano inutili sovrapposizioni? Penso per esempio a quanti dadi ho in casa. 

Lo so l'ambientazione etc etc però da qualche parte bisogna iniziare. 

Complimenti per l'articolo lungimirante,  sperando che possa avviare un discorso serio sul tema. Grazie. 

Problema complesso, che come tale non ha un unica soluzione: io credo che se volessimo partire da un punto, tutti i produttori europei (ma ben vengano gli altri) dovrebbero pensare ad un qualche sistema di certificazione ( anche a vari livelli, un po' come il consumo degli elettrodomestici), da applicare a tutti i giochi messi in commercio, e soprattutto pubblicizzare il motivo di certe scelte "ecologiche" ( tipo quelle citate di Ravensburg o dei paladini del regno occidentale).

Partiamo da qui.

Articolo super interessante. Il caso recente di Earthborne Rangers la dice lunga.

Estremamente attento a tutta la sostenibilità del progetto, chiaramente aveva costi leggermente più alti del solito, ma invece di lodare l'attenzione e l'iniziativa, in rete non si commentava altro che il prezzo. La verità è che sopravvalutiamo la capacità etica di una buona fetta della nostra comunità di appassionati. 

pulpfiction scrive:

Perché si possono scrivere 40 pagine di regolamento e non si può aggiungere una paginetta con le istruzioni per lo smaltimento? 

perchè se un gioco vende 10 milioni di copie sono 10 milioni di pagine in più da stampare.

non mi sembra l'inizio migliore per chi si prefigge di abbattere i costi ambientali..

per scrivere cosa poi? butta la carta nella carta e il legno nell'indifferenziato?

che poi basta fare come tutti i prodotti.si mettono i simboli sul retro della scatola.

edit. commento doppio.

È giusto quello che scrivi.  Ma alla fine  non c'è niente che si possa fare ?

pulpfiction scrive:

È giusto quello che scrivi.  Ma alla fine  non c'è niente che si possa fare ?

ahimè non ne ho alcuna idea.. :(

Ok, alla fine tutto andrà in discarica, ma secondo me un modo per diminuire (o meglio diluire nel tempo) l'impatto ambientale dei giochi da tavolo sta nel loro riuso.

Io non ho mai buttato un gioco da tavolo, quelli che non uso più li ho sempre rivenduti o regalati ad altri giocatori che gli hanno dato una nuova vita; spesso li compro usati e li rivendo a chi li giocherà ancora. Questo "riuso" dei giochi da tavolo li rende estremamente ecologici perché ogni passaggio di mano risparmia una nuova produzione di tutti i suoi componenti.

Certo questo discorso non è applicabile agli accumulatori seriali (di cui facevo parte anche io fino ad una decina di anni fa) ma se si supera questa mania, oltre a giovarne il portafogli, si vive più sereni sapendo che i giochi che abbiamo acquistato e, di conseguenza, fatto produrre verranno riutilizzati ancora a lungo prima di diventare inservibili e quindi da buttare. A volte, quando un gioco diventa inutilizzabile perché alcuni componenti essenziali si perdono o si rompono, i restanti pezzi vengono venduti come ricambi sulla rete e questo da nuova linfa a quello che sarebbe diventato normalmente un rifiuto.

Ho già lasciato disposizione ai miei figli riguardo alla mia collezione: "quando non vorrete più giocarci, provate a venderli, vi garantisco che avrete in mano un piccolo tesoretto, e se non avete lo sbatti, regalateli all'oratorio o alla ludoteca che qualcun'altro ne beneficierà sicuramente".

Che bello che qualcuno abbia il coraggio di scrivere un articolo che ci ricordi che siamo brutte persone che comprano un sacco di robe inutili che usano pochissimo e foderano pure di plastica per ritardarne l'usura (come se potessimo veramente vedere la fine-vita di un gdt che ancora volevamo usare:vi assicuro che i miei Coloni di Catan e Agricola sono ancora utilizzabilissimi nonostante tempo e utilizzo ripetuto), magari anche solo per poterli rivendere a qualche decina di euro in più fra decenni (a cui scalare il costo delle buste e dell'immagazzinaggio nel frattempo). Il collezionismo è una vera piaga per l'ecologia. Come lo è la competizione su base prezzo. Meno una cosa costa più viene acquistata e quindi più risorse (che non ci possiamo permettere di sprecare già da tempo) vengono utilizzate. Tutto (ciò che è inutile) dovrebbe costare di più. Esponenzialmente. È l'unico modo possibile in questo mondo dominato dall'economia di aiutare l'ecologia. Non c'è altro modo di convincere la gente a comprare di meno (e in alcuni casi di rendere possibile il non sfruttamento di categorie di lavoratori).

Ottimo articolo. Finalmente si cominciano a toccare argomenti a mio parere un po' troppo sottovalutati. E mi piacerebbe che si andasse anche più a fondo con il discorso con articoli futuri.

considerazioni sacrosante, però per come la vedo io, le modificazioni dei comportamenti sul lato consumatore sono del tutto irrilevanti. Un reale cambiamento si può avere solo se si ripensa l'intera impostazione economica e produttiva. Tali cambiamenti possono avvenire solo se sono più convenienti economicamente o a seguito di una profonda crisi. Tenere comportamenti più etici è utile solo per la nostra coscienza, non hanno alcun reale impatto.

pulpfiction scrive:

Ma poi ho sempre pensato,  se ho i meeple di Lords of Waterdeep perché non posso usarli in altri giochi ? È così impossibile imporre degli standard che impediscano inutili sovrapposizioni? Penso per esempio a quanti dadi ho in casa. 

THIS! Ma non ho la piu' pallida idea di come possa essere realizzato in pratica...

Grazie per l'articolo che pone serie e pressanti riflessioni e provocazioni su un tema che va affrontato anche nell'ambito dei giochi da tavolo dove c'è ancora molta strada da fare.. Il primo passo è sicuramente la sensibilizzazione dei giocatori perché, si sa, l'offerta si adatta alla domanda..

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