Complimenti, bel racconto.
Proprio in questi giorni, io e la mia moglie, lo abbiamo giocato quattro volte di seguito.
Non ho mai vinto
Come ogni domenica L'Occhio della Redazione premia il miglior report apparso in "Ieri ho giocato a...". Torna con onore in home page il Signor_Darcy che ci regala uno splendido racconto di leggende maya...
La nebbia tersa era rotta dal canto degli uccelli, ma non si sentiva nessun altro rumore.
Silenziose come la morte, centinaia di persone, le vesti variopinte, le gambe tornite, le braccia muscolose, assistevano inquiete.
Le lance infuocate del tramonto gettavano lunghe ombre sulla folla, piccola, quasi invisibile, ai piedi del palazzo del re.
Il sacerdote si fermò, immobile, per lunghi secondi. Rimuginò tra sé; poi si udì una flebile cantilena, quasi una preghiera, come se l'uomo sentisse il bisogno di farsi coraggio.
Ma la lama non scese; il sacerdote mollò la presa e il coltello cadde a terra, in un rombo metallico che scosse l'angoscioso silenzio. Fece quindi rialzare l'uomo che, inginocchiato, aspettava la sua sorte e, tra lo stupore generale, tuonò queste esatte parole: "Non mi serve il suo scalpo."
Poi si girò verso l'onesto lavoratore, gli fece l'occhiolino e gli sussurrò: "Domani mi porterai oro, pietra e due mais e amici come prima."
Questo narra una delle leggende di Yaxchilán.
Se sia vera o meno, non mi è dato saperlo. Quel che è certo è che, ieri sera, le ruote dentate hanno girato ancora.
"Giochiamo a Jumanji", ha chiesto nostra signora dei cubetti di legno - lei lo chiama così, e un po' a ragione.
Al che il marito, ben lieto di montare la plancia - angolo basso sinistro, senso orario - ha sistemato il necessario piuttosto velocemente, le risorse in un unico cumulo, il cibo gettato a carrettate sullo Tzolk'in.
Agli ordini della sua sovrana, i sudditi del pappagallo blu partono decisi, puntando immediatamente aNostra signora di Tikal inanella una serie infinita di edifici e di fattorie, tanto che sfamare i suoi lavoratori per lei non sarebbe stato un problema per tutto l'anno. Non altrettanto lungimirante, la scimmia deve invece spendere otto carriole di mais al primo giorno del cibo e sei al secondo, perdendo tre punti per sfamare anche quell'ingordo dell'ultimo arrivato.
Anche nei templi il dischetto blu è sempre, inesorabilmente, un passo più avanti di quello giallo ed ecco che, a metà del ciclo, il segnapunti dei pappagalli prende il volo.
Scarseggia però il mais, e ce n'è sempre più bisogno. I due sovrani ordinano di disboscare, con la scimmia più scaltra a trovarsi al momento giusto con un lavoratore che possa raccogliere il prezioso cereale.
Non è finita, però, perché, mentre il pappagallo fa scorta di mais con un vorticosa danza del segnalino del primo giocatore, le risorse accumulate dalla scimmia le permettono di costruire una meraviglia, quella per gli edifici tombali.
Quegli otto punti si rivelano decisivi per agguantare il disco blu, lanciatissimo dal predominio nei templi e dalle infinite scorte di mais.
I lavoratori sono tutti nelle loro case, nessuno è al lavoro, nessuno se la sente di portare la vittoria dalla sua parte.Ma ecco che un'altra leggenda narra di un segnalino di mais caduto sul pavimento, forse dalla ruota, forse dalle scorte del pappagallo blu. Cambia poco, tra ventitré e ventiquattro: cambia un solo punto.
Sennonché quel punto fa la differenza tra un pareggio e una vittoria.
La leggenda non dice di chi fosse quel mais, né se il pappagallo ebbe la meglio sulla scimmia.
Quello che so è che calò la sera e venne di nuovo mattina.
Nella foresta, gli uccelli continuavano a cantare.
Complimenti, bel racconto.
Proprio in questi giorni, io e la mia moglie, lo abbiamo giocato quattro volte di seguito.
Non ho mai vinto
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