Edito in sola lingua teutonica dalla Kosmos, ma corredato da una traduzione di tutto il manuale e delle missioni su BGG, si tratta di un collaborativo puro di sole carte (e pochi segnalini) per 2-5 giocatori, circa 15 minuti a partita, consigliato a un pubblico familiare (10+), ma anche – soprattutto – ai nonni del bar, basato su meccaniche di trick-taking, ovvero le “prese” dei giochi di carte che tutti conoscete.
Come si gioca a The Crew
La base del gioco è quella di una Dichiarazione di King. Ok, se non lo conoscete, vi spiego in breve.
Il mazzo è costituito da 40 carte divise in 4 colori (o semi, come preferite) dall'uno al nove, col nove che prende l'otto che prende il sette e così via. Le ultime quattro carte sono un seme speciale che prende tutti gli altri, come una briscola e rappresentano dei razzi, con valore dall'uno al quattro.
Come nel Tressette, il primo che cala una carta fa “comandare” quel seme, ovvero tutti gli altri sono obbligati a rispondere con quello stesso seme, se lo hanno; se invece rispondono in altro modo la loro carta viene presa dal seme che comanda, anche se più alta. A meno che non sia un razzo-briscola.
Tutte le carte vengono sempre distribuite tra tutti i partecipanti, per cui sono sempre tutte in gioco fin dalla prima mano.
C'è poi un altro mazzetto di 36 carte più piccole come formato, le carte Missione, che sono del tutto identiche nei valori e colori a quelle del mazzo di gioco, escluse le briscole.
Il libretto delle missioni ne fornisce ben 50, in ordine progressivo dalla più semplice alla più impossibile: vanno fatte in serie, passando alla successiva solo quando si riesce a superare la precedente. Sono anche legate da un sottile filo tematico, dato che dovrebbero condurci alla scoperta del misterioso nono pianeta, come recita il sottotitolo del gioco...
Per esempio, una missione può prevedere di effettuare una presa ottenendo il sette rosa, una il quattro giallo e una il nove giallo, magari in un preciso ordine. Le prese vengono assegnate ai giocatori a partire dal capo-missione, che è quello che si ritrova in mano il quattro di briscola-razzo: lui ne sceglie una per sé e poi in senso orario ogni altro giocatore prende una delle restanti, fino ad esaurimento.
La cosa importante è che non sono permesse comunicazioni tra i membri dell'equipaggio, se non con il seguente stretto vincolo: prima di iniziare a giocare una mano della partita, dopo l'assegnazione degli obiettivi, ciascuno cala scoperta in tavola dalla propria mano una singola carta e con un segnalino indica se quella sia la carta più alta che possiede di quel colore, la più bassa o l'unica. Questa è l'unica comunicazione permessa in partita, per il resto, zitti e muti, nessun segno, nessuna esclamazione. Non è necessario che tutti comunichino la propria informazione nella medesima mano: ognuno agisce quando lo ritiene più opportuno (ma solo una volta per partita).
Si procede in questo modo fino a che non suona la sveglia e vi rendete conto di essere rimasti a giocare a The Crew tutta la notte.
Perché da scettico mi sono ricreduto
Non ho in realtà mai provato molta attrazione per questi giochi di carte che scimmiottano in qualche modo quelli che già conosciamo, grazie alla nostra italica “cultura da bar”, come dicevo anche in questo vecchio articolo.
Qui però mi sono dovuto ricredere, per una serie di motivi:
- il fatto di avere dei diversi scenari innestati su una base di gioco comune mantiene al contempo l'esperienza che fai da uno all'altro, affinando sempre di più la tua capacità di giocare e di interpretare gli indizi, al contempo pone sempre una nuova sfida rinnovando il gioco di partita in partita;
- l'avere una campagna ti pone degli obiettivi a lungo termine, mantiene vivo l'interesse per il gioco serata dopo serata, donando una piacevole sensazione di scoperta;
- il limite della comunicazione fa sì che ognuno sia responsabilizzato all'interno della squadra, che ci sia collaborazione ma anche tanto gioco individuale; fa anche sì che le discussioni a fine partita siano vive e accese come non mai, analizzando dove si è sbagliato e dove si può migliorare.
Perché è meglio di Hanabi
Intanto – almeno per ora – non ci sono i “trucchetti”, o se volete le convenzioni messe in atto da chi gioca ad Hanabi (ve le hanno ben illustrate in questo articolo).
Poi c'è una sensazione che Hanabi non è in grado di dare e che in The Crew è invece ben presente: quella di vincere o perdere.
Hanabi si basa su un punteggio: hai comunque sempre la sensazione di aver portato a casa la partita, un po' meglio, un po' peggio, andrà meglio la prossima volta, ecc.
Qui non ci sono scuse: o vinci o perdi, o fai errori o non ne fai. È più gratificante quando vinci, ti infonde più spirito di rivalsa quando perdi (abbiamo passato una mezza serata a tentare di superare in cinque uno scenario particolarmente difficile, sempre con maggiore accanimento).
Infine la maggiore variabilità del gioco (50 scenari) e la voglia di portare in fondo la campagna lo fa non solo tirar giù dallo scaffale più spesso, ma davvero spinge inesorabilmente, superato uno scoglio, ad affrontare immediatamente il successivo.
Conclusione
The Crew è entrato come una bomba sul mio tavolo. In mezzo a tanti giochi tutti uguali, in mezzo a tante meccaniche trite e riciclate, in mezzo a tante ambientazioni appiccicate, un semplice gioco di carte è riuscito dove enormi scatole da 100 euro hanno fallito miseramente.