una corsa in banca...quindi consiglieresti questo gioco ai correntisti di banca etruria? scherzo eh...sei sempre un grande (tranne quando tiri tre 6 contro risiko)
Dopo due anni di sospirata attesa, in cui Stefan Feld pareva dover partorire un capolavoro, ecco finalmente venire alla luce L'oracolo di Delphi, corsa in barca tra i mari dell'Egeo per soddisfare i capricci di Zeus e portare in giro robe a caso. Gioco da tavolo per due-quattro giocatori, durata 60-120 minuti, età consigliata 12+, si basa su tiro dadi e pick-up & deliver [ossia raccolta e consegna su mappa, NdR].
Cosa troviamo dentro il gioco? Un po' tutti gli elementi classici di Feld, anche se qualcuno è mascherato. Troviamo anche qualche novità. Purtroppo brutta.
Materiali
Qualcuno deve aver ripetuto allo sfinimento a Feld che i colori di The Castles of Burgundy erano troppo smorti, perché da AquaSphere in poi il nostro si è fatto un trip di acido nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie. L'Oracolo di Delphi è un tripudio di colori accesi, col tabellone fornito in due versioni per apparecchiare quella che disturba meno: sotto al tavolo. Per il resto siamo nella norma come qualità e l'iconografia è per lo più chiara. Il gioco è indipendente dalla lingua.
Com'è il regolamento di questo gioco da tavolo?
Il regolamento è chiaro e con esempi. Le azioni sono spiegate tutte in fondo ma, essendo un gioco di base molto semplice, non ci sono problemi.
L'ambientazione in L'Oracolo di Delphi
Ma quale ambientazione? Zeus vuole invitare un mortale a dimorare nell'Olimpo e per farlo lo sottopone a dodici difficili prove: il primo a terminarle vincerà l'ambito premio. Ora, chi ha studiato un minimo la mitologia greca, sa benissimo che Zeus se ne sarebbe fregato di prove e missioni, scegliendo semplicemente la più gnocca di tutta la Grecia. Magari è un'idea per un altro gioco.
Il gioco in breve
Il tabellone viene costruito da tessere a incastro (alla fine della partita presenta un sacco di tessere mare), sulle quali si muove la nostra barca, con adiacenti isole di vario genere.
I giocatori hanno una plancia personale con l'oracolo e sei spazi colorati: alla fine del proprio turno tirano tre dadi, ciascuno con una faccia nei sei colori disponibili, e li piazzano sui corrispondenti spazi dell'oracolo. Devono spendere un dado del colore giusto per navigare su un esagono entro tre spazi del colore corrispondente, prendere un cubetto-offerta di quel colore da un'isola, portarlo a un tempio di uguale colore su un'altra, fare la medesima cosa con una statua, affrontare un mostro di quel colore e quant'altro. In pratica i dadi forniscono azioni, per la maggiora parte pick-up&deliver, con cui ti sposti tra un'isola e l'altra, portando cose. È possibile cambiare il risultato dei dadi spendendo segnalini fato, ponderando bene se ne val la pena. Il tutto è condito da vari bonus conquistabili completando queste missioni: dal tiro di dado che ogni tanto fa capolino, ad esempio per affrontare i mostri o il titano che cerca di farti saltare turni di gioco, ai poteri speciali degli dei, che avanzano sul tuo tracciato personale quando il loro colore appare sui dadi lanciati dagli avversari.
Chi prima riesce a completare le dodici missioni (costruire tre templi, portare tre offerte, edificare tre statue, sconfiggere tre mostri) e tornare da Zeus ha vinto la partita.
Com'è la scalabilità in L'Oracolo di Delphi?
La scalabilità di questo gioco da tavolo è ottima, perché, anche se il tabellone è sempre lo stesso, gli elementi presenti scalano e l'interazione è talmente bassa da non fare la differenza.
Quanto rigiocabile si rivela questo gioco da tavolo?
Le variabili sono in realtà pochissime, se si esclude la blanda personalizzazione data dall'abilità speciale della nave. Le cose da fare, sempre le stesse: è un gioco che stufa presto.
C'è interazione in L'Oracolo di Delphi?
L'interazione è ai limiti del solitario di gruppo. La mappa è sufficientemente grande da non doversi mai ostacolare troppo e anche se ti soffiano qualcosa, le cose da fare sono sempre tante e si può ripiegare su qualcos'altro.
Quali sono gli elementi di originalità nell'ultimo gioco di Stefan Feld?
Ci sono i buchi nel tabellone. L'uso dei dadi si è già visto in The Castles of Burgundy, ma qui è meno intrigante. Per il resto cose già viste.
Profondità, strategia e tattica
L'Oracolo di Delphi è un gioco fondamentalmente piatto. La profondità delle azioni è ridotta al minimo e al turno in corso. Puoi regolarti solo sui dadi che hai, modificandoli con i segnalini fato. Questo comporta una particolare situazione, per cui c'è una forte paralisi da analisi turno per turno, perché ogni dado può dare vita a tante azioni - ma, se non si vogliono sprecare segnalini fato, l'ottimizzazione delle poche azioni uscite sarà abbastanza scriptata.
In pratica si tratta di risolvere un puzzle meglio e più rapidamente degli altri. Qui, però, si inseriscono degli elementi aleatori di disturbo dati da diversi fattori. Innanzitutto i dadi, che sono il meccanismo base - e questo ci sta pure.
Modificarli comporta la spesa di preziosi segnalini fato e le azioni in cui non conta il colore del dado sono le classiche di ripiego. Non solo però i tuoi dadi, ma anche quelli avversari, dato che possono far avanzare i tuoi dei sul tracciato e sono tutte preziosissime azioni in più.
Quello che più stona sono però il lancio di dado contro i mostri e le tessere isola coperte. Nel primo caso, esistono due modi per arginarlo e uno per risolverlo. Si possono prendere scudi durante la partita per aumentare le probabilità nel lancio (che di base ha il 10% di successo), ma c'è l'inconveniente di non poter sfruttare, magari a inizio partita, la vicinanza con un mostro, dovendo aspettare questo potenziamento, per cui si perdono mosse e non si ottimizza il proprio tempo di gioco. Inoltre, anche con cinque scudi (il massimo), le probabilità di riuscita sono il 60% e fallire tirando uno zero comporta pure una carta ferita gratis, che a sua volta aumenta la probabilità di saltare un turno. Si possono poi usare i segnalini fato per ritirare il dado, con la forza del mostro che diminuisce di uno ad ogni rilancio, ma questo comporta aver accumulato preventivamente tali segnalini (ovvero aver “sprecato” mosse) e spenderli qui invece che ad esempio sulla modifica dei dadi - e lo zero è sempre in agguato. L'uno modo per eliminare il mostro in modo sicuro è col potere speciale di Marte; ma questo dipende dai dadi lanciati dagli avversari e sarà dura, in partita, ricaricarlo ben tre volte, dato che vanno sconfitti tre mostri - senza contare che, anche in questo caso, rimandare la lotta col mostro può comportare la scelta di azioni subottimali e quindi una perdita di tempo.
Eppure, le isole coperte sono forse ancora più in balia del caso, perché nessuno sa quali siano quelle giuste: per sbirciarle occorre spendere un dado e chi ha la fortuna di azzeccarle si trova un buon vantaggio del tutto casuale.
Ciliegina sulla torta – si fa per dire – il dado da sei tirato dal titano che ti può far prendere due ferite nonostante gli scudi; ma, anche pescandone una sola, essendo casuale, puoi avere la sfortuna di saltare un turno anche con poche ferite.
A livello strategico la scelta migliore sarebbe fare prima le missioni che ti danno vantaggi permanenti, come i mostri e le statue. Ma abbiamo detto i mostri sono da lasciare in momenti propizi (potere di Marte carico o verso la fine della partita) per i motivi di cui sopra. Potete sostituirli con le isole, che danno un bonus estemporaneo, ma preso solo dal primo che le esplora. Tutto questo però solo in teoria, perché la pratica ti mette davanti tre dadi casuali solo scarsamente modificabili: ed è con quelli che dovrai fare i conti ed ottimizzare il turno. Il gioco rimane quindi essenzialmente tattico.
Eleganza e fluidità
Una volta assimilati i vari bonus, la partita scorre abbastanza bene, forte del fatto che le azioni sono basiche e immediate e che i dadi vengono lanciati a fine turno, consentendo di pensare a cosa fare mentre giocano gli altri. Tuttavia qualche inevitabile momento di paralisi da analisi viene fuori e, specie in quattro, genera un discreto downtime. Soluzioni particolarmente eleganti non ce ne sono, anzi: direi che la risoluzione dei combattimenti è piuttosto inelegante.
Pregi e difetti di L'Oracolo di Delphi
Molto tesa la sensazione di gara, esacerbata dal fatto di dover pensare bene ogni mossa e dalla sensazione di star sempre sbagliando qualcosa, di essersi lasciati scappare di sotto gli occhi una soluzione migliore di quella poi scelta.
Come gioco di corsa, L'Oracolo di Delphi convoglia bene tale sensazione, l'urgenza e la competizione con gli altri.
C'è anche un tenue senso di crescita dato da qualche carta con effetto permanente, ma questo aspetto non è poi molto accentuato e forse poteva essere sviluppato di più. Bella invece l'idea di personalizzare le navi, ciascuna con un effetto diverso - anche se, pure in questo caso, una mi è parsa decisamente più forte delle altre: per perdere con quella dovete avere parecchia sfortuna - o giocate molto peggio dei vostri avversari.
Qualche nota stonata per il meccanismo base, che dovrebbe essere una gestione dadi ma assomiglia molto di più a un tiro dadi. Apparentemente ogni dado ha un sacco di applicazioni e spendendo segnalini fato se ne può cambiare il colore, per infinite possibilità; in realtà, se vi mettete a spendere i segnalini senza criterio vi troverete poi a corto quando servono davvero e, secondariamente, si tratta di risolvere il tiro di dadi nel miglior modo possibile, ogni volta come in un mini-puzzle. Siamo di fronte a un problem-solving a brevissimo termine, che può sfociare in paralisi da analisi e downtime e in cui i piccoli elementi aleatori sono solo di disturbo, invece che di arricchimento.
In questo L'Oracolo di Delphi ho trovato davvero poco della stimolante gestione dadi che hanno altri giochi, anche dello stesso Feld.
L'interazione in questo gioco in scatola è bassissima e, per lo più, assolutamente casuale. Potrà piacere agli amanti dei multisolitari, ma di solito questi giocatori amano anche i giochi in cui è possibile costruirsi un proprio motore di gioca e pianificare una strategia a lungo termine: in questi titoli, la mancanza di interazione è compensata dalla soddisfazione di creare qualcosa, di programmare, di vedere qualcosa crescere da zero in modo esponenziale. Qui, invece, il gioco restituisce essenzialmente tattica, in una serie di mosse più o meno “obbligate” e sempre a breve temine.
Veniamo infine all'insalata di punti. Qui non c'è insalata di punti, direte voi: vero; c'è insalata di obiettivi, ma l'effetto è lo stesso. Da definizione, l'insalata di punti caratterizza un "gioco in cui tutte o la maggior parte delle azioni eseguite fornisce punti vittoria". Tale caratteristica assume una connotazione negativa quando:
- questa azioni non sono correlate le une alle altre - ovvero, eliminandone una, la sostanza del gioco non cambia;
- quando non è identificabile una via ottimale per ottenere punti in un dato momento ed è possibile giocare tatticamente, non seguendo nessuna strategia, avendo comunque la possibilità di vincere.
L'Oracolo di Delphi soddisfa entrambe queste connotazioni. Anche se si tratta di missioni e non di punti, è come se ogni singola missione valesse un punto vittoria e chi per primo ne porta a termine dodici è il vincitore. La sensazione di mera valenza tattica e di equivalenza e sostituibilità delle varie parti è la medesima.
Conclusione
All'inizio l'avevo definito il peggior Feld degli ultimi dieci anni. Avete presente quando si dice "fare un buco nell'acqua"? Non uno, tre. Ecco.
Lasciando da parte i giudizi tranchant, L'Oracolo di Delphi si lascia giocare, con una certa leggerezza e anche tensione, per la sua natura di corsa. Non brilla però, forse perché dall'autore ci si aspettava molto di più, forse per tante piccole delusioni che messe assieme ne fanno una grossa; o forse perché ormai siamo esigenti: escono tantissimi giochi, ci sono capolavori del passato ancora da esplorare a fondo e, in definitiva, i giochi mediocri non ci bastano più.