Per la serie
Pipponi Non Richiesti, lascio su queste pagine le mie opinabili e naufragate impressioni su
Robinson Crusoe – Viaggio verso l’Isola Maledetta, un
cooperativo di Ignacy Trzewiczek ambientato nel mondo del romanzo di D. Defoe, replicandone il
senso di avventura e condendolo con un gameplay infarcito di sfide e sfighe inenarrabili.
Il gioco è basato su
scenari che prevedono variazioni alle regole base e specifici obiettivi e condizioni di vittoria: da uno a quattro naufraghi, ciascuno rappresentati da due cilindretti e coadiuvati all’occorrenza dal mitico Venerdì e da un simpatico cagnolino cui piace molto attaccare briga con gli animali feroci dell’isola, dovranno cimentarsi in varie attività e prove ai limiti dell’umano per realizzare, entro i turni prestabiliti, quanto richiesto dallo scenario scelto.
Ogni cilindretto, “metà” del personaggio, dovrà essere posto su uno spazio azione, in una
programmazione che coinvolgerà tutti i giocatori chiamati a una stretta collaborazione per perseguire gli obiettivi che si sono posti nel
round in corso.
Ecco una
lista non esaustiva ma indicativa
di quanto i giocatori dovranno cercare di fare durante il gioco:
- procurarsi cibo e legna per sopravvivere alla fame e agli stenti
- costruire ripari per sopravvivere alle intemperie, a varie specie animali autoctone non molto amichevoli
- costruire oggettistica varia idonea a rendere più agevole la sopravvivenza
- esplorare l’isola per trovare nuove risorse e opportunità e oggetti utili per la sopravvivenza
- andare a caccia per potersi procurare pelli e cibo e per sopravvivere
- risolvere sfighe estemporanee e di varia natura per non soccombere
- mantenere alto il morale per evitare la depressione, non buona per la sopravvivenza
- curare le ferite, subite nei modi più creativi, per evitare di morire anzitempo
- Sopravvivere
Come si vede, l’obiettivo primario e spesso più complesso del gioco è
cercare di non morire, cosa che accade spesso e volentieri, anche in modo truculento, tra indicibili sofferenze e a causa del
fato avverso. In certe partite, l’obiettivo dello scenario diventa un miraggio che solo vagamente guiderà le azioni dei giocatori, più presi a cercare di non crepare male nella situazione contingente che a uscire vittoriosi dall’intera avventura.
Tutte le azioni dei naufraghi sono di fatto un “test” soggetto al lancio di dadi il cui risultato può essere parzialmente mitigato, ma mai più di tanto. C’è anche la possibilità di ottenere un risultato positivo certo, evitando del tutto i dadi, ma ciò implica un rallentamento sulla via verso la vittoria, una perdita di tempo, poiché per essere sicuri di riuscire nell’impresa di turno si dovranno usare almeno due cilindretti, di fatto rinunciando a una delle due possibili azioni a disposizione di ciascun personaggio.
E di tempo, su quest’Isola Maledetta dalle Sfighe, ce n’è davvero poco.
Robinson Crusoe infatti
è un corsa.
Ci si deve sbrigare, accettando di volta in volta un
certo grado di rischio, perché le cose da fare per poter campare più o meno sani, e anche provare a vincere, saranno tantissime e tutte minate dagli eventi e dalla sfortuna sempre dietro l’angolo. Ci saranno sempre un temporale, una belva, un incidente inaspettato o una catastrofe più o meno annunciata che metteranno a dura prova la sanità fisica e mentale dei nostri eroi.
Un round di gioco ha una sequenza precisa che inizia sempre con il pescare una carta evento, in media piuttosto fastidioso, che ha effetti immediati che impattano sul
round in corso ma anche effetti posticipati, con possibili conseguenze a meno di tenere occupate le nostre pedine/cilindretti per guadagnare un piccolo aiuto e per evitare di soffrire penalità più o meno gravi.
Dopo l’evento si passa a verificare il
morale dei naufraghi che porta vantaggi quando è alto e viceversa.
Si passa poi alle azioni, da programmare in anticipo e da svolgere poi in qualsiasi ordine, a discrezione dei giocatori (esplorare, cacciare, costruire, riposare, cercare tesori, affrontare belve e trappole, …).
Qualora si sia sopravvissuti alle fasi precedenti, si passerà a verificare le conseguenze di un eventuale
evento atmosferico la cui frequenza e potenza sono stabilite dallo scenario stesso e da rapportarsi alla solidità del tetto del nostro rifugio, che avremo dovuto costruire e rinforzare in precedenza per non rimanere in balia di pioggia, neve, fulmini e saette.
Qualora si sia sopravvissuti pure ai tifoni e ai tornado, i naufraghi dovranno
ripararsi per la notte e rifocillarsi (una banana o un pezzo di pane a testa basteranno), ma dovranno farlo in fretta perché il
cibo tendenzialmente deperisce facilmente e alla fine del
round quasi tutti gli avanzi evaporeranno senza appello, che di frigoriferi sull’isola maledetta non ve n’è di certo.
La pena per non riuscire a ripararsi o mangiare a sufficienza sono ferite che, se lasciate lì ad accumularsi senza intervenire, porteranno i nostri eroi a morte certa.
Qualora si sia sopravvissuti pure alla nottata, la partita potrà procedere con un nuovo giorno e nuovo evento, e così via.
Chi vi scrive ha la tendenza a giocare
eurogame più o meno tosti: prediligo i giochi che conducono all’esplosione dei neuroni e con una interazione buona per i peggiori bar di Caracas.
Non ho quindi una grande esperienza di “
american”, ammesso che queste definizioni abbiano un senso. Prendete dunque le mie parole con beneficio di inventario.
Data la giusta premessa,
posso ora confessare di amare incondizionatamente Robinson Crusoe, considerandolo un perfetto esempio di cosa per me significa un
gioco immersivo.
Robinson Crusoe è
ambientazione allo stato puro, a dispetto dell’assenza di miniature (eh già, nonostante l’amore ho evitato il
pledge dell’ultima edizione superpompata) che sembrano essere necessarie per i tanti giocatori che apprezzano il genere.
Il livello di
tensione è
sempre notevole, complici
meccaniche al servizio dell’esperienza immersiva, con poco ed efficace
flavor text sulle carte e nella descrizione degli scenari, con il risultato che la partita stessa genera quasi naturalmente una storia, un narrazione settecentesca che prende vita dalle mosse e dalle scelte dei naufraghi giocatori, senza reale controllo e forse proprio per questo con maggiore divertimento. La
sfiga, il caos, l’inaspettato e l’ineluttabile sono ingredienti fondamentali, e funzionano benissimo a dispetto di un regolamento indecente, male organizzato, che non favorisce la comprensione delle dinamiche e di alcune situazioni di gioco.
Uno degli aspetti più belli del gioco, a questo proposito, è legato alla sua “community”: appassionati che hanno contribuito a chiarire tante lacune (con errata, video tutorial eccetera) e alla creazione di nuovi scenari di gioco, mantenendo sempre fresco e vivo un mondo potenziolamenfe infinito.
Come già detto, in
Robinson Crusoe si muore male, e si può scegliere di farlo in vari modi: in compagnia o in solitario, con uno o più personaggi, con l’aiuto di Venerdì e del cane o senza.
Sarà sempre incredibilmente divertente,
e sarà incredibilmente
soddisfacente riuscire ad arrivare in fondo all’avventura, con l’ultima azione decisiva fatta con l’ultimo dischetto nell’ultimo
round a un passo dalla baratro.
Personalmente percepisco un
certo senso di libertà in
Robinson Crusoe: libertà di decidere cosa fare e che strada prendere, cercando sì di capire su cosa concentrarsi per poter vincere, ma sapendo – almeno per quanto mi riguarda – che
la vittoria è solo un aspetto di tutta la faccenda. È uno di quei giochi in cui non mi importa vincere o perdere, in cui la sfiga nera che si abbatte sui giocatori frutta un sorriso più che frustrazione, in cui la cosa divertente è fare, e non necessariamente riuscire - per il puro gusto del “vediamo che succede ora”.
Un gioco simile, e di pari livello qualitativo, è per me
Nemesis – altro gioco in cui si è destinati a morire malissimo, e con molto più spargimento di sangue. Tuttavia
Robinson Crusoe ha il pregio di funzionare meglio in solitario (non ci sono obiettivi nascosti e il potenziale “traditore”) e da questo punto di vista ruba la scena all’altro vero grande
american della mia collezione.
Forse da questo punto di vista
Robinson Crusoe riesce (o diciamo che lo fa diversamente, in modo TOTALE)
in ciò che gli altri giochi non fanno: mi fa sentire come se stessi contemporaneamente leggendo e scrivendo un libro, un momento del tutto intimo e privato, nella beata solitudine della concentrazione, dell’immersione tra le righe e tra le parole che da qualche parte nel cervello si trasformano in immagini e sensazioni, intangibili ma reali e presenti nello spazio fantastico che può nascere anche da un gioco da tavolo, e finire chissà dove.
Dall’Isola Maledetta anche per oggi è tutto.
Buon naufragio e buon gioco.