La fortuna esiste? Sì, ma non è quello che pensate

Signor_Darcy

Spauracchio dei giocatori german, compagna di quelli american. Ma che cos’è la fortuna e qual è il suo ruolo nei giochi da tavolo?

Editoriale
Giocatori

“Non fidarti della momentanea bonaccia: fa presto il mare ad agitarsi; nello stesso giorno le barche affondano là dove si erano spinte per svago”
Lucio Anneo Seneca

Quando è uscito l’articolo di Agzaroth sui 10 giochi american migliori di sempre e non includeva La Guerra dell’Anello (GdA da qui in poi) avevo due scelte: andare dall’avvocato per capire la possibilità di intentargli causa oppure fare un pippone una profonda riflessione sulla fortuna. Più dell’articolo, mi ha mobilitato la risposta del Signor Darcy a un utente che si stupiva dell’assenza di GdA: “I dadi azione sono forse il vero scoglio del gioco, se non altro in termini di attualità: sono forse l’elemento invecchiato meno bene di tutto l’impianto, giacché limitano spesso e volentieri le scelte dei giocatori, a volte costretti ad azioni relativamente subottimali”.
Inoltre, proprio la sera prima, avevo fatto con amici una bellissima partita a Nemesis (presente nella top 10) – che avevo vinto, per bravura, ovviamente, e non per fortuna... Altro fattore scatenante è il fatto che il tema fortuna mi ha sempre incuriosito, anzi affascinato, e dedicandomi moltissimo negli ultimi mesi – grazie sia alla nuova ristampa che alla comunità di gioco online – a GdA, è diventato quasi un’ossessione: si lanciano dadi che ti costringono a un orizzonte di azioni possibili turno per turno, si lanciano dadi per combattere, si pescano carte evento/combattimento in ordine del tutto casuale. Solo il setup è fisso e immutabile, come la vita degli elfi. Quindi ambientazione esaltante – e fra le più ambite – e profluvio di emozioni nel lancio dei dadi. L’ambientazione, che in GdA è fortissima, tratta di due imprese disperate: un mezzuomo che deve portare un anello malvagio e corruttore per chilometri fino al cuore del nemico, mentre un manipolo di coraggiosi deve difendersi da orde infinite di creature malvagie; ma anche per Sauron non è affatto facile trovare un anello in tutta la Terra di mezzo, mentre deve organizzare un attacco militare su vasta scala che, pur disponendo di soverchie unità, è reso difficile dal fatto che nani, elfi e uomini siano tutti ottimi guerrieri che difendono per giunta la propria libertà. Le forze e le variabili in gioco sono molte e quindi anche il caso la fa da padrone – ed il gioco simula molto bene tutto ciò. È bene a questo punto intenderci su cosa siano il caso, l’alea, la fortuna che spesso sembrano una categoria residuale, un ospite indesiderato per molti, una dinamica che piace ai ludopati American.

“I tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, la noia”
Jorge Luis Borges

Per la goblinpedia l’alea, la fortuna, il caso sono “tutti quegli elementi di gioco indipendenti dall'intervento dei giocatori, introdotti da meccaniche di gioco esterne al controllo dei giocatori”. È curioso che nella nostra cultura moderna e occidentale con il termine fortuna (che ha radice latina che significa semplicemente ciò che avviene) si intenda soprattutto la buona sorte mentre per alea (che banalmente significa dado) si intenda il rischio, con una connotazione quindi prettamente probabilistica. In realtà per i nostri antenati la Fortuna era identificata con una potenza superiore che determinava gli avvenimenti, positivi o negativi che fossero. È dal medioevo, epoca molto cristiana nel mondo conosciuto, che la dea bendata viene pian piano soppiantata dalla Provvidenza, cioè un attributo del Dio cristiano che, non potendo essere malevolo, ha un preordinato fine di bene, anche quando un avvenimento è apparentemente negativo. Ne rimane traccia nella lingua, infatti noi auguriamo buona fortuna, perché essa può essere anche cattiva. Se quindi osserviamo la questione da questo punto di vista semantico, possiamo vedere come la vita umana, sia del singolo che della specie, sia il tentativo di gestire la fortuna, di parare gli eventi negativi, sfruttare quelli positivi oppure costruire le condizioni perché si verifichi quello che noi desideriamo, al riparo il più possibile da eventi negativi. Il gioco sposta sul piano ludico-simulativo tutta questa dinamica che nell’uomo assurge a programma di specie, alla massima potenza attraverso la cultura (e quindi la tecnica).
nemesis partita in corso 6
Nemesis - partita in corso
Chi gioca a Nemesis sta simulando la vita, al riparo però, dai mostri veri, dalle ferite, dalla morte. Io credo che questa simulazione (nei suoi aspetti cognitivi, relazionali ed emotivi) sia proprio ciò che noi cerchiamo nel gioco. Qui, estremizzando, ci sono i due modi in cui i giochi e i giocatori spesso si differenziano: da un lato le simulazioni tal quale il nostro universo, in cui il giocatore American ama gestire la fortuna attraverso scelte più o meno subottimali; dall’altro le simulazioni di un universo utopico o parallelo in cui abbiamo informazioni complete e il giocatore German può gestire tutti i parametri presenti in scelte il più ottimali possibile. Nella vita extraludica siamo costantemente chiamati a prendere decisioni più o meno importanti avendo a disposizione un set di informazioni parziali. Anzi, spesso proprio di fronte alle scelte importanti abbiamo meno informazioni – cioè le conseguenze delle nostre decisioni possono molto facilmente variare nel futuro in maniera considerevole al di fuori del nostro controllo: la scelta di studiare una certa materia, scegliere una carriera, fare un investimento, sposarsi, avere un figlio, trasferirsi o restare. Senza parlare degli imprevisti (facendo esempi di fantasia): un nuovo virus che comincia a circolare nel mondo; una guerra inaspettata che compromette decenni di equilibri. Sul versante German i giocatori amano simulare non solo impossibili universi di ordine e armonia, ma anche quegli spazi circoscritti che nella sua storia evolutiva l’uomo ha cercato di preservare dal caso: il motore termico di un’automobile, una centrale nucleare, la struttura portante di un edificio.
Fra questi voglio citare i due capolavori Wir Sind Das Volk e Maria (eh sì, seppure a volte pretestuosa, la forte ambientazione per me è importante). Da un po’ di tempo gli autori si sono spinti sulla creazione dei cosiddetti ibridi, un po’ German ed un po’ American, fra i quali cito Robinson Crusoe. Ora, io non ho le competenze per entrare nel merito, ma forse, a livello metaforico, non sbaglio se paragono gli ibridi a quelle importanti attività umane che cerchiamo il più possibile di controllare che poi inevitabilmente sono anche esposte alla fortuna: una produzione agricola che grazie alla tecnologia oggi è abbastanza standardizzata e potente per isolare il più possibile dagli accadimenti il processo, ma che eventi ambientali possono ancora far variare. Quello che probabilmente sfugge è che l’alea è sempre presente, in qualunque situazione di vita, giochi german compresi. E, per altro verso, nei giochi American l’alea conta meno di quanto sembri.

“Giudico che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che ce ne lasci governare l’altra metà”
Machiavelli

Dimostrazione ne è il fatto che a livello competitivo i giocatori più bravi – d’altronde come nei settori non ludici, in quelli sportivi, lavorativi, eccetera – tendono a restare tra i primi dieci, a vincere persino nel tanto vituperato Risiko per il quale conosco statistiche basate su mezzo milione di partite online con regole da torneo. Noi tutti sappiamo che la statistica funziona bene sui grandi numeri eppure i lanci dei dadi risultano abbastanza distribuiti anche nelle singole partite.
Non mi suona strano questo dato visto che giocando online e competitivamente GdA anche lì è frequente osservare, su una singola partita in cui si lanciano direi un minimo di trecento dadi (fra dadi azione e dadi combattimento), come le statistiche si discostino di poco o siano spesso nella media. E anche quando non lo sono non influenzano (salvo casi estremi) l’esito della partita, a meno che non ci sia un certo divario fra i due giocatori. “Ah!” mi dirà il Sig. German che ha appena finito una partita a Terra Mistyca “io non voglio che la fortuna, anzi buona o cattiva fortuna come dici tu, influenzi o addirittura determini la buona riuscita delle mie magnifiche strategie. Ok, sarà un universo utopico o molto circoscritto, ma io godo così, hai problemi a riguardo?”. Assolutamente no mio caro amico, non mi fa problema che tu goda così, ma che tu ti prenda in giro sì però!
Mi spiego, entrando nell’aspetto più tecnico dell’alea, suddividendola in tre tipologie:
  1. alea di output: ti attacco, il lancio dei dadi combattimento decide come va a finire;
  2. alea di input: lancio dei dadi azione (come in GdA) e io potrò effettuare le azioni che quei dadi permettono, in altre parole posso solo decidere cosa fare con quello che ho;
  3. alea intrinseca: essendoci interazione umana, non solo le azioni dell’altro non possono mai essere completamente prevedibili, ma, soprattutto, io o l’altro possiamo distrarci per una frazione di secondo oppure sbagliare mossa perché un meeple era in ombra – e questo può danneggiare chi sbaglia, ma, per assurdo, anche se improbabile, anche avvantaggiarlo.

Il terzo tipo di alea non è eliminabile, è intrinseca al funzionamento di questo universo soprattutto quando entrano in gioco dinamiche psicologiche. In un ipotetico gioco che non preveda alcun tipo d'interazione, ci sarebbe sempre la variabilità casuale dovuta ai fattori inconsci soggettivi. E quindi mio caro Sig. German, anche negli Scacchi c’è alea – della peggior specie perché è quella meno controllabile in quanto occulta.

Possiamo a buon diritto affermare che i giochi con alea di tipo 1 e 2 sono, in fondo, comunque dei gestionali, solo che tra i fattori da gestire c'è anche la probabilità, la buona e la cattiva sorte.

“La sorte, buona o cattiva, ci accompagna sempre, ma ha un modo di favorire l'intelligente e di voltare le spalle allo stupido”
John Dewey

Secondo le indagini psicosociali le persone con maggiore scolarità tendono a credere di poter determinare maggiormente il proprio destino – la mia impressione è che nei sondaggi le persone più scolarizzate mentano sapendo di mentire. Vi sono una serie di variabili psicologiche che determinano quanto un soggetto sente di poter controllare gli eventi. Classicamente si parla di centro di controllo (locus of control) esterno o interno. Gli internalizzanti tendono ad attribuire a sé sia i fallimenti che i successi, gli esternalizzanti alla sorte buona o cattiva entrambi. Ci sono poi i paraventi self serving bias che portano ad attribuire a sé i successi, alla sfortuna i fallimenti. In realtà la situazione è molto più complicata di così, in quanto noi tutti conserviamo dall’infanzia una qualche forma di pensiero magico che ci porta a credere (giusto o sbagliato che sia) di poter influenzare gli eventi da un lato e, dall’altro, (quasi sempre sbagliato) che ci siano potenze misteriose che li controllano. La letteratura e la folk psychology (su cui la prima fa spesso leva per vendere) sono piene di riferimenti al destino, a forze spesso benigne che guidano i nostri eventi e determinano l’esito delle nostre azioni. Come ogni fenomeno psicologico, questo corpus di credenze è polarizzato: c’è una versione pessimistica che corre parallela alla speranza che invece il disegno sia buono.
Sul versante pessimistico, molto famosa è la cosiddetta legge di Murphy che sancisce che se qualcosa può andar male lo farà, e nella vulgata ha perso il senso ironico originario. In realtà l’assioma sancisce una verità statistica e cioè che per quanto sia improbabile che si verifichi un certo evento, se il numero di occasioni è elevato, (tendendo all'infinito) questo finirà molto probabilmente per verificarsi. Cioè accadrà tutto quello che può accadere prima o poi. In una partita singola gli eventi sono troppo pochi perché ci sia una distribuzione statistica perfetta; però, tendenzialmente, stando alle statistiche molto attendibili che citavo prima, tende comunque a verificarsi con squilibri anche nella stessa partita: magari nella prima metà partita tiriamo molti "6" che poi latitano nella seconda metà. Ecco allora che la bravura nella gestione della sorte consta da un lato nel parare il più possibile gli eventi avversi e sfruttare al meglio quelli favorevoli quando accadono.

Ho l’impressione che citare questi dati serva solo a giustificare gli American agli occhi dei severi giocatori teutonici – come il povero arricchito che deve giustificare la legittimità della sua presenza a una festa di nobiluomini. In ultima analisi il giocatore American vuole gestire la fortuna. E, come nella vita, a volte, gli eventi sono talmente estremi che ci travolgono, ma, sempre, possiamo farne qualcosa. Che sia anche solo perdere con onore.

“Ti ho prevenuta, o sorte, e da ogni tua insidia mi sono premunito. Non a te né ad alcun'altra circostanza ci arrenderemo: ma quando sia necessario andarcene, sputando ampiamente sulla vita e su quelli che vanamente ci si attaccano, ce ne andremo con un bell’elogio, proclamando quanto bene abbiamo vissuto”
Epicuro

La nobiltà del giocatore American è nella sfida che oppone alla sorte, nel riuscire a cavarsela in mezzo alla tempesta mentre urla contro le divinità che non lo avranno senza combattere, battendo pugni e lingua contro il cielo mentre governa la sua barca in mezzo al fortunale. Mentre governa! Il tutto comodamente seduti al tavolo del salotto, con una buona birra accanto al tabellone (eh sì, io corro anche questo rischio), in ciabatte. Questo è il potere dell’immaginario umano che ci permette di immedesimarci con grandi eroi e creature malvagie, di viaggiare in tempi mai esistiti e luoghi di meraviglia. Potere magico davvero formidabile.

È chiaro che in mezzo alla tempesta, alla guerra, di fronte a una creatura minacciosa che ci si para innanzi parlare di scelte subottimali è già un eufemismo. Le scelte subottimali sono quelle che affrontiamo quotidianamente nella nostra vita, ma più le situazioni sono estreme minori saranno le informazioni che abbiamo, le azioni che possiamo scegliere, la capacità e la probabilità di portarle a termine nel modo in cui desideriamo.
Mi viene in mente qui il disastro della Costa Concordia. Innanzitutto l’incidente, che rientra appieno nell’assioma di Murphy: erano infatti decenni che si faceva il cosiddetto inchino – e tutti lo sapevano – ed era solo questione di tempo prima che qualche nave andasse a scontrarsi contro qualcosa. Se è un bene che l’inutile e smargiasso rituale dell’inchino sia stato, spero, bandito per sempre, bisogna anche dire che gli incidenti càpitano. Perché precisarlo? Perché il grande potere tecnico che abbiamo acquisito ha portato gli occidentali a una forma di delirio di controllo. Questo è un passaggio importante: da un lato acquisiamo tanto potere di controllo, dall’altro ci rendiamo conto che non possiamo avere tutto il controllo che vorremmo, che l’ordine degli eventi (sia per grandezza che per complessità) ci surclassa e noi lo sappiamo oggi ancora più di ieri proprio grazie a quella stessa conoscenza che ci ha fatto progredire. In un mondo dove, se è vero che sopravvive – e sempre lo farà – un pensiero magico, la fede in divinità benigne che guidano il destino in realtà è in forte declino. La tendenza politica diventa così negli ultimi anni quella di ipernormazione, patetico (e deleterio) tentativo di controllare la sgusciante realtà. I legislatori occidentali sono anni che costruiscono un enorme gioco da tavolo German con migliaia di regole e regolette, con cui, però, nessuno si diverte. L’altro aspetto della tragedia del mare di cui stiamo parlando è tutta la straordinaria opera di recupero della nave; ho visto qualche settimana fa un documentario in cui l’ingegnere responsabile di tutta la maestosa operazione diceva, con enorme orgoglio - ma ancora con un fremito di terrore nella voce - quanto fosse probabile che, soprattutto negli ultimi passaggi, qualcosa andasse storto. Era un tiro di dadi, non alla cieca però eh! Si colpiva al 6 con un d6 (dado a 6 facce, ndr), però avevano fatto in modo di avere più unità possibile, quattro comandanti (che permettono di ritirarlo una volta), avevano almeno tre ottime carte combattimento e nell’esercito erano presenti quattro unità élite (che, per chi non conoscesse GdA, permettono di proseguire l’assedio a una fortezza e valgono due punti danno). Un attacco devastante ma comunque fallibile.

“Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali”
W. Shakespeare

Al di là dell’evocatività epica e del divertimento, sono convinto del grande potere psicopedagogico che la dimensione simulativa dei gioco da tavolo permette. Generalizzando: di controllo di situazioni, apparati, ambienti a bassa alea i German, di gestione di situazioni ecologiche gli American. Se utilizzati nel modo appropriato, i giochi possono mettere alla prova, esplicitare – e rendere quindi passibili di elaborazione – i meccanismi psicologici che ciascuno di noi gelosamente custodisce e che ripete in un eterno ciclo che si autoconsolida.
Per esempio, quello che crede di essere sfortunato ha due possibilità – sempre generalizzando: prepararsi molto per affrontare l’inevitabile cattiva sorte che lo colpirà, oppure non prepararsi perché tanto la iella sarà più forte. Di solito lo sfortunato si comporta più in quest’ultima modalità. Ma anche qualora fosse uno sfortunato operoso commetterà qualche errore, inconsapevolmente, in modo da continuare a confermare la propria visione del mondo. Chi si crede fortunato, in modo speculare, non si preparerà perché tanto è sicuro che gli andrà bene, oppure, credendo che ha la possibilità di perseguire i suoi obiettivi, si preparerà. Di solito si verifica quest’ultima opzione e questo confermerà la sua credenza. Di conseguenza lo sfortunato produrrà la sua sfortuna attraverso errori o poca preparazione o perché si prepara con la delusione preventiva nel cuore o perché sapendo che fallirà non persevererà. Il fortunato, di solito abbastanza preparato, avrà un alone di simpatia e sicurezza che a parità di preparazione gli varrà un voto più alto del suo sfortunato collega; soprattutto, convinto di potercela fare, riuscirà a vedere quegli appigli minimi o grandi presenti in quel momento e non si farà sopraffare dagli eventi sfortunati dai quali uscirà con il minimo danno o, addirittura, riuscirà a trarre un qualche vantaggio.

Ultima obiezione che mi autoinfliggo e poi prometto di cessare questo pippone queste elucubrazioni: esistono delle partite completamente sfortunate! Come esistono, ne conosciamo purtroppo, persone sfortunate che, per esempio, nascono già con delle difficoltà fisiche o ambientali. Verissimo, purtroppo. Nel mio mestiere (sono uno psicoanalista) ho incontrato tantissime persone che sono state molto sfortunate, che la vita, le persone più care, la fortuna, hanno sferzato con offese ingiuste, soprattutto se inflitte quando erano bambini. Eppure, in scienza e coscienza, non posso affermare che chi subisce certi affronti dalla vita sarà infelice o si ammalerà. Perché ci sono tante altre persone che hanno affrontato gli stessi problemi e sono felici. Solo che io non le incontro nel mio mestiere. Questo si chiama pregiudizio di sopravvivenza. La mia mente va subito a due delle persone più sfortunate che si possano immaginare: Nick Vujicic che è nato senza gambe né braccia a causa della tetramelia, una grave malattia congenita. Io non so se sarei sopravvissuto, lui è uno scrittore famoso, predicatore, divenuto benestante e, perché no, diciamolo, ha una bella moglie e quattro figli. Oppure Sammy Basso, affetto da progeria (malattia rara che causa l'invecchiamento precoce) che ha fatto della sua vita un efficace stendardo per la ricerca sulla sua malattia. In un passaggio di un suo libro Vujic scrive: “a volte pensando alla mia vita mi dicevo: non posso fare questo… nemmeno quest’altro… Questo mi dava profonda tristezza. Poi ho cominciato a dirmi: ok, ma cos’è che posso fare?”. Non è troppo se affermo che questa è la descrizione migliore – anche se drammatica – che si possa dare di scelta subottimale.

Attenti però! Ho dovuto generalizzare perché ci sono più sfumature nell’animo umano che in un bosco d’autunno. Nel gioco da tavolo, come nella vita, si può anche mentire. Parlo dei piagnoni tattici: quei giocatori che, come lupi travestiti da agnelli, cominciano a lamentarsi della sorte non ottima che hanno avuto al primo lancio di dadi oppure alla prima pescata di carte. È una tattica (consapevole o meno) molto efficace che ha come risultato sempre di deconcentrare l’avversario e, essi funzionano così, di motivarsi e cercare con maggiore convinzione di farcela con quello che hanno. Quindi in realtà questo loro, fastidiosissimo, atteggiamento li mette proprio nella giusta disposizione di cavare il meglio da quello che si ha. Con mio grande dispiacere, i piagnoni tattici sono la testimonianza vivente che anche i grandi, come Shakespeare, possono sbagliare: piangere sui propri mali può portare a vincere! Al tavolo da gioco incontreremo tutti i tipi, e anche da questo punto di vista relazionale, in un contesto abbastanza protetto, sarà possibile allenarsi a rapportarsi e fronteggiare i diversi tipi umani – oltre che imparare a trattare la vittoria e la sconfitta per quello che sono: due bugiarde!

“Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso”
Gandalf

Non ho sbagliato la citazione, ho scritto Gandalf perché pochi non lo conoscono, è un personaggio vivo di cui sappiamo molto e che ci accompagna da decenni e chi gioca GdA lo fa rivivere a ogni partita, a ogni lancio di dado, a ogni decisione strategica o mossa tattica. Ed è proprio l’ambientazione aderente e sentita di GdA insieme all’essere immersi in una simulazione molto fedele della storia vera de Il Signore degli Anelli (quindi alla gestione degli eventi di quella storia) che ne fa la quintessenza del genere American. E proprio la meccanica (vecchiotta) dei dadi azione che costringe a scelte subottimali è lo strumento di una più fedele simulazione da un lato e di una epica sfida puramente gestionale dall’altra.

Mi è venuto in mente qualche giorno fa il film Assolto per aver commesso il fatto di Alberto Sordi, una rocambolesca ma precisa scalata economica che porta Sordi ad acquistare la più importante emittente televisiva. Si scopre che ha fatto tutto questo perché la sua nipotina non aveva passato il casting per una trasmissione per quello che era considerato un difetto fisico, un dentino mancante. Io ho fatto tutto questo pippone lavoro di elaborazione concettuale perché La Guerra dell’Anello non è stato incluso tra i 10 giochi American migliori di sempre – ed è chiaro anche a voi, se siete arrivati fin qua nella lettura, che è stato un errore molto grave di valutazione, da denuncia. Perché GdA rappresenta la quintessenza di ciò che chiamiamo American: la sfida della gestione dell’alea in un’ambientazione straordinaria come l’epopea della Terra di Mezzo. È il gioco del mio cuore, a partire soprattutto dall’ambientazione, perché permette a ogni partita di riscrivere e rivivere la storia de Il Signore degli Anelli. È vero, è un gioco che richiede dedizione – proprio come la vita (e, invece, mi sembra che attualmente la tendenza sia la ricerca della novità). Non sono io che scopro l’importanza del gioco nell’esperienza umana, se né è parlato a profusione. Semplicemente mi sono voluto soffermare su di un aspetto che può sembrare marginale ma che io invece reputo centrale, cioè imparare a gestire la fortuna, sia cognitivamente che emotivamente. I giochi permettono di esaltare questa dimensione e quindi possono essere, oltre che una grande goduria, un ottimo strumento psicopedagogico. Perché ci permettono, al riparo dalle vere intemperie, di vivere, sperare e perseverare con coraggio di fronte all'oscurità.

Commenti

Io mi inchino. Grazie per questo bellissimo articolo. Questo tipo di analisi del gioco da tavolo è nuova e sarebbe interessante trovare il modo di applicarla anche ai singoli giochi!!! Grazie grazie, meno male che Agzaroth non ha inserito GDA nella lista dei 10, te lo dico da germanista convinto che odia l'alea 1 e 2. 

Guerra dell'Anello doveva stare in quella classifica, ma i modificatori a lui favorevoli non sono bastati a superare il 20 naturale lanciato per Earth Reborn.

Nella vita extraludica siamo costantemente chiamati a prendere decisioni più o meno importanti avendo a disposizione un set di informazioni parziali. Anzi, spesso proprio di fronte alle scelte importanti abbiamo meno informazioni

Bellissimo passaggio su cui mi trovo pienamente d'accordo... È la norma fare scelte quando non sappiamo appieno quali saranno tutte le conseguenze e le difficoltà annesse, anzi quando succede il contrario di solito non c'è proprio nulla da scegliere davvero...

Complimenti per il bellissimo articolo!

Risposta seria: il "difetto" di Guerra dell'Anello è quello che - secondo me - è il suo maggior pregio, ovvero la ricerca della tematica sopra a tutto il resto.
Si tratta di un gioco infarcito di regole ed eccezioni di cui bisogna tener conto praticamente a ogni round e, visto il tempo necessario per una partita, le prime volte ne esci sfatto.
Per questo motivo ritengo più corretto averlo inserito nella lista dei migliori giochi da tavolo per ambientazione e non in quella dei giochi American.
In questo caso l'alea non c'entra niente, anche se la partita può terminare (o meno) solo a causa di un lancio di dado (s)fortunato. Ma ci sta: è un'impresa epica.

Grazie per aver condiviso il tuo pippone le tue riflessioni. Aggiungo che una delle modalitàspesso utilizzate per aumentare il (senso di) controllo dei giocatori in molti giochi è la minimizzazione dell'interazione con gli altri; questa interazione è infatti sorgente di complessità, l'altra componente - oltre l'alea - che limita l'efficacia di pianificazioni up-front e richiede la ricerca di tattiche e strategie emergenti nel corso della partita. 

Unico appunto che mi sento di fare è sulla cosiddetta "alea intrinseca" o di tipo 3, che non trovo corretto chiamare alea come le altre due, perché appunto non dipende da fattori casuali, ma da scelte altrui. In questo caso, come in altri, è corretto parlare di incertezza, ma non di fortuna.

L'accettazione dell'alea (3) da parte del germanista rispetto alle altre deriva da un lato dal riconoscimento che la modifica della realtà è generata dalle capacità di un'altra persona messa a pari condizioni iniziali, e dall'altro - più importante ancora - dalla possibilità di poter prevedere la possibile mossa avversaria con precisione sempre maggiore in funzione della sua capacità. La capacità previsionale viene meno quando l'alea è randomica e non generata da una scelta attiva.

Se da un lato questa seconda componente è quella che a me genera più soddisfazione a giochi come Terra Mystica, è anche vero che forza a dover giocare con persone di pari livello per trovare il maggior senso di piacere dato dalla affinata capacità previsionale.

Prevengo anche già la puerile obiezione per cui "nella vita c'è fortuna per cui bisogna accettarla anche nel gioco". Ma il punto è che il gioco non è la vita di tutti i giorni, è qualcosa di diverso che spesso si pratica proprio per svagarsi dalla vita di tutti i giorni, per cui è assolutamente comprensibile che i giocatori euro rifuggano ed apprezzino sistemi che non rispecchiano quello che devono vivere ogni giorno.

(detto da uno che, per fortuna sua, gioca con pari soddisfazione sia giochi euro che american)

Agzaroth scrive:

Prevengo anche già la puerile obiezione per cui "nella vita c'è fortuna per cui bisogna accettarla anche nel gioco". Ma il punto è che il gioco non è la vita di tutti i giorni, è qualcosa di diverso che spesso si pratica proprio per svagarsi dalla vita di tutti i giorni, per cui è assolutamente comprensibile che i giocatori euro rifuggano ed apprezzino sistemi che non rispecchiano quello che devono vivere ogni giorno.

(detto da uno che, per fortuna sua, gioca con pari soddisfazione sia giochi euro che american)

 

In realtà ci vuole "culo" anche per fuggire dalla vita di tutti i giorni...

Tra l'altro le fughe, per la mia esperienza, hanno poche probabilità di riuscire! 

Bell'articolo Gaeruil, se ti senti di scrivere altri pipponi  altre riflessioni, le leggerò volentieri. 

Che dire, se non bellissimo articolo (su di un bellisimo gioco) che per me è più che da incorniciare: da leggere, rileggere e meditare. Ovviamente, venendo dal mio background simulazionista e "wargamaro" non posso che apprezzare il tutto (mi ricorda il mio articolo che trovate su questo stesso sito riguardo al perché gli scacchi sono splendidi, ma non c'entrano un tubo con l'arte della guerra), esattamente per gli aspetti che hai evidenziato, ma soprattutto per un concetto fondamentale: lo strettissimo legame tra alea e ambientazione.
Parte tutto da lì e torna tutto lì, l'alea quando non è arbitraria è parte integrante del flusso narrativo del gioco, è la "grammatica statistica" ben ponderata e calibrata che permette al racconto della partita di essere svolto dai giocatori mediante le loro scelte, la gestione dei rischi e delle conseguenze.
E mi perdoni il buon Agzaroth, l'obiezione che l'alea esiste nella vita e quindi va messa anche nei giochi non è affatto "puerile", bensì connaturata ad un certo tipo di giochi: i giochi di simulazione. Siano essi wargame, giochi di ruolo, giochi di miniature o perfino le loro lontane propaggini che oggi chiamiamo American, i giochi che rappresentano la realtà hanno assoluta necessità del caso, e soprattutto di un caso non arbitrario (alla Risiko! o alla Monopoly per intenderci, i quali però comunque recuperano altri aspetti simulativi da altre meccaniche) bensì ponderato, da integrare pienamente nel flusso del pensiero strategico dei giocatori e costituenti la visione che l'autore ha degli eventi rappresentati nel gioco e delle loro dinamiche profonde (che lo scenario sia "storico" o "fantastico" poco importa in questo senso: il gioco fantasy è solo un gioco storico ambientato in una storia "altra" e diversa dalla nostra).
Un tempo un po' mi arrabbiavo quando mi trovavo di fronte all'obiezione che nei giochi di simulazione l'elemento aleatorio distruggesse qualsiasi validità strategica, ora la prendo molto più leggera e ricordo semplicemente come la strategia non sia assenza di alea, bensì gestione della stessa nella preparazione all'azione (pianificazione, accumulo dei modificatori positivi, contenimento di quelli negativi), nella sua esecuzione (predisposizione di piani di contingenza alternativi), nella gestione delle conseguenza (adattabilità e flessibilità tattico-strategica, sul breve, medio e lungo periodo).
Questo ovviamente per tutti quei giochi che non sfuggono dalla realtà in perfetti universi puramente astratti e/o combinatori, ma che vogliono rimanere nel mondo per conoscerlo meglio (sia che si tratti di Waterloo che dell'assedio di Minas Tirith o della Battaglia di Hoth). Giochi che, personalmente, ritengo i più interessanti, e che questo articolo descrive alla perfezione pur ovviamente nel rispetto dei gusti e delle preferenze di tutti.

volmay scrive:

Si tratta di un gioco infarcito di regole ed eccezioni di cui bisogna tener conto praticamente a ogni round 

Volmay, ciao! Siamo ovviamente nel campo delle percezioni personali ma mi sembra un giudizio eccessivo il tuo. Non è certo un gioco semplice, ci vuole dedizione. Ma le eccezioni a mio avviso non sono così frequenti e sopratutto non sono per nulla forzate e controintuitive. Anzi a mio avviso sono tutte perfettamente ambientate: cioè hanno una spiegazione coerente alla tematica. E' proprio questo che dopo un paio di partite le rende memorizzabili.
Poi ovviamente resta un gioco e dunque è giusto che si seguano i gusti personali. Ad esempio a me impegna mentalmente molto di più giocare un'ora e mezza ad Agricola che tre ore e mezza a La Guerra dell'Anello  

Articolo inecceppibile! Complimenti all'autore per la profondità di analisi.
L'Oscuro Signore approva. :-) 

Mi aggiungo anch'io ai complimenti che rendono giustizia ad un gioco, la GdA, che adoro. E la meccanica dei dadi azione non è vecchia perché limita le scelte, semplicemente caratterizza il gioco (per certi versi è come quella di aver inserito le carte in Brass)

"mentre deve organizzare un attacco militare su vasta scala che, pur disponendo di soverchie unità, è reso difficile dal fatto che nani, elfi e uomini siano tutti ottimi guerrieri che difendono per giunta la propria libertà"

Vero, ma non bisogna sottovalutare il fatto che Sauronin dispone di un potente esercito di TROLL che riescono,con la loro temibile magia oscura , a convincere molti, compresi Elfi e Nani (sì, ci sono deficienti pure tra i civilizzati elfi) che Sauronin ha ragione ed é meglio arrendersi, fargli annettere il Monte Fato con cui ha legami storici, rendere neutrali gli Hobbit e infine rimuovere l'ambiguo barbuto che li manipola sostituendolo con un fedele di Suronin. Anche perché non bisogna dimenticare che anche Sauronin ha un anello e non ha paura di usarlo. I Troll vanno temuti più di demoni, orchi e mercenari.

Onestamente l'articolo mi pare più apologetico che di vera e propria analisi.

L'alea di input e output andrebbero analizzate all'interno del sistema "dinamico" all'interno di cui si inseriscono e in base al tipo di scelte (probabilistiche) che influenzano.
Altrimenti si rischia di mettere sullo stesso piano la limitazione delle carte azione di Brass (che comunque lo sono solo su una delle varie azioni che compongono il gioco, ma comunque prona all'alea di pesca), e un gioco che in cui se tiri un dado e fai 6, hai vinto. Sennò ritenti.


PS E io non sono un euro-nazi e l'alea in alcuni casi mi garba.

Veramente un bel pippone; complimenti! Avrei comunque preferito lo trasformassi in 3 ottimi articoli, visto che l'attenzione su un pezzo di tale lunghezza, con la lettura a video, scema, ad un certo punto. Ed è un peccato non godersi appieno le tue argomentazioni perché il cervello tende a skippare in avanti. Pensaci. la prossima volta che vuoi allietarci :)

Io con il tempo sono passato dal ribrezzo per ogni elemento casuale all'apprezzare un po' di alea, soprattutto quando la sua presenza ha una ragione tematica. Con due condizioni però : 1) che riguardi alcuni aspetti del gioco ma non ne sia al centro. 2) che la sfortuna ostacoli e non affossi.  Il mio gruppo di occasionali che cerco di "gamificare" ama più di ogni altro gioco Dead of Winter. Io non lo amo, ma lo apprezzo molto soprattutto per come gestisce l'alea. L'ineluttabile (il morso) ha una percetuale di uscita bassa, mediamente uno o due a partita, di conseguenza lo si accetta senza frustrazione. Le ferite, più frequenti, sono gestibili: se ne hai uno cambia poco, se ne hai due cambi stile di gioco. Le carte crossroads si attivano occasionalmente e raramente ti affossano, quindi aggiungono un'imprevedibilità eccitante e mai frustrante. Ho rivalutato la meccanica del "tiro del destino", di cui avevo orrore, quando abbiamo scelto (sottolineo scelto) di fermare un contagio sapendo che un esito positivo ci avrebbe lasciato possibilità di vincere e uno negativo avrebbe significato sconfitta instantanea. Anni di vita persi, ma emozioni che un german (mio genere preferito) non può dare. DoW é quindi un esempio virtuoso di implementazione dell'Alea. Nemesis invece mi ha frustrato molto per il seguente motivo: Ho accettato serenamente tutta la sfiga avuta durante il round, ovvero quella relativa al rumore e all'esplorazione delle stanze; é tematica e in parte gestibile (la scelta di esplorare una stanza misteriosa che si rivela piena di secrezione é mia, quindi la sorte l'ho sfidata e non mi é piovuta dal cielo. Ho invece odiato la sfortuna post-round, nella fase eventi. Cioé passo un round a camminare in punta di piedi per fare il massimo di rumore concesso senza attirare alieni, magari scappando da uno che mi inseguiva...e poi nella fase eventi il rumore viene comunque fatto (da chi??) un nuovo alieno sbuca dal nulla, quello precedente mi raggiunge nuovamente e mi attacca quando, essendo a fine round, non ho carte in mano per difendermi. E poi cosa? Il caffé dell'hibernatorium era avvelenato, scivolo su una secrezione e mi rompo un braccio? Ecco, la fase eventi di nemesis é per me un esempio di Alea che dà molta frustrazione e nessun divertimento. 

 

Però occhio che in Nemesis il rumore non è quello che si fa, ma quello che si ascolta. Difatti col movimento cauto lo piazzi lo stesso, solo che lo localizzi meglio e lo piazzi dove vuoi tu. Per cui tematicamente, l'obiezione non regge.

Pizza.mystica scrive:

Io con il tempo sono passato dal ribrezzo per ogni elemento casuale all'apprezzare un po' di alea, soprattutto quando la sua presenza ha una ragione tematica. Con due condizioni però : 1) che riguardi alcuni aspetti del gioco ma non ne sia al centro. 2) che la sfortuna ostacoli e non affossi.  Il mio gruppo di occasionali che cerco di "gamificare" ama più di ogni altro gioco Dead of Winter. Io non lo amo, ma lo apprezzo molto soprattutto per come gestisce l'alea. L'ineluttabile (il morso) ha una percetuale di uscita bassa, mediamente uno o due a partita, di conseguenza lo si accetta senza frustrazione. I morsi, più frequenti, sono gestibili: se ne hai uno cambia poco, se ne hai due cambi stile di gioco. Le carte crossroads si attivano occasionalmente e raramente ti affossano, quindi aggiungono un'imprevedibilità eccitante e mai frustrante. Ho rivalutato la meccanica del "tiro del destino", di cui avevo orrore, quando abbiamo scelto (sottolineo scelto) di fermare un contagio sapendo che un esito positivo ci avrebbe lasciato possibilità di vincere e uno negativo avrebbe significato sconfitta instantanea. Anni di vita persi, ma emozioni che un german (mio genere preferito) non può dare. DoW é quindi un esempio virtuoso di implementazione dell'Alea. Nemesis invece mi ha frustrato molto per il seguente motivo: Ho accettato serenamente tutta la sfiga avuta durante il round, ovvero quella relativa al rumore e all'esplorazione delle stanze; é tematica e in parte gestibile (la scelta di esplorare una stanza misteriosa che si rivela piena di secrezione é mia, quindi la sorte l'ho sfidata e non mi é piovuta dal cielo. Ho invece odiato la sfortuna post-round, nella fase eventi. Cioé passo un round a camminare in punta di piedi per fare il massimo di rumore concesso senza attirare alieni, magari scappando da uno che mi inseguiva...e poi nella fase eventi il rumore viene comunque fatto (da chi??) un nuovo alieno sbuca dal nulla, quello precedente mi raggiunge nuovamente e mi attacca quando, essendo a fine round, non ho carte in mano per difendermi. E poi cosa? Il caffé dell'hibernatorium era avvelenato, scivolo su una secrezione e mi rompo un braccio? Ecco, la fase eventi di nemesis é per me un esempio di Alea che dà molta frustrazione e nessun divertimento. 

 

 

Il problema di nemesis è che il fattore fortuna è prsente in ogni suo aspetto: nei tiri rumore, negli attacchi, negli obbiettivi, nella salute dei nemici, negli attacchi dei nemici, nelle ferite che prendi, nelle carte contaminazione, nel sacchetto intruso... Non c'è quasi nessun aspetto di nemesis che non sia regolato da un lancio di dado o dalla pesca di una carta, e sepsso e volentieri tutti questi fattori sono poco mitigabili. Si puoi fare un movimento cauto ed eviterai di tirare un dado, pazienza magari ne tiri 10 dopo.

 Posso anche concordare come dice l'articolo che la fortuna simula l'imprevedibilità di una qualsiasi situazione e che un giocatore bravo calcola i possibili rischi in modo da minimizzare il caso negativo, ma quando in 3/4 del gioco quello che accade è assolutamente a caso anche questo "limitare i danni" lascia il tempo che trova; perché non è semplicemente possibile per il giocatore fare una mossa che lo metta al riparo da tutti gli effetti negativi e spesso nemmeno da quelli peggiori.

 

 

l'alea è fondamentale in un gioco di simulazione e deve essere commisurata alla probabilità che l'evento che si vuole simulare possa accadere (stessa probabilità nel gioco e nella realtà).

L'alea del gioco deve quindi simulare l'incertezza (reale) dell'esito dell'azione.

I giochi german non vogliono simulare assolutamente nulla (sappiamo bene tutti che l'ambientazione è "appiccicata"), quindi è giusto che che nei gochi german l'alea debbe essere prossima allo zero, per togliere appunto dal gioco tutta la parte di gestione dell'alea che renderebbe il gioco inutilmente più complicato. (se ad A corrisponde sempre B ho molti meno problemi che se ad A corrispondesse a volte B a volte C, D, E. ecc)

Non conosco il gioco in questione ma di norma,  non si può criticare la presenza di alea in un gioco di simulazione.

Diverso è il caso se la critica riguarda un'alea che non corrisponde ai valori che si vogliono rapresentare con la simulazione. (esempio se nella realtà ho una probabilità del 50% che si verifichi una cosa e nel gioco me la rappresenti con un 1 su un d6 è ovvio che siamo fuori scala)

Bell'ottimo articolo. Col dado alti e Bassi ci sono, partite dove pare la sagra della sfortuna e altre dove hai più "fortuna" che anima... Ma quando nuffle rema contro,  nel dubbio gioco alla cazzomannaggia. 

Finalmente qualche considerazione seria riguardo a questo argomento.
Quante persone ho trovato affrontare prevenuti una partita ad Axis & Allies perché "dominato dalla fortuna" per poi vederle giocarsi tutta la partita in un attacco alla pari con una unità contro una sola altra!
Quella non è "sfortuna": quella è mettersi nelle condizioni di subirla!
Se magari vi creaste le condizioni per un attacco (meglio più di uno) dove i tiri da fare sono numerosi grazie alla legge dei grandi numeri (che non mente) diventerebbe più facile prevederne l'esito... 
Oppure quante persone ho visto giocare e vincere al pluripremiato (e forse un pochino sopravvalutato seppure piace anche a me) "Throught the Ages" convinti di aver tutto il merito della vittoria ma, putacaso, dopo aver avuto però tutte le carte che gli servivano d'infilata mentre gli altri giocatori certe carte non le hanno proprio viste!
Per non parlare dell'interazione poi: elemento TROPPO casuale ed imprevedibile per essere sopportato e quindi vai di solitari di gruppo!
E come giustificare tutto questo? con una definizione che è assurda già nella sequenza delle parole che la compongono: "interazione indiretta!".
"Interazione" significa "reciproca influenza". Se due persone o oggetti si influenzano reciprocamente come può esistere una "interazione indiretta"??
Immaginate una vecchietta che va al supermercato e mette nel carrello l'ultima scatoletta di tonno che avevate ancora nella vostra lista degli acquisti da fare.
Chi si permetterebbe di affermare che quella vecchietta ha INTERAGITO CON VOI????
Magari (ma proprio da lontano) si potrebbe affermare che ha interagito con l'ambiente che la la circonda e che condivide con voi... ma a questo punto indicatemi una qualunque cosa o oggetto che non interagisca con l'ambiente circostante!
Possiamo affermare che tra uno scoglio e voi vi è un rapporto di "interazione indiretta" perché con le onde che gli si schiantano addosso vi fa pervenire sulla spiaggia solo onde indebolite?
Che senso ha?? Lo scoglio interagisce con l'ambiente e voi pure. Il collegamento (interazione) tra voi e lo scoglio, quella che compone la definizione, la "reciproca influenza" non esiste!!
Voi e lo scoglio non avete nessuna interazione ed influenza tra voi. Entrambi interagite con l'ambiente.
Tra voi e lo scoglio l'influenza non è reciproca: lo scoglio non vi considera proprio e neppure voi vi sentite offesi dal comportamento dello scoglio nei vostri confronti!
Lo scoglio interagisce con l'onda marina, attenuandola, e le onde interagiscono con lo scoglio, consumandolo, sporcandolo, salandolo, smussandolo...
Voi eventualmente potete a vostra volta interagire con l'onda bagnadovi o meno... ma tra voi e lo scoglio, a meno che non ci sbattiate la testa, interazione, RECIPROCA influenza... NON CE NE E'.
Insomma: saro ancora più "cattivo" di chi ha scritto l'articolo, ma ho sempre più la convinzione che chi incolpa l'"alea" è semplicemente perché è incapace di capirla e di gestirla.
E la cosa strana è che SE NE VANTA!
Preferisce agire in un mondo "semplificato" e alla sua portata, che è in grado di gestire, e si permette di liquidare quei giocatori (che invidio tantissimo) che riescono a gestire l'alea è quindi MOLTO più capaci di loro, con il termine "fortunati" mentre invece dovrebbero riconoscere loro dei meriti.
Non è che nei giochi con alea il vincitore è dettato dal caso: come in tutti i tipi di gioco vincono quasi sempre gli stessi. I più BRAVI. 
Potete chiamarli "fortunati" se vi fa sentire meno frustrati... ma in realtà sono semplicemente più bravi di voi a gestire l'indeterminato e il rischio...
Praticamente, cari anti-alea un: "vi piace vincere facile, eh?".... invece di affrontare le sfide e considerarle tali vi piace adagiarvi a fare quello in cui vi sentire capaci... giochi senza alea. 
Che, come giustamente fatto notare nell'articolo, significa "giochi senza rischio", non "giochi dove l'influsso della fortuna è bandito".
Se pensate, ad esempio, al poker come ad un gioco ingestibile perché "pieno di alea" lasciate chi vi dica che probabilmente non avete capito nulla di una grande fetta di quelle attività che vengono definite "giochi"... e forse neppure della vita.

Bellissimo articolo, a metà lettura mi sono detto "è uno del mestiere, fa delle riflessioni troppo profonde e articolate", infatti poco dopo ti dichiari psicoanalista 😁

A me piacciono entrambi i tipi di gioco, venendo però dal mondo dei GdR, mi appassionano di più gli American.

Personalmente trovo un po' ridicola questa "mania del controllo" tipica dei germanisti che si agitano se un singolo tiro di dado può mandare a monte intere strategie (che poi come hai analizzato, dovrebbero essere capaci di sviluppare un piano B qualora il dado non fosse amichevole).

Oppure mi viene da ridere leggendo la tipica critica rivolta a quello che ritengo un meraviglioso gioco, Black Orchestra: "non è possibile apprezzare un gioco nel quale un piano perfettamente congegnato va tutto a meretrici a causa del tiro finale sfigato". Beh, chiederei al povero von Stauffenberg cosa ne pensa di quella maledetta colonna...

Grazie per riscontri e commenti! Ho imparato qualcosa in più leggendovi

Agzaroth scrive:

Prevengo anche già la puerile obiezione per cui "nella vita c'è fortuna per cui bisogna accettarla anche nel gioco". Ma il punto è che il gioco non è la vita di tutti i giorni, è qualcosa di diverso che spesso si pratica proprio per svagarsi dalla vita di tutti i giorni, per cui è assolutamente comprensibile che i giocatori euro rifuggano ed apprezzino sistemi che non rispecchiano quello che devono vivere ogni giorno.

(detto da uno che, per fortuna sua, gioca con pari soddisfazione sia giochi euro che american)

 

Certo, non intendevo che deve esserci per forza ma sostengo che ci sia e basta. L'aspetto simulativo è solo un valore aggiunto nell'ottica sia di chi ha gusto in tal senso sia per fini pedagogici volendo usare i GDT in tal senso. Fra le fonti di "incertezza" citavo variabili inconsce che non sono immediatamente conoscibili nè evitabili e che non rendono possible mai una partita a pari livello e senza alea. 

mistake89 scrive:

Onestamente l'articolo mi pare più apologetico che di vera e propria analisi.

L'alea di input e output andrebbero analizzate all'interno del sistema "dinamico" all'interno di cui si inseriscono e in base al tipo di scelte (probabilistiche) che influenzano.

Altrimenti si rischia di mettere sullo stesso piano la limitazione delle carte azione di Brass (che comunque lo sono solo su una delle varie azioni che compongono il gioco, ma comunque prona all'alea di pesca), e un gioco che in cui se tiri un dado e fai 6, hai vinto. Sennò ritenti.

PS E io non sono un euro-nazi e l'alea in alcuni casi mi garba.

Direi agiografico anche!

Un ottimo articolo, che merita una attenta lettura e riflessione per aprire ulteriori spunti di riflessione che intersecano aspetti inerenti il gioco e la vita vera, le relazioni amicali e dinamiche psicologiche nel gioco, accadimenti e vissuti e reazioni personali agli stessi, tecniche, strategie e tattiche, e chissà cos'altro... ben fatto!

Agzaroth scrive:

Prevengo anche già la puerile obiezione per cui "nella vita c'è fortuna per cui bisogna accettarla anche nel gioco". Ma il punto è che il gioco non è la vita di tutti i giorni, è qualcosa di diverso che spesso si pratica proprio per svagarsi dalla vita di tutti i giorni, per cui è assolutamente comprensibile che i giocatori euro rifuggano ed apprezzino sistemi che non rispecchiano quello che devono vivere ogni giorno.

(detto da uno che, per fortuna sua, gioca con pari soddisfazione sia giochi euro che american)

L'obiezione è tutt'altro che puerile e peraltro è stata esposta nella maniera sbagliata: Nella vita non c'è "fortuna": c'è "indeterminazione". Non è possibile avere certezze ma delle supposizioni logiche è possibile farne.
Che sfortuna: è arrivato un terremoto e ti ha raso al suolo la casa... ma lo sappiamo che i terremoti esistono e possono arrivare!
Sappiamo che è possibile costruire con criteri antisismici e che è possibile assicurarsi...
... ecco che si scopre che "la sfortuna" in parte si può mitigare.
Attraverso delle scelte e delle analisi dei "rischi" (per definizione "alea").
Questo "valutare i rischi" della vita sembra un gioco... anche quando non lo è! 
E' semplicemente un gioco difficile, ma come ogni gioco (e come ho dimostrato sopra) può essere "gestito" in maniera ottima, in maniera discreta e in maniera scadente.
Quindi la "fortuna" non esiste. Esiste il rischio e le scelte che comporta. Esiste la nostra abilità nel gestirle.
Detto questo non mi disturba che gli euro gamers preferiscano ritagliarsi qualcosa di diverso, di SEMPLIFICATO, che si possa mantenere sotto controllo con meno fatica... trovo più fastidioso quando questa categoria di persone arriva a ritenersi per questo più abile e migliore degli altri!
Nei forum, su facebook quante persone svalutano i giochi "con alea" e i rispettivi giocatori?
Poi, per carità, esistono anche i giochi (quelli fatti male) che non ti danno possibilità di scelta e quindi di gestione dell'alea.. (alla carta più alta?) ma, dal momento che esiste la possibilità di influire nel gioco (al pari degli altri giocatori) con delle scelte, allora queste fanno la differenza. E quindi anche i ragionamenti che portano a quelle scelte.
Poi esistono giochi astratti, con regole limitate a quel mondo (gli scacchi) e tanto profondi e non mi permetto certo di affermare che questi giochi siano "peggiori" di altri... ma qui, se vedo denigrazione di un genere di giochi e di giocatori è solamente in un senso con i giocatori german che, chissà con quale astruso ragionamento, arrivano ad autodefinirsi migliori di altri.
Questo detto da uno che apprezza e gioca sia german che american ma che, lo confesso, rimpiange un po i german di una decina di anni fa o più, quando l'interazione (quella diretta se dobbiamo pure precisarlo) comunque non mancava e dava un senso al trovarsi tra amici davanti ad un tavolo a fare la stessa partita e non a fare ognuno la sua in un tavolo condiviso)  

Articolo molto interessante, ne aspettiamo altri!

davincen scrive:

 

Agzaroth scrive:

 

Prevengo anche già la puerile obiezione per cui "nella vita c'è fortuna per cui bisogna accettarla anche nel gioco". Ma il punto è che il gioco non è la vita di tutti i giorni, è qualcosa di diverso che spesso si pratica proprio per svagarsi dalla vita di tutti i giorni, per cui è assolutamente comprensibile che i giocatori euro rifuggano ed apprezzino sistemi che non rispecchiano quello che devono vivere ogni giorno.

(detto da uno che, per fortuna sua, gioca con pari soddisfazione sia giochi euro che american)

 

 

L'obiezione è tutt'altro che puerile e peraltro è stata esposta nella maniera sbagliata: Nella vita non c'è "fortuna": c'è "indeterminazione". Non è possibile avere certezze ma delle supposizioni logiche è possibile farne.
Che sfortuna: è arrivato un terremoto e ti ha raso al suolo la casa... ma lo sappiamo che i terremoti esistono e possono arrivare!
Sappiamo che è possibile costruire con criteri antisismici e che è possibile assicurarsi...
... ecco che si scopre che "la sfortuna" in parte si può mitigare.
Attraverso delle scelte e delle analisi dei "rischi" (per definizione "alea").
Questo "valutare i rischi" della vita sembra un gioco... anche quando non lo è! 
E' semplicemente un gioco difficile, ma come ogni gioco (e come ho dimostrato sopra) può essere "gestito" in maniera ottima, in maniera discreta e in maniera scadente.
Quindi la "fortuna" non esiste. Esiste il rischio e le scelte che comporta. Esiste la nostra abilità nel gestirle.
Detto questo non mi disturba che gli euro gamers preferiscano ritagliarsi qualcosa di diverso, di SEMPLIFICATO, che si possa mantenere sotto controllo con meno fatica... trovo più fastidioso quando questa categoria di persone arriva a ritenersi per questo più abile e migliore degli altri!
Nei forum, su facebook quante persone svalutano i giochi "con alea" e i rispettivi giocatori?
Poi, per carità, esistono anche i giochi (quelli fatti male) che non ti danno possibilità di scelta e quindi di gestione dell'alea.. (alla carta più alta?) ma, dal momento che esiste la possibilità di influire nel gioco (al pari degli altri giocatori) con delle scelte, allora queste fanno la differenza. E quindi anche i ragionamenti che portano a quelle scelte.
Poi esistono giochi astratti, con regole limitate a quel mondo (gli scacchi) e tanto profondi e non mi permetto certo di affermare che questi giochi siano "peggiori" di altri... ma qui, se vedo denigrazione di un genere di giochi e di giocatori è solamente in un senso con i giocatori german che, chissà con quale astruso ragionamento, arrivano ad autodefinirsi migliori di altri.
Questo detto da uno che apprezza e gioca sia german che american ma che, lo confesso, rimpiange un po i german di una decina di anni fa o più, quando l'interazione (quella diretta se dobbiamo pure precisarlo) comunque non mancava e dava un senso al trovarsi tra amici davanti ad un tavolo a fare la stessa partita e non a fare ognuno la sua in un tavolo condiviso)  

Io vedo denigrare entrambi i tipi di giochi, con obiezioni diverse e spesso, in entrambi i casi, risibili.  Al di là del comprensibile fattore goliardico, per il quale nella mia associazione,  ad esempio,  non passa sera senza che da una parte si giochino giochi aridi ed esteticamente brutti e dall'altra soldatini di plastica che tirano dadi (coi wargame, poverini, in mezzo, che sono sia esteticamente brutti, che pieni di dadi), c'è un pregiudizio di fondo da entrambe le parti.

Trovo che l'idea che "dominando il caos della fortuna" si è migliori di un giocatore di Go o di qualsiasi altro gioco combinatorio, sia parte di questo pregiudizio. Come è parte del pregiudizio l'affermazione opposta.

Ammettere di avere anche avuto fortuna, in partite che la prevedono, sarebbe il primo fattore di onestà intellettuale. Come ho sentito ieri sera da un bravo giocatore di Blood Bowl che, vincendo contro un altro bravo giocatore di Blood Bowl, ha messo di "avere anche avuto una fortuna sfacciata". Se fosse stato un pessimo giocatore,  non avrebbe vinto lo stesso, ma anni e anni di Warhammer mi hanno insegnato che non tutti i lanci hanno lo stesso peso e che quello fortunato/sfortunato al momento giusto, ti cambia la partita: anche una perfetta distribuzione statistica, cambia il risultato a seconda del "quando" escono i 6 e gli 1.

Più quindi che una superiorità che viene tirata dalla giacchetta da una parte e dall'altra, io vedo nei due generi proprio un diverso tipo di divertimento, non solo nell'atteggiamento al tavolo,  ma proprio nelle sensazioni trasmesse dal gioco stesso. Se siamo qui a parlarne ancora dopo anni, è proprio perché molto difficilmente gli estremi di queste soddisfazioni riescono ad appagare il medesimo soggetto. 

Ma cercherei di farne appunto una questione di estetiche e non di striracchiate superiorità meccaniche, da una parte e dall'altra. 

 

Che articolo magnifico.
E detto qui e di questi tempi è tanta roba.

Al di là di tutto, permettimi di dirti che scrivi molto bene e dovresti farlo più spesso... magari qui sul sito.
E questo anche se continuo ad amare più i giochi che sfruttano l'alea di terzo tipo (che ora concettualmente, afferro e cui posso dare un nome e quindi conoscere come nella Genesi XD), mediata in alcuni momenti da alea di output (esempi su tutti: Nemesis, Black Rose War)  che quelli che si basano su alea di input.

In altre parole: preferisco essere bastonato (o no) dopo che essere azzoppato prima.. ma questo credo derivi dal mio frequentare i giochi di ruolo.

Grazie di questo articolo
 

Bellissimo articolo, ce ne vorrebbero tanti di spunti di riflessione come questo! Bravo, bravo, bravo

Azy01 scrive:

Che articolo magnifico.

E detto qui e di questi tempi è tanta roba.

Al di là di tutto, permettimi di dirti che scrivi molto bene e dovresti farlo più spesso... magari qui sul sito.

E questo anche se continuo ad amare più i giochi che sfruttano l'alea di terzo tipo (che ora concettualmente, afferro e cui posso dare un nome e quindi conoscere come nella Genesi XD), mediata in alcuni momenti da alea di output (esempi su tutti: Nemesis, Black Rose War)  che quelli che si basano su alea di input.

In altre parole: preferisco essere bastonato (o no) dopo che essere azzoppato prima.. ma questo credo derivi dal mio frequentare i giochi di ruolo.

Grazie di questo articolo

 

 

Grazie davvero per l'apprezzamento, sono una penna pigra, però spero mi torni presto l'ispirazione visto l'interessante dibattito (e gli apprezzamenti) che l'articolo ha suscitato

Sono discorsi relativi. Dipende molto dal gioco. Se giochi a quello dell'oca o a serpenti e scale non puoi fare proprio nulla. Dipende tutto dal dado. Mi ricordo, in gioventù, abbiano avuto il periodo del Monopoly. Una ragazza aveva la fama di perdere sempre. Negoziava sempre i contratti peggiori. Dopo una decina di partite ha capito il trucco e ha iniziato a vincere nella stessa misura degli altri. Abbiamo smesso poco dopo perché tutti annoiati ormai dal gioco che dipendeva solo dal lancio dei dadi. Sempre in gioventù abbiamo consumato starquest a forza di giocarci. Un mio amico molto intelligente e con un gran senso della pianificazione (in ogni aspetto della vita), vinceva la maggior parte delle volte. Dopo mesi di intense partite, studiando le sue mosse e iniziando a pensare anche fuori partita come arginarlo, ho iniziato a vincere quanto lui e ci spartivamo la maggior parte delle vittorie, mentre gli altri continuavano a vincere molto meno. Poi siamo passati ai GDR e i boardgames sono passati in secondo piano. Quindi dipende molto anche da come è costruito il gioco, sia che ci sia alea sia che non ci sia. Dipende da come sono fatte le meccaniche. 

Che bell'articolo!! Grazie per aver condiviso le tue riflessioni!

Che pippone! Ho smesso di leggere l'articolo prima della metà. Non mi stupisce che a scriverlo sia stato uno psichiatra. Ora per svagarmi mi faccio una partita ad Olympus e poi una a City of Remnants. (Vediamo come sarò etichettato dallo psico specialista...)

Epaminondas scrive:

Che pippone! Ho smesso di leggere l'articolo prima della metà. Non mi stupisce che a scriverlo sia stato uno psichiatra.

Psichiatra dove lo hai letto? Se vuoi fare il saccente almeno sii preciso.

Perdonatemi , ma i NaziGerman esistono e sono tra noi. Possono anche giocare qualche american, meglio se ibrido,ma come l'autore dello splendido articolo ha  sottinteso hanno problemi  psicologici di controllo-
Poi un american pure come me è matto da legare,ma questo è un altra storia Solo i matti riescono a comprendere Borges
“I tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, la noia”
Jorge Luis Borges
i lanci dei dadi risultano abbastanza distribuiti anche nelle singole partite.

 

ì è frequente osservare, su una singola partita in cui si lanciano direi un minimo di trecento dadi (fra dadi azione e dadi combattimento), come le statistiche si discostino di poco o siano spesso nella media.

Hai tirato meno sei dell'avversaio,ma un numero trascurabile.
Hai tirato più sei dell'avversario, ma molti di questi erano ovekill quindi (statisticamente) sprecati
Poi ci sono le carte.
Spesso la carta giusta può fare la differenza. Ma esistono strategie per aumentare la probabilià di pescarla.

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