L'afa di metà giugno riporta ricordi mai sopiti.
I primi giorni delle vacanze scolastiche: le uscite al mare coi compagni di classe, le nottate spensierate. Tanto tempo anche per giocare.
In un sondaggio passato in home page a sorpresa L'Isola di Fuoco si piazzava seconda. Davanti a un Bora Bora o un Hawaii; i Goblin hanno quindi un cuore (oltre che ottima memoria)!
Praticamente una porta chiusa da decenni viene sfondata nei recessi della memoria. E la memoria una volta libera ti riporta tante cose.
Nella stanza (mai) dimenticata escono immagini. Gesti. Sensazioni.
Cosa facevi ne L'Isola di Fuoco? Nei panni di un impavido -e perché no anche un po' avido- esploratore dovevi trovare e sottrarre un favoloso rubino. Facile a dirsi un po' meno a farsi: l'ira dell'Isola di Fuoco e altri esploratori pronti a tutto rendevano ardua l'impresa.
La meccanica era decisamente semplice: tira dado, muovi, pesca carte e gioca carte. Il bello, anzi il Bello, era -ed è anche ora- il tabellone tridimensionale! I ponti erano possibili trappole azionate dalle biglie-palle di fuoco e certi sentieri erano direttamente "sotto-tiro" delle biglie-palle di fuoco!
Arrivare al rubino era una corsa emozionante ricca di colpi di scena. Appena preso però si era solo a metà dell'opera: la fuga poteva essere decisamente più difficoltosa!
Senza dubbio all'epoca, specie per degli under 12 degli anni '80, era una gioia assoluta. La finzione narrativa ti portava ad essere un Indiana Jones inseguito da macigni infuocati.
Solo un altro titolo era più evocativo, più filmico. Già, filmico.
L'Isola di Fuoco era un set specifico a tutti gli effetti ma dalla stanza della memoria c'è posto per un altro intero universo.
Come dimenticare Heroquest?
Notti intere a giocare le campagne fornite col gioco e poi continuare a giocare con le proprie campagne caratterizzate da una rigiocabilità praticamente infinita con il solo set base. Heroquest era senza dubbio un intero studio cinematografico con tanto di protagonisti carismatici, nemici comparse e villain di alto rango e ultimo ma non ultimo tanto di scenografia! In ogni studio cinematografico che si rispetti ovviamente c'era un regista: in Heroquest la regia era in mano al Narratore.
Porte, corridoi, trappole, tesori, scenografia variabile -da tavoli, tombe, armadi, scrigni fino a caminetti-. Ancora orchi, goblin, fimir, zombie, scheletri, mummie, guerrieri del Caos, maghi del Caos e Gargoyle contro il Barbaro, il Nano, l'Elfo e il Mago. Incantesimi, equipaggiamento, pozioni. E la magia della regia del Narratore.
Tiravi il dado per muoverti ed esplorare: il dungeon si componeva un pezzo alla volta nella suspance di trovare porte, passaggi segreti o nuovi nemici! Cercavi tesori o trappole. Il combattimento era semplicissimo e un sistema di magie tanto semplice quanto godibile chiudeva il cerchio. L'unico limite delle Quest, una volta finita la campagna del set base, stava nella fantasia del regista, pardon, Narratore.
Una partita a Heroquest era quanto di più vicino al gioco di ruolo e al cinema riprodotto su tavolo. Senza pagine e pagine di regole astruse, senza complicazioni né set up estenuanti. Si partiva immersi nella storia subito, un po' come spingere play sul videoregistratore e gustarsi Conan il Barbaro o un film su D&D.
Giochi come L'Isola di Fuoco e Heroquest sopravviviono nella memoria dei giocatori da decenni: siamo oltre i vent'anni! Perché?
Al di là dell'affetto per anni spensierati sono titoli che hanno qualcosa in più, qualcosa che resta. Hanno la magia di emozionare, catturare e immedesimare i giocatori. Sono messa in scena e narrazione. In un'unica parola "creazione".
Almodovar disse "Il mestiere di regista è quello che più si avvicina a Dio". Personalmente concordo e mi permetto di dire con molto affetto che titoli come L'Isola di Fuoco e Heroquest sono fiction da tavolo. Non hanno meccaniche "eleganti" o algoritmi "sofisticati".
Semplicemente toccano i cuori: per questo avvicinano a Dio.
Aledrugo1977