1986 – 2018. Trentadue anni dopo (che a dirla così c'è da spaventarsi), L'Isola di Fuoco torna nelle nostre case in una nuova edizione curata da Restoration Games, che per l'appunto si occupa di resuscitare famosi giochi del passato donando loro nuovo smalto.
Vediamo se ci è riuscita.
Per 2-4 partecipanti (5 con l'espansione), durata 30-60 minuti, destinato ai bambini da 7 anni in su, su basa su punti azione, gestione mano e collezione set.
Come si gioca a L'Isola di Fuoco – The Curse of Vul-Kar
Si assembla l'isola mettendo assieme
tre plance in plastica e ponendo le
biglie in vetro nei punti designati, così come i gettoni tesoro e il Cuore di Vul-Kar (un plasticozzo rosso rubino).
Poi ogni giocatore sceglie una pedina (un incauto turista) e la pone nella casella di partenza, idealmente la pista d'atterraggio dell'elicottero. Poi ognuno pesca una carta souvenir (un equipaggiamento usa e getta) e due carte Azione.
Ad ogni turno si gioca una di queste carte Azione che riportano il numero di passi (precisi) da effettuare (senza mai poter tornare indietro) e qualche azione aggiuntiva, tipo ruotare il testone di Vul-Kar o lanciare una palla di fuoco in qualsiasi direzione, pescare un souvenir, ecc.
Lo scopo è raccogliere quanti più possibili gettoni tesoro lungo i percorsi, scattare le foto in punti precisi dell'isola (prendendo le corrispondenti carte) e magari pure il cuore di Vul-Kar che vale un bel po'. Ogni volta che si viene colpiti da una palla si perde in tesoro, ogni volta che in avversario ci sorpassa, ci ruba l'eventuale cuore.
La fine della partita scatta o quando un turista ha scattato tre foto (di tre colori diversi) ed è tornato all'elicottero, aggiudicandosi tra l'altro un bel gettone da sei punti, oppure quando nella riserva di Vul-Kar ci sono quattro palle di fuoco. La partita inizia infatti con una sola palla in tale riserva e, in seguito, ne viene una aggiunta ogni tre carte Catastrofe giocate (sono carte Azione che ti fanno fare tot passi e lanciare tutte le palle di fuoco dalla testa di Vul-Kar).
Quando scatta la fine tutti hanno ancora due mosse per tornare all'elicottero, poi si contano i puntii vittoria (tesori sempre e foto solo se ti sei messo in salvo). Chi ha più punti vince.
Materiali
L'Isola di Fuoco era impressionante, negli anni '80. Una roba mai vista, che surclassava tutti quello che si era visto fino a quel momento. The Curse of Vul-Kar esce in un'era in cui i giochi da tavolo pullulano di miniature, elementi 3D in resina, illustrazioni spettacolari, formati giganti. Ecco che allora l'effetto meraviglia viene un po' meno, anche per i bambini stessi, pur mantenendo un
indiscusso fascino, dal quale mia figlia è stata immediatamente rapita.
L'isola in tre parti è più scomoda di quella unica, tanto la scatola è troppo grossa uguale (ma anche troppo piccola, vedremo...) e dà più l'idea di una cosa posticcia. Belle le palme, ma vanno smontate prima di rimettere a posto tutto. Belle le biglie, specie quelle colorate, ma i loro alloggi sono spesso estremamente precari e passi un sacco di tempo a rimetterle a posto dopo averle fatte accidentalmente crollare. Belle le illustrazioni nelle carte, diverse e a colori, certamente molti passi avanti rispetto al bianco e nero dell'epoca. Un po' deludenti le miniature dei personaggi, di plastica molle e deformabile.
E veniamo allo scatolone, un accrocchio di cartone deformabile e molle, inadatto a contenere anche solo la base del gioco, figuriamoci la prima espansione, che era inclusa nel pledge base, col coperchio che rimane tre centimetri sollevato. Hanno detto che era più comoda e più vintage. Vabbè.
Gameplay
Inserendo una meccanica di collezione set, hanno
risolto il problema – letterale stavolta –
del leader in fuga. Nel vecchio gioco vinceva chi portava via il gioiello di Vul-Kar. Qualcuno poteva rubartelo con l'apposita carta, ma in sostanza era una gara a prenderlo e scappare, con qualche giocatore che faceva essenzialmente da spettatore. Ora il gioiello vale 7 punti, quindi ancora appetibile, ma scattare foto, collezionare tesori, prendere l'idolo del serpente (nella prima espansione) e tornare all'elicottero per primi sono tutti sistemi per vincere, anche senza il gigantesco rubino.
Le due carte Azione tra cui scegliere danno quel minimo di scelta in più senza portare a paralisi da analisi e fanno simpatiche combo con le carte souvenir. Ovviamente rimane il problema della lingua, che va a limitare la fruibilità per i bambini non anglofoni che vogliano giocare senza un adulto a tradurre continuamente. [È di questi giorni l'annuncio di Asmodee Italia della localizzazione del titolo in questione (non delle espasioni, almeno per il momento), la cui data di pubblicazione è però ancora da definire, n.d.A.]
Infine le maledette biglie. Nel vecchio gioco si lanciava quasi sempre dal testone dell'idolo e la direzione era predeterminata, così come certe erano le altre biglie che sarebbero rotolate spinte dalla prima e i loro percorsi. Qui cambia tutto: spesso puoi lanciare anche le biglie sul tabellone, Vul-Kar ha tre fori d'uscita, dando vita a percorsi casuali (anche se con un po' di abilità puoi indirizzare le biglie), inoltre è permesso schiccherare (ma solo con l'indice, non caricando col pollice) e indirizzare la palla dove si vuole. Non so se mi piace tutta questa libertà d'azione e casualità aggiunta, mi pare faccia pendere il gioco più dalla parte del giocattolo...
Ambientazione
Ma dove secondo me questo The Curse of Vul-Kar
perde decisamente rispetto alla vecchia scatola è nel tema. Nell'Isola di Fuoco eravamo avventurieri, novelli Indiana Jones, alla ricerca di un tesoro tanto misterioso quanto prezioso, tra pericoli e stenti. Qui siami ricchi figli di papà che, annoiati dalla nostra vita agiata, ci facciamo trasportare in elicottero su un'isola vulcanica per scattare selfie degni dei
Darwin Awards e raccogliere souvenir da mostrare nel nostro attico agli altri amici radical chic, con l'elicottero sempre lì, pronto al soccorso.
Insomma, più L'Isola dei Famosi che non I Predatori dell'Arca Perduta.
Senza voler attribuire a questo gioco finalità educative che probabilmente non ha e non vuole avere, avrei preferito qualcosa di un po' più serio e coinvolgente che non la solita ambientazione simil-demenziale (se non demente) che ormai ricorre in tutto ciò che propinano ai nostri figli.
L'unico che rimane incorruttibile è lui, il quinto personaggio, quello dell'espansione, chiaramente la vecchia pedina del classico gioco, l'avventuriero alla Indiana Jones che fa la parte del duro dei film e sembra guardare i quattro idioti che corrono per l'isola con uno sguardo tra rabbia e pietà.
Conclusione
L'Isola di Fuoco rimane un pezzo di storia dei giochi da tavolo per bambini, un oggetto ancora oggi di culto e collezione. Questo The Curse of Vul-Kar è un prodotto creato principalmente per i nostalgici, ma che dubito riuscirà ad avere lo stesso impatto sulle nuove generazioni.