DISCLAIMER: quest’articolo riflette il mio personale parere e vuole in primis essere uno spunto di riflessione.
Rieccoci qua. Quest’anno non sono riuscito ad andare a Essen, ma prima della fiera mi sono ritrovato di nuovo a spulciare la lista su BoardGameGeek dei titoli da attenzionare con cura.
Di sicuro un mio difetto, non sono immune al fascino delle copertine accativanti. A colpirmi quest’anno in particolare sono però la mole di titoli con animali antropomorfi. Quei maledetti animali antropomorfi. Fit to Print, FLOE, Flock Together, Freelancers (tutti titoli con la F ma non di Friese), e poi Everdell Farshore, MLEM : Space Agency, Boundless Stride. Potrei continuare ben a lungo. Da cosa deriva la mia antipatia?
Antropomorfizzare significa conferire aspetto e/o caratteristiche umane a ciò che umano non è. In questo caso animali. Non è certo una novità. Senza scomodare antropomorfizzazioni di animali nella mitologia (greca ed egizia, volte talvolta a rendere l’animale persino divino) o mostri sacri della cultura odierna, quali l’universo creato da Walt Disney o "Alice nel paese delle meraviglie", vi porto due esempi particolari dove una raffigurazione dell’uomo in quanto animale sia stata intelligente.
Era il 1945 quando uno scrittore inglese di nome George Orwell pubblicava Animal Farm («La fattoria degli animali»). Nel libro, degli animali antropomorfi, guidati dal maiale di nome Napoleon, si ribellavano al potere stabilito, incarnato dal fattore, un essere umano. Il romanzo è considerato una chiara allegoria agli eventi che hanno portato alla Rivoluzione Russa del 1917 e l’utilizzo di animali antropomorfi è un chiaro escamotage letterario.
Art Spiegelmann, figlio di un reduce dei campi di concentramento di Majdanek e Auschwitz, pubblica a puntate
Maus. La particolarità dell’opera a fumetti risiede nel fatto che i personaggi sono rappresentati in forma animale, secondo un’allegorica impersonificazione delle peculiarità delle specie. I protagonisti sono gli ebrei perseguitati, rappresentati da dei topi (« Maus » significa topo in tedesco) e sono contrapposti ai gatti nazisti. Gli altri popoli sono rappresentati da altri tipi di animali (americani sono cani, francesi rane, polacchi maiali, etc...).
Recentemente, il fenomeno dell’antropomorfizzazione è talmente diffuso nella cultura pop tra videogiochi, film e giochi da tavolo che è stato coniato il termine «anthro». Secondo BoardGameGeek vi sono, ad oggi, 394 titoli «anthro» (https://boardgamegeek.com/boardgamefamily/65774/theme-anthropomorphic-animals), ovvero che hanno animali antropomorfi come protagonisti. E la lista è in continua crescita.
L’animale umanizzato come simbolo o metafora è un esempio di antropomorfizzazione ragionata. A mio personalissimo avviso, vi è però una antropomorfizzazione INGIUSTIFICATA dei personaggi nei giochi da tavolo odierni. Tolte eccezioni legate ad una rappresentazione tematica più o meno strutturata che giustifica asimmetrie nel design (es. Root), mi sembra chiaro come autori, ma più probabilmente gli editori, evitino temi controversi, potenzialmente scottanti, ripiegando su topi che interpretano nostromi, rane investigatrici e tassi che stampano giornali. Persino i draghi sono commercianti e artigiani. Tutto questo per evitare di sollevare un polverone legato alla scelta dei personaggi da raffigurare. Ci sono abbastanza donne rispetto alla quota d’uomini raffigurati? Ci sono abbastanza etnie diverse? Per inciso, la risposta è la maggior parte delle volte: non abbastanza. Vuoi però mettere quanto sia più facile evitare queste polemiche sterili e rappresentare tutti come dei belli animaletti del bosco? E allora via con reboot di classici come Libertalia con l’abbandono di pirati umani per raffigurare pirati animali, Quo Vadis? diventa Zoo Vadis, Air Land and Sea diventa Animali in guerra (Critters at war). E via discorrendo.
L’antropomorfizzazione, sta perdendo, a mio personalissimo parere, la valenza culturale ovvero la sua componente metaforico-allegorica. Mi sembra oramai una scelta più che altro dettata dalla convenienza. Tema puccioso + animali antropomorfi = vendita assicurata. Paradigma relativamente nuovo, ma ormai stra-abusato. Il rischio che sento è quello di un appiattimento dei contenuti, per evitare il confronto. La paura del review bombing e del flame che possono generare i contenuti potenzialmente controversi è ai massimi storici.
Nessuno si lamenterà di non aver rispettato le quote rosa, perché nessuno andrà a rovistare tra i genitali al coccodrillo protagonista, soprattutto se lo vesti come un rappresentante dell’alta borghesia con tanto di tuba. Personaggi che sono mero involucro, svuotati della loro essenza, del loro spessore, della loro unicità. Sacrificati sull’altare del quieto vivere.
Il mio punto di vista è semplice. Se un tempo la rappresentazione degli animali antropomorfi era usata come escamotage per sviscerare temi controversi, ora il paradigma è esattamente l’opposto. Si fa di tutto per evitarli. Siamo d’accordo, parliamo di giochi. Di svago. Ma, come ribadisco nei miei precedenti articoli, il gioco resta una cosa seria. Specie il gioco da tavolo, dove le possibilità tematiche e potenzialmente didattiche sono sconfinate.