Interesante analisi.. un punto di vista diverso, ho apprezzato.
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Seguendo la tendenza creatasi con gli articoli precedenti, parto con qualche stralcio di esperienza personale.
Sono stata cresciuta ed educata in una famiglia prevalentemente femminile, con metodi e principii lievemente diversi da quelli dominanti intorno a noi. Conosco il modo in cui alle bambine italiane veniva e viene praticato il lavaggio del cervello (sei buona, sei bella, sei dolce, sei educata, sarai una buona moglie e una buona madre), ma più grazie alla lettura di Gianini Belotti (1972, Lipperini 2007) e all’analisi critica dei circoli che frequentavo con la mamma, che non alla mia educazione diretta.
Dopo un’infanzia passata a leggere, studiare e giocare – e picchiare i coetanei che mi prendevano in giro – scelsi di lavorare un poco sulla dolcezza, e scoprii la forza del sorriso, dimenticando man mano i metodi spontanei di reazione infantile e coltivandone di nuovi – più carini e affabili, ma non per questo, all’occasione, meno incisivi.
Così, mi sono ritrovata a un certo punto a scoprirmi solita evitare mosse molto cattive durante le sessioni di gioco da tavolo, a non fare le azioni decisive che – di quando in quando – vedevo lì pronte per sbaragliare gli altri giocatori e offrirmi la vittoria.
Perché, mi sono chiesta?
In parte, perché per un certo periodo è stato così raro incrociare qualcuno disposto a giocare da tavolo, che volevo godermi il più possibile le partite e speravo non finissero mai: perché fare la mossa che ti fa vincere, se questo vuol dire perdere minuti preziosi di gioco? Sì, è evidente che una parte di me ama i giochi infiniti (Carse 1987), ma come spiegazione non mi basta.
In parte, infatti, ero contagiata dal meme donna-gentile. Non aggredivo i compagni di gioco con mosse che li avrebbero danneggiati (non oltre un certo limite), perché sentivo che non sarebbe stato educato, carino.
Ma non ero per niente soddisfatta.
Poi, finalmente, incontrai Suits (1978) e il sublime volumetto che scrisse in risposta alla domanda “Cosa vuol dire giocare?”
Fu lì che scoprii l’essenza dell’attività ludica. Quando giochiamo, scegliamo di affrontare volontariamente ostacoli non necessarii.
Nessuno ci obbliga a passare la serata chini su un tabellone. Se il nostro vero scopo per la serata fosse di posizionare per primi un cilindretto rosa (*) sulla casella col 100, potremmo metterlo direttamente lì e andare poi a guardare un film, senza stare tutto quel tempo a spostare un sacco di altri oggettini sul tavolo seguendo regole astruse. Le regole però ce lo impediscono: se vogliamo giocare, dobbiamo seguirle, ed esse sono fatte apposta per complicarci le cose.
Una delle grandi soddisfazioni del giocare da tavolo sta nel riuscire a superare tutte le difficoltà imposte dalle regole e dall’ostracismo dei nostri avversari.
Giocare contro qualcuno che non si oppone può farci vincere, sì, ma ci toglie tutto il gusto.
Ecco quindi un messaggio alle Goblinesse (attuali e future): giocate con i vostri amici e con i vostri cari, e siate spietate. Giocando, non solo potete permettervelo, ma più cattive sarete più soddisfacente sarà la partita per voi e per loro. Lasciate pur perdere la bontà, la gentilezza e la dolcezza. Poiché volete bene al vostro compagno di giochi, volete rendergli la partita più intensa e bella possibile, e quindi dovete essere ostili. Andate di massacro, e siate serene :-)
Ho un messaggio anche per i Goblin: non cercate di essere buoni con le vostre avversarie, se ne accorgerebbero e si sentirebbero offese. Siate spietati, indipendentemente da quanto puccettoso è il gioco. Se invece di apprezzare la vostra cattiveria, lei se la dovesse prendere, vorrà dire che ancora non apprezza la dolcezza del fiele ludico. Se sia o no possibile farla diventare (o scoprirsi) una giocatrice, questo non so dirlo.
(*) così magari mi faccio perdonare il veto all’evidenziatore rosa nell’articolo ;-)
Ehi, quello lo voglio leggere, come si intitola?
Carse, P.J. (1987) Giochi finiti e infiniti. La vita come gioco e come possibilità, Mondadori
Gianini Belotti, E. (1973) Dalla parte delle bambine, Feltrinelli
Lipperini, L. (2007) Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli
Suits, B. (1978) The Grasshopper. Life, Games and Utopia, Broadview
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