Tristemente vero. Secondo me il problema nasce anche da prima, se vado in associazione ad esempio in linea di massima vedo poche ragazze che giocano e solo a seguito dei rispettivi morosi che nel 99% dei casi le hanno introdotte. E quando parliamo di una ragazza parliamo di un soggetto che non è ancora vincolato (inchiodato?) dai cosiddetti doveri coniugali e della casa da tirare avanti. Probabilmente il boardgame è visto come un passatempo principalmente maschile e già questo costituisce un freno in partenza.
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“Ho riscoperto una seconda giovinezza” mi ha cinguettato con occhi raggianti e con l’entusiasmo di una cinquenne ben reso dall’andatura saltellante con cui mi veniva incontro, una signora sulla cinquantina a cui avevo dato appuntamento per venderle un vecchio gioco.
Regalo per i figli?
No.
Regalo per lei.
Rimango sempre colpita dall’entusiasmo fanciullesco degli adulti per i giochi da tavolo. L’attitudine dell’essere umano a disimparare l’arte del gioco è talmente consolidata che quel ritorno all’età perduta riesce ogni volta a stupirmi… ai limiti della commozione.
Se in un hobby già di per sé di nicchia una donna che si lasci coinvolgere da amici compagni e mariti giocatori costituisce una fortunata eccezione, non v’è dubbio che una donna appassionata è a tutti gli effetti un Unicorno Rosa.
Nella mia piccola esperienza di giocatrice e, da poco frequentatrice di eventi ludici, non posso che confermare le percentuali della ben nota partecipazione femminile, inequivocabilmente da codice binario (1 quando mi siedo al tavolo, 0 quando mi alzo).
La grande assenza delle donne dal tavolo mi porta spesso a riflettere sulla loro attitudine (specie se con prole) alla razionalizzazione, anche fino all’esclusione, delle attività che non coinvolgano direttamente altri membri della famiglia. Luogo, questo, che la donna elegge come microcosmo quasi assoluto di doveri e piaceri, e nel quale non di rado dovere e piacere si sovrappongono fino alla sinonimia: non è un caso che si è soliti regalare più utensili da cucina alle mamme che chiavi inglesi ai papà.
Una parte di questa realtà, in quanto donna, la comprendo ed ammetto di rivedermici con tutte le scarpe e le scatole (una trentina ad oggi) e sono sicura che molte delle donne (sposate e impegnate) che frequentano la Tana dei Goblin, converranno con me: a noi piace tanto giocare.
Ma proprio tanto.
Lo dico col cuore e tutti i meeples del mio Carcassonne in mano. Però tutte giochiamo finché c’è un compagno o figlio disposto a farlo insieme a noi. Insomma, è proprio vero che per noi donne il concetto di famiglia come “cuore delle nostre attività” è Centrale. Che piacere c’è a scartare un nuovo gioco senza poter condividere l’adrenalina da spacchettamento con qualcuno che amiamo? Quale forza ci spingerebbe a leggere i regolamenti se non ci fosse vicino a noi una persona appassionata con cui pregustare l’esperienza di gioco che avverrà? Voi, ce la vedete una Giullaressa giocare senza il suo Giullare? O una MickyLo imboccare l’autostrada per andare a giocare a casa di un’amica lontana lasciando bimbi e marito a casa? Io no. Così come non riesco a immaginare me stessa coltivare questa passione senza la mia compagna o la signora cinquantenne, a cui ho dato appuntamento, spostare i trenini di Ticket to Ride senza il marito, suo principale partner ludico… toh!
Con la signora ci eravamo lasciate con la promessa di una partita, a qualsiasi cosa. Ma in fondo sapevo che non avremmo mai organizzato niente, perché niente è più effimero di una promessa ludica di una donna ludicamente impegnata.
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