La ludica commedia - Inferno, canti III e IV

Dante e la Divina Commedia
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Il signor Darcy continua la discesa verso gli inferi, cerchio dopo cerchio, tra i vizi e i peccati del gioco da tavolo.

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Giocatori

Canto III

Mi ritrovai poi in un triste

loco, assai tetro, ove gioia

e luce giammai si son viste.

 

Vidi un tale morir di noia,

gonfio, raggrinzito e unto

come cappero in salamoia.

 

Ei, sebben con disappunto,

pur tuttavia al fin mi disse

come giunse a un tal punto -

 

un mondo poscia apocalisse.

 “Perigliosa assai la lussuria:

toglie luce come un’eclisse.”

 

Era acquosa come anguria

quella voce, debole afflusso,

eco flebile tra muri d’incuria.

 

“Ego solevo cercare lusso”

disse poi, roso dall’arsura,

“de’ materiali subivo influsso.” 

 

Volli allora aiutar tal figura:

gli porsi dunque la bottiglia

ma ahimé, era una miniatura.

 

Dunque volea gozzoviglia,

e or langue come un robot.

Ruggine, sguardo da triglia:

 

'sì senz'anima pare un bot.

Così ahimé riduce l' abuso

di giochi Cool-mini-or-not.

 

Vagai a lungo, ‘sì confuso

che mi persi; il cor inoltre

mi dolea pel povero illuso.

 

Allor scesi ancor più oltre

e giunsi fin ove bramosia

trapela dalla spessa coltre

 

di scatole, gravosa idolatria

che giammai lascia speme

a quei che pecca di bulimia.

 

Ne vidi uno in tal insieme,

gli arti laceri, la pelle nuda,

Gloomhaven che ivi preme.

 

A me parve pena ‘sì cruda

che ne chiesi a lui cagione;

ei disse che un barracuda

 

prese il posto della ragione:

veloce come un ghepardo

si trovò piena la magione.

 

“Or capisco, fu un azzardo:

eccomi a far, detto prosaico,

la fin della gatta col lardo.”

 

Volette ogni gioco arcaico,

e le espansion, e le promo.

Ora geme il povero Traico,

 

sommerso, ormai domo,

da giochi sol defustellati

che pesan come cromo.

 

Lasciai allor i dolorosi iati

giungenti da tal coperchio,

e scesi pe l’infernali strati.

 

Lasciai loco tan’ soverchio

e raggiunsi i pietosi avari

nel loro lugubre cerchio.

diavolo

Canto IV

Appena entrai in tal loco

repente ebbi ne’ l’occhi

l’imago d’un freddo foco -

 

danaro invece di ciocchi -

ove cocevan il modesto

desinar codesti pidocchi.

 

Ilare è il fato manifesto:

chi in vita fu alla mercé

de lo dio soldo, or mesto

 

siede affranto, altroché;

e brucia le due monete

salvate con amazon.de.

 

Una dell’anime inquiete

poscia mi venne appresso

come s’io fossi magnete;

 

il suo volto mi è impresso:

a punta il naso e ‘l mento,

faccia scura come cipresso.

 

In preda a gran tormento

costui chiese se di Noria

avessi l’italico regolamento.

 

Pur gli evitai giaculatoria

e lasciai quello a tal sorte,

certo amara come cicoria.

 

Oltre vidi però la coorte

di color che, d’altro canto,

a costoro die’ manforte.

 

Or certo han rimpianto

d’aver eluso leggi e galatei:

mancan al corpo infranto

 

pezzi; ma a lor, poveri rei,

volta ab aeterno le spalle

il servizio clienti di Uplay.

 

Scesi allor l’angusta valle,

lì ove lo Stige furibondo

ai dannati gelava le palle.

 

Stava lì ormai verecondo

chi in vita fu aggressivo,

rabbioso - fin iracondco.

 

Vidi colà, presso il rivo,

lo nero spezzino, cheto.

“Chi la regola del balivo

 

errava, lo volli sott’aceto”

disse, sistemando il ciuffo.

Or all’ombra del canneto

 

nemmeno emette sbuffo:

raggelati li spiriti bollenti,

ritirato, blu, parea un puffo.

 

Vidi allor muoversi genti,

sotto le acque, disperate -

nel fango, ahimé, ‘sì lenti -

 

inseguite da enormi orate.

“Son costoro li accidiosi”

disse il nero a mo' di vate.

 

“I regolamenti ‘sì barbosi

ritenean: per lor fu routine

rifarsi a quei volenterosi.

 

Or lor fuga non vede fin:

son esausti e senza aiuti

da Oliva, né da Bianchin.

divina commedia

Commenti

Bravo bravo bravo ?

ahahah, bellissimo come al solito. Prima o poi arriverai a scriverla tutta

??Bravissimo... molto ispirato e divertente:-)

Che uomo questo Darcy... <3

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