Cosa è la mnemotecnica
La
mnemotecnica, ossia l’arte di memorizzare e richiamare informazioni, è una pratica di affinamento delle abilità cognitive nota sin dall’antichità. Coltivata dai
Sofisti a
Leibniz, passando da
Platone,
Aristotele,
San Tommaso d’Aquino e
Giordano Bruno – solo per fare qualche esempio – è sempre stata una portentosa abilità applicata a moltissime attività umane, da quelle più teoriche (come la ricerca scientifica e l’indagine razionale in generale) a quelle più pratiche riguardanti la vita quotidiana.
Benché siano molteplici, le tecniche di memorizzazione messe a punto dagli illustri autori soprammenzionati si basano tutte su un principio
semplicissimo: tradurre unità informative in pensieri, immagini o rapporti figurativi che si imprimono nella mente in maniera vivida, agevolando i processi relativi allo stoccaggio e al recupero delle informazioni. Per fare un esempio tra i vari possibili, i logici medioevali, al fine di districarsi nella enorme giungla delle possibili forme sillogistiche codificate da Aristotele (32
3= 32.768) elaborarono una geniale tecnica mnemonica, ancora oggi in uso.
Essa è basata sul conferire speciali nomi ai soli sillogismi validi: in questo sistema la composizione morfologica del nome (e nello specifico le prime tre vocali che in esso ricorrono) fornisce informazioni tecniche sulla tipologia della forma argomentativa in esame.
Ad esempio: il nome del sillogismo “
Barbara”, costituisce il nome della forma sillogistica valida di tipo
AAA, ossia quel tipo di sillogismo in cui ricorrono
due premesse di tipo “A” –
universali affermative – e
una conclusione anch’essa di tipo A, come ad esempio “Ogni ateniese è greco. Ogni greco è europeo. Dunque ogni ateniese è europeo". Il nome “
Darii” rinvia alla forma sillogistica
AII, con premessa maggiore universale affermativa, premessa minore e conclusione esistenziali affermative, come ad esempio “Ogni gatto è un mammifero. Qualche quadrupede è un gatto. Dunque qualche quadrupede è un mammifero”.
La mnemotecnica nello Shogi e negli Scacchi
Tecniche mnemoniche di questo tipo risultano dunque particolarmente utili nei contesti di studio entro cui occorre tenere conto di molte variabili. Come abbiamo già indicato, nello Shogi, come negli scacchi, abbiamo a che fare con un dominio sconfinato di possibilità: 10220 nel caso dello shogi e 10110 per gli scacchi. Per meglio orientarsi in questa vera e propria marea di “mondi possibili” è pertanto proficuo escogitare delle tecniche che aiutino i processi della memorizzazione. Prima di presentarli, però, è bene rispondere a un quesito generale: quanto conta, nello Shogi o negli Scacchi, un approccio mnemonico e quindi quanto vale disporre di una memoria allenata ed efficiente?
Iniziamo col dire che padroneggiare lo Shogi (in quanto segue parlerò di Shogi, ma quello che dirò potrà essere applicato, mutatis mutandis, anche agli Scacchi) non è una mera questione di memoria. Sostenere qualcosa di questo tipo sarebbe assolutamente falso, tanto quanto risulterebbe falso affermare che le abilità critico-scientifiche di un individuo dipendano dal memorizzare libri. Qual è, allora, il valore specifico dello studio delle numerosissime varianti che contraddistinguono i joseki (=le aperture) nello Shogi?
Per rispondere a queste domanda iniziamo con l’indicare che l’analisi delle aperture non è solo una mera descrizione ottenuta con “arte combinatoria” e riguardante tutte le possibili mosse ipotizzabili a partire da un dato stato di gioco particolarmente interessante. Essa, invece, rappresenta una chiave di lettura di un sottoinsieme di possibilità dischiuse da una data posizione di gioco.
Per comprendere meglio questo punto occorre tenere presente che lo studio di un’apertura ha una doppia valenza. Da un lato, esso incorpora un evidente
aspetto descrittivo-contemplativo: studiare un’apertura è, come detto, contemplare un dominio di possibilità che si sviluppano in
ramificazioni decisionali multiple, non-continue o, come si direbbe in matematica,
non-lineari. Chiunque studi un’apertura sta in realtà
esplorando diversi mondi possibili: li attraversa col pensiero, li individua e li descrive.
Ma lo studio di un’apertura incorpora anche un’aspetto normativo, ossia dei veri e propri principi di decision-making e di corretta gestione del rischio. Semplificando un po’, lo studio ti dice non solo ciò che è possibile ma anche quello che è preferibile. È a quei principi che occorre prestare attenzione in una analisi di questo tipo e lo studioso dovrà procedere astraendo il generale dal particolare, il principio universale dal caso specifico.
A nulla varrà mandare a mente intere sequenze di mosse se non comprendo
che cosa sta accadendo sulla scacchiera, ossia se non sono in grado di cogliere i principi alla luce dei quali poter valutare il bilanciamento di forze tra Sente (=Nero) e Gote (=Bianco). In sostanza:
la mappatura delle possibilità senza conoscenza di principi generali risulta vacua (= non è in grado di produrre condotte di gioco),
mentre la conoscenza dei principi senza la capacità di mappare le possibilità risulta cieca (= non è in grado di individuare le proprie applicazioni).
Se il descrittivo ha a che fare con il particolare (la fattispecie, il caso specifico) mentre il principio ha a che fare con l’astratto (ossia con l’universalmente valido e universalmente applicabile), allora possiamo sostenere che lo studio dello Shogi mira alla sintesi di questi due importanti momenti.
Lo studio dei proverbi nello Shogi
Peraltro da questo punto di vista possiamo anche apprezzare il valore paremiologico degli innumerevoli proverbi giapponesi riguardanti lo Shogi, vere e proprie perle per il giocatore in quanto rappresentano in modo stringato, laconicamente ridotto all’essenza e quindi facilmente memorizzabile, una specifica sintesi tra particolare e universale, esperienza e principio, descrizione e norma.
Si consideri il proverbio Shogi: «Scambio pedone di torre tre volte al bene concorre» (Hisha-saki kokan mittsu no toku ari). Il proverbio ha a che fare con un’apertura classica della categoria Static Rook: l’apertura a doppia ala (double wing). Il proverbio condensa in sé i vantaggi che uno sviluppo di questa apertura può comportare, ossia:
1. avere un pedone da paracadutare;
2. consentire ai propri pezzi la scalata verso le case di promozione;
3. consentire alla torre di influenzare direttamente le file nemiche.
Lo scambio va però operato con tutte le cautele del caso perché potrebbe rivelarsi una temibile lama a doppio taglio, sopratutto nel caso in cui le
diagonali dell’alfiere fossero aperte. Per ricordare questo particolare pericolo correlato a una variante della apertura a doppia ala esiste un altro proverbio che dice “Se prendi il pedone di lato, tre anni rimani dannato”: il proverbio illustra le nefaste conseguenze del “gambetto di pedone” che può tentare il giocatore che ha l’iniziativa.
O, ancora, si consideri il proverbio “Di generali Re ne vuole tre" (Gyoku no mamori wa ki-gin sanmai). Questo proverbio non rinvia tanto all'esigenza di avere un re contornato da tre generali. Nello Shogi, così come negli scacchi occidentali, la buona forma non è data da una mera giustapposizione di pezzi. Infatti la differenza tra un principiante e un giocatore con più esperienza è connotabile anche come una differenza di sguardo: l'esperto non vede solo distribuzioni di pezzi sullo shogiban ma ha una visione posizionale e quindi dotata di una certa capacità predittiva. La visione dell'esperto è progettuale. Avere una "buona forma" contornando il re con tre generali significa pertanto progettare un castello (Gakoi), ossia una struttura difensiva.
Castelli e immagini
A proposito di castelli, nello Shogi gli stessi nomi dei castelli incorporano già una specifica mnemotecnica, dato che istituiscono una corrispondenza uno-a-uno tra configurazioni dei koma e immagini, come possiamo illustrare coi seguenti esempi:
Lo Yagura (= la fortezza) è uno dei più robusti castelli per la tipolgia di gioco della dopia torre statica.
Il castello Mino è tipicamente adoperato in congiunzione a una torre dinamica.
Nel processo di costruzione di castelli vi sono fase intermedie che costituiscono esse stesse altri castelli. Lo Yagura (vedi sopra) ad esempio è uno sviluppo e un potenziamento del castello del granchio.
In sintesi, l’esercizio non-passivo della memoria sicuramente aiuta nel riconoscimento di pattern, di tecniche e di manovre strategiche. Tuttavia la memoria, da sola, non è sufficiente rispetto alla formazione del giocatore e all’affinamento del suo stile di gioco. Dovremmo piuttosto dire che il vantaggio dello studio mnemonico-analitico risiede nell’affinare l’«esprit de finesse» dello shogista, educando il suo sguardo a cogliere l’essenziale – l’essenza, l’astratto – in complesse e altrimenti indecifrabili distribuzioni di pezzi sulla scacchiera.