Ora: chiarisco subito che della storia antica degli scacchi non dico nulla. A parte il fatto che c'è già chi ne ha parlato a sufficienza, parliamo di un gioco che con pochissime modifiche alle regole ha attraversato secoli di storia del mondo: per dire, la prima partita di cui si abbia conoscenza delle mosse – mosse oggi, con l'evoluzione verso un gioco meno avventuroso e più posizionale, considerabili subottimali; ma certo del tutto lecite – è stata giocata a Valencia più di mezzo millennio fa (de Castellvi vs Vinyoles, 1475).
Beninteso, potrei star qui a fare un elenco dei grandi campioni, alcuni di loro diventati delle vere e proprie celebrità: Steinitz, Lasker, Nimzowitsch, Capablanca, Alechin; e poi i sovietici Botvinnik, Tal', Spasskij, Petrosyan; e poi il sorprendente Fisher, che a Reykjavik nel 1972 ha in parte riscritto la guerra fredda, in una fondamentale, per quanto breve parentesi prima del dinamico duo Karpov-Kasparov; e poi gli anni più recenti: Kramnik, Anand, Carlsen, l'astro nascente Gukesh D che tra poche settimane punterà al titolo mondiale. Senza dimenticare il mondo degli scacchi femminili – le sovietiche Gaprindashvili e Chiburdanidze prima, le cinesi Yifan e Wenjun poi, passando per le Polgár, le Cramling e le Ušenina – come giusto riconoscimento al talento di queste giocatrici (che, a scanso di equivoci: non sono tagliate fuori dai titoli che contano, che non sono "maschili", bensì open. La scelta di introdurre i tornei femminili potrebbe essere frutto anche solo della volontà di ampliare il numero di donne che intraprendono questa carriera, ma personalmente sono convinto che prima o poi arriverà una donna in grado di contendersi i titoli che contano, quelli assoluti).
Ancora, potrei parlarvi delle partite che hanno fatto la storia: l'immortale del 1845 giocato al Simpson's-in-the-strand, la sempreverde dell'Expo 1851, la pioggia delle monete d'oro che nel 1910 caratterizzò Levitskij-Marshall.
La verità è che questi elenchi, decontestualizzati, senza riferimenti, annoierebbero. Probabilmente l'hanno già fatto.
Trovo sia invece più utile fornire alcuni elementi, noti e meno noti, per capire un po' meglio gli scacchi e quello che ruota loro attorno, limitando al minimo gli accenni alle regole e parlando più a ruota libera di tutto quello che mi passa per la testa.
Con una precisazione: io, a scacchi, faccio cagare.
Il gioco in poche parole
Le regole degli scacchi sono semplicissime, tant'è che ha poco senso dilungarsi sul movimento dei pezzi – ortogonale la torre, diagonale l'alfiere, a elle il cavallo per la gioia degli enigmisti, quanto ce ne ha voglia la regina, a passettini brevi ma decisi il re tranne quando decide saggiamente di arroccare – e dei pedoni – movimento in avanti, mangiata in diagonale, con annesse le regole speciali della promozione all'ultima traversa e della presa en passant.
Conoscere questi concetti è il primo livello, di immediato raggiungimento, quello con cui potete giocare dopo cena con il vostro pargolo. Il secondo livello è quello dei princìpi che regolano il gioco, pochi ed estremamente importanti, dal controllo del centro alla struttura pedonale. Qui bisogna davvero cominciare a conoscere la scacchiera (a volte riconoscete quelli che la tengono solo per arredamento dal fatto che la casa in basso a destra è nera; oppure che i due re non stanno nella stessa traversa) e capire come funzionano le coordinate e la notazione delle partite.
(Forse è di troppo, in questa sede: ma sulla notazione varrebbe la pena spenderci due parole, perché può essere utile magari per seguire qualche partita. Se la conoscete, saltate pure questa fastidiosa parentesi. Si tratta di un sistema tutto sommato semplice: per esempio 1.d4 d5 indica un'apertura in cui entrambi i giocatori, partendo dal bianco, muovono di due case il loro pedone davanti alla donna; mentre 14. Nxb3! indica che il bianco, alla quattordicesima mossa, ha fatto una mossa notevole [da cui il punto esclamativo, che sia assegnato da un osservatore o da un motore scacchistico] mangiando in b3 con il suo cavallo [kNight], magari approfittando di una mossa discutibile dell'alfiere nero che poco prima si è messo stupidamente in presa: che so, 13. ...Bb3?? Insomma, studiatevela, se vi va, ché è semplice e molto interessante.)
Imparare questi principi, uniti ad altri concetti di grande importanza – il valore dei pezzi e la convenienza o meno di uno scambio, lo studio delle debolezze dell'avversario, la coppia degli alfieri che solo in due riescono a coprire tutta la scacchiera, lo sviluppo rapido per arrivare in vantaggio nel mediogioco, la gestione dei finali – tutto sommato non è difficile. Quello che è davvero, davvero complesso è mettere in pratica tutto ciò.
Prima di fare il passo ulteriore, però, devo dirvi un altro paio di altre cose.
Elo e le storie tese
Un po' come avviene nel tennis,
ogni giocatore ha un punteggio che ne indica la forza e si ottiene con un po' di matematica complessa che si basa su un criterio tutto sommato semplice: battere uno più debole di te ti dà meno punti dello sconfiggere uno che di te è più forte; e viceversa con le sconfitte. Esiste un punteggio diciamo "da torneo", che dice che a mille sei un bravo giocatore, a duemila sei un semidio e nei pressi del tremila sei nostro signore dei pezzi Staunton: si tratta di un punteggio che va coltivato soprattutto nei tornei, a cui suggerisco di prendere parte, se si vuole davvero imparare (cosa che, prima o poi, dovrei davvero mettermi a fare).
A latere c'è il punteggio delle app tipo
chess.com o
lichess, che utilizza un principio simile ma non è del tutto paragonabile, se non altro perché ottenuto in ben altri contesti, decisamente meno ufficiali, in cui è facile, a volte inevitabile giocare dieci, venti partite una di seguito all'altra.
Ecco. Parliamo di questo punteggio. Io, nonostante giochi da parecchi anni e mi ci sia messo più volte con buone intenzioni, non riesco a sfondare il muro dei settecento. Che, beninteso, è un punteggio meno che mediocre: probabilmente tutti noi conosciamo persone che sono ben oltre i mille; e probabilmente abbiamo visto di sfuggita qualche video di gente più o meno famosa che invece si è messa in testa di arrivare ai duemila – per esempio Montemagno, per citarne uno particolarmente attivo in tal senso su YouTube.
Il primo obiettivo a quattro cifre, quello dei mille, è in realtà ampiamente alla portata di chi si è fermato al livello di cui sopra: conosce i principi, sa metterli in pratica e soprattutto, soprattutto!, non fa cazzate. Perché, per esperienza personale, il sottobosco umano che sta tra i seicento e i mille non è un faggeto con le foglie ingiallite per terra e i funghi e le castagne: è una giungla tropicale asfissiante di gente più o meno improbabile che a volte prova a incularti in poche mosse (e ci riescono, almeno fino a quando non imparate a rispondere bene a 1. e4 e5 2. Dh5), a volte se ne frega di tutto e muove la donna e solo la donna nemmeno fosse Rambo in Vietnam, talvolta si ritrova in vantaggio abissale e poi non sa vincere le partite – categoria della quale sono un campione, va detto – oppure si accartoccia da solo lanciando attacchi confusi come quelli di Cadorna contro le linee sull'Isonzo e alla fine si ingabola da solo costringendo l'avversario in una odiosa di condizione di stallo, situazione che genera un pareggio nella partita e un malore a uno dei santi.
Soprattutto, questa giungla è una bolgia di gente che fa cazzate, che prima o poi una mossa sbagliata la indovina e quindi, paradossalmente, ti costringe a non rispettare uno dei... cavalli da battaglia del gioco degli scacchi, quello della sportività, del ritirarsi riconoscendo la superiorità dell'avversario. Perché beninteso: se giocassi contro uno che è più bravo e mi accorgessi di non avere speranze, gli darei la mano e basta così; ma contro certa gente non ti ritiri: vai avanti a oltranza, perché magari una partita persa la recuperi quando lui ti offre una gigantesca forchetta re-torre; oppure, a ruoli invertiti, sei tu quello che riversa in attacco tutto il suo arsenale e per poi pagare amaramente l'aver trascurato la difesa del re (un mancato arrocco corto, un arrocco lungo senza successivo spostamento verso la seconda travesra, un tremendo matto del corridoio trovato dalla torre avversaria lanciata in avanti come Bale contro il Barcellona nella coppa del re).
Una giungla, appunto.
Di inchiodature e di inchiodati
Uscire da questa giungla richiede due cose: da una parte, banalmente, sapere quello che c'è da sapere; dall'altra, lo ripeto ancora una volta, non fare errori: giocare semplice, sviluppare i pezzi, difendere il re, controllare il centro, prevedere attacchi e scacchi avversari, sfruttare a proprio vantaggio qualche tattica (una forchetta, un'infilata, un doppio attacco). Non è semplice, tutt'altro: ne nascerà quasi sicuramente uno stato di frustrazione, perché in un secondo si perdono partite dominate; e se ne giocherà subito un'altra, perdendo pure quella; e così via, per decine e decine di partite, fino a rovinarvi l'umore per il resto della giornata.
Se i video
Youtube di cui sopra possono insegnare qualcosa (e non parlo di quelli che ti insegnano a vincere in dieci minuti, che sono buoni solo per chi li crea, bensì per esempio gli approfondimenti con i maestri di scacchi, che sono preziosissimi) è quello di limitare le partite, cinque-sei al giorno, e invece
investire tanto, tanto tempo nei problemi, che sono fondamentali. Tipo quelli sulla
settimana enigmistica, per capirci.
Si tratta di posizioni più o meno raggiungibili in partita, ma sempre lecite, che vanno risolte generalmente in due o tre tempi ("il bianco muove e matta in due mosse", avete presente?) e aiutano ad allenare il ragionamento e, prima ancora, il colpo d'occhio. Sia chiaro: sto dando consigli su robe che io per primo non sto facendo, perché sono un cretino e infatti non solo da questa giungla non riesco a uscirci, ma attualmente languo nella palude dei seicento scarsi, ed è giusto così.
Un appunto: disattivate la possibilità di ricevere messaggi. Perché quando siete appena svegli, un indiano vi batte e in chat vi manda un sorrisino ebete di scherno, ecco: la tentazione è quella di abbattergli tutte dieci le incarnazioni di Visnù a suon di moccoli.
Il re non si diverte
Quanto detto finora andrà bene fino a un certo punto. Dopo di che, inevitabilmente, si deve studiare. Finora non ho ancora parlato di aperture, né di difese; ma è indubbio che esse, prima o poi, debbano fare parte del bagaglio tecnico di uno che quantomeno vuol provare a capirci qualcosa, degli scacchi.
Ma prima di tutto: cosa sono? Si può sintetizzare dicendo che si tratta di una sequenza di mosse che, garantendo il rispetto dei principi di cui sopra, impostano in un certo modo la partita. Ogni mossa dovrebbe generare una risposta unica, migliore delle altre, che dipende dalla conoscenza teorica dell'avversario. In linea teorica, una partita tra due giocatori "perfetti" dovrebbe sempre risolversi in un patta. A un livello molto più terra-terra, tipo il mio, la conoscenza di queste sequenze è estremamente marginale, limitata a poche di esse e a pochissime mosse dopo le prime: quello che succede è che ben presto uno dei due giocatori diverge dal percorso ottimale e da lì, ben presto, si entra in territori inesplorati dove, sostanzialmente, il primo che fa la cazzata grossa perde.
(Su tale "percorso teorico", valutato dai motori scacchistici, si basa per esempio il punteggio che vedete accompagnare ogni mossa se giocate tipo da computer: se vedete abbassarsi clamorosamente la barra del vostro colore è probabile che abbiate appena fatto quella che, per la teoria, è una cazzata da doppio punto interrogativo. A livello numerico, giusto per, si parla di una sorta di quantificazione dei vari vantaggi in termini di pedone-equivalente: per esempio una valutazione di -0,24 indica che, in un certo momento, il nero è in vantaggio virtuale di un quarto di pedone.)
Più nel dettaglio, le aperture possono essere divise in partite e difese. Le prime si hanno quando a imporre la struttura della partita è il bianco, che ha il vantaggio del tempo e che ha il dovere morale di vincere; le difese invece sono determinate dal nero. Basta una singola mossa per generare un catalogo pressoché sterminato di strutture, che si dirama poi in un albero di varianti più o meno giocate che prendono il nome da chi le ha rese celebri, o dal luogo in cui si sono viste per la prima volta.
Giusto a titolo di esempio, un'apertura del bianco estremamente giocata, l'avanzata del pedone di re 1. e4 (le mosse identificate solo da una casa sono sempre di pedone), lascia tutto sommato campo libero al nero per decidere se rispondere 1. ...e5, restituendo la possibilità al bianco di decidere lui la struttura (per esempio, che so, muovendo il cavallo a difesa del pedone – 2. Nc3 – ed entrando così nelle partite viennesi); oppure essere lui a entrare in territori familiari: per esempio 1. ...c5 porta a tutto quel gran calderone che sono le difese siciliane con le loro strutture asimmetriche.
Casa dolce casa
Beninteso: ogni partita, ogni difesa ha talmente tanti ramificazioni che esistono libri e libri che analizzano dettagliatamente anche solo una singola loro configurazione. Qui sta lo studio: si fa presto a dire "gambetto di donna", specie se si è vista la serie con Anya Taylor-Joy: ma
riuscire a gestire ogni possibile ramificazione di un'apertura tutto sommato semplice come
1. d4 d5 2. c4 è roba da supereroi.
Che serve dunque per arrivare, che so, a un Elo tutto sommato discreto come i mille punti? In realtà è sufficiente un bagagliaio anche solo di un'apertura di bianco e di una difesa di nero, con una conoscenza un pelo approfondita, in modo da poter affrontare una partita da entrambi i lati della scacchiera, limitando quanto più possibile lo spazio lasciato a errori sanguinosi. Esistono aperture molto efficaci, in tal senso, soprattutto perché si adattano sostanzialmente bene a quasi tutte le risposte "sensate" dell'avversario. Un esempio classico è il sistema di Londra (sistema proprio per il motivo appena enunciato, la sua versatilità), tanto utile ai bassi livelli quanto forse poco efficace tra i veri esperti del gioco (fino ad arrivare ai grandi maestri: lo sapevate che le categorie sono codificate, sì?). Tipo: dopo 1. d4 d5 segue il movimento dell'alfiere camposcuro (2. Bf4) – sviluppo di un pezzo, controllo del centro, preparazione dell'arrocco tutto in una mossa – e poi via pedalare.
Il gioco più attuale che ci sia
Per quanto ingessato possa sembrare, il mondo degli scacchi è più vivo che mai, anche sui social. La grande scena internazionale ruota ovviamente intorno al titolo mondiale, che normalmente viene assegnato ogni due o tre anni quando il campione in carica affronta lo sfidante, che è diventato tale vincendo il prestigiosissimo torneo dei candidati (un paragone velico è quello di America's Cup e Louis Vuitton Cup). Attualmente il detentore è il cinese Ding Liren, bravo ad approfittare della rinuncia al titolo di un ormai poco motivato Carlsen – probabilmente il più forte scacchista di sempre, anche se la cosa è questionabile, come sempre quando si entra in discorsi che mettono insieme epoche, contesti e avversari differenti –, mentre lo sfidante è il già citato Gukesh.
(Apro una parentesi per quelli convinti che una partita di scacchi possa durare giorni. Non è così. Gli scacchi sono un gioco a tempo – avrete sicuramente presente quegli orologi a due quadranti, che a seconda del formato del torneo permette di aggiungere secondi al tempo al termine di ogni mossa: si tratta dell'orologio Fischer, introdotto proprio dal campione statunitense – e come tale ha diverse vesti, ciascuna con il proprio calendario torneistico. Ma se le partite
rapid – tra i dieci e i sessanta minuti a giocatore - e
blitz – sotto ai dieci minuti – sono materiale per lo più, ma non esclusivamente [anzi!, hanno i loro tornei e assegnano il loro titolo mondiale] da competizioni
online, è il tempo
standard, o classico, a rendere davvero gli scacchi quello che sono. Solo per fare un esempio, il campionato del mondo si disputerà al meglio delle quattordici partite
standard con centoventi minuti a giocatore per le prime quaranta mosse, trenta minuti per il resto della partita e un incremento di trenta secondi per ogni mossa oltre la quarantesima. Dunque partite lunghe, sì; ma a creare quella sensazione da durata infinita è appunto il fatto che i titoli non si assegnano in partita secca; bensì in una serie più o meno lunga di patte – i mezzi punti – interrotte da una manciata di vittorie pesantissime, specie se ottenute col nero – che, non avendo il vantaggio del tratto, tendenzialmente gioca per impedire al bianco di vincere, un po' come nelle serie
Netflix.)
Oltre a questi due grossi, grossissimi eventi esiste un numero sconfinato di tornei grandi e piccoli, più o meno esclusivi quanto a partecipanti, più o meno ricchi quanto a montepremi. Tra quelli più importanti – se fossimo nel tennis si potrebbe parlare quasi di tornei dello slam – figurano il torneo di Wijk aan Zee nei Paesi Bassi (noto anche come Tata Steel per questioni di sponsor; si gioca a gennaio) e quello primaverile di Stavanger, in Norvegia; mentre è declinata la stella del torneo spagnolo di Linares, che veniva denominato "la Wimbledon degli scacchi". Di importanza paragonabile anche alcuni circuiti come per esempio il Grand Chess Tour. Qualora foste incuriositi, pagine Youtube come quella di chess.com seguono – anche in italiano – questi tornei con lunghissime live, molto istruttive anche se un po' legnose nei ragionamenti in tempo reale, che richiedono una certa dimestichezza soprattutto col sistema di notazione.
(Per mera completezza ci sono poi le olimpiadi, che sono un evento molto particolare, giocato a squadre, e che nel 2024 hanno visto trionfare in entrambe le categorie – open e femminile – la fortissima delegazione indiana.)
Fuori dal mondo dei maestri, rimane una pletora di tornei più o meno accessibili e un esercito di giocatori e content creator più o meno forti, spesso molto attivi sui social, a prescindere dal fatto che il loro obiettivo sia diventare grande maestro oppure semplice intrattenimento. Se siete interessati ci metterete poco a trovare quelli che fanno per voi.
Tutto questo per dire che?
Spesso gli scacchi sono citati in vari articoli come archetipo del gioco astratto, dell'informazione completa, dell'ambientazione pretestuosa, dell'easy-to-learn-hard-to-master: in un certo senso sono il German perfetto.
La realtà è un po' diversa. Prima di tutto, come detto,
si tratta di uno sport, che richiede allenamento costante e che vede una parabola evidente nelle carriere dei giocatori migliori; in secondo luogo perché richiede una quantità di studio, di prove, di analisi che non ha eguali in quella di nessun gioco da tavolo, fosse anche il più complesso dei titoli di civilizzazione.
Credo risulti impossibile negare il fascino di tutto questo, di come questa manciata di pezzi neri e bianchi di varie forme e fogge – quella dei tornei importanti, ennesimo inciso, è dovuta a Howard Staunton, inglese, campione del mondo de facto quando il tutto non era ancora istituzionalizzato – abbia a suo modo avuto un ruolo, per quanto piccolo, nella storia del mondo dell'evoluzione tecnologica, dalla citata Reykjavik 1972 alle sfide tra Kasparov e Deep Blue, grazie a nomi leggendari, a partite entrate nella memoria collettiva e – perché no? – anche a faide tra federazioni come spesso accade anche negli altri sport di lotta.
Mi sono messo in testa da mesi di migliorare, studiando un po' (attualmente sto... provando a leggere Il mio sistema di Aaron Nimzowitsch, personaggio emblematico degli scacchi per temperamento e prese di posizione. Dico "provando" perché ogni pagina richiederebbe riprodurre su una scacchiera la posizione indicata nei diagrammi e di ragionarci su parecchio: non è una lettura da amaca, ecco), cercando di applicare bene i principi del gioco, provando – di nuovo – a evitare errori prima di buttarmi in avventurose sortite teoriche.
Non è facile; e forse è la mia indole American a rendermi ancora più complesse le cose: chi ha giocato con me lo sa, io sono l'anti-paralisi da analisi. Gioco a istinto, spesso senza ragionare oltre a una o due mosse. Per Nemesis va benissimo, per Puerto Rico ci può stare, negli scacchi non vai lontano. Nemmeno un po'. Rimani a languire in mezzo a quelli che ancora cercano di fregarti col matto del barbiere finanche a dubitare di quanto tu abbia fatto e conseguito nella vita.
Ma quanto è bello, dopo dieci partite di bestemmie consecutive, mettere il dito sulla donna e trascinarla in quella casa tenuta d'occhio dal tuo fedele alfiere proprio di fronte al re avversario e dare un matto col più classico dei baci della morte? Quanto cazzo è bello?