Bellissima recensione dalla quale si apprezza la passione e la soddisfazione per questo gioco. Io l'ho preso ma non ho ancora avuto il coraggio di cimentarmi...ora magari ho uno stimolo in più, grazie.
È chiaro che i primi coloni nello spazio saranno persone entusiaste: irrequieti, curiosi, indipendenti, molto probabilmente più ostinati e posseduti da più "malcontento creativo" rispetto ai loro parenti nel Vecchio Mondo. (The High Frontier: Human Colonies in Space, Gerard K. O'Neill)
Gan Eden
Possiamo osservare tre modalità ludiche: nell’ambito educativo il gioco, soprattutto per i più giovani, è considerato una necessità ed un potente strumento di crescita; un secondo ambito, presente anche nell’antichità, ma oggi fortemente potenziato dalla cultura capitalistico-consumistica, è quello che si esprime soprattutto come competizione, con dinamiche individualistiche più che gruppali ed ideali: qui troviamo il gioco d’azzardo, gli sport professionistici ma anche i giochi da tavolo quando l’esperienza di gioco passa in secondo piano a favore del possesso, del collezionismo; infine, come ben detto da Cambi, un ambito in cui “il gioco ed il giocare servono a vivere le instabilità, la leggerezza, le ambiguità […] Un gioco ben fatto offre verità e le nega, costruisce alleanze e le sgrètola, affina cooperazioni ed accetta tradimenti, offre momenti di piacere e fa spuntare il dolore, diventa il luogo del disimpegno ma, allo stesso tempo, richiede sforzo, disciplina, regola”. Con quest’ultima definizione siamo molto vicini a ciò che noi consideriamo più una modalità lavorativa, se non fosse che in questa il disimpegno, il tradimento ed il dolore sono eventi disfunzionali, di rottura, talora traumatici. Perché nel lavoro si fa sul serio, per davvero, è reale, mentre il gioco è finzione, simulazione. Il gioco abita il tempo libero, perché l’altro tempo, la maggior parte, è prigioniero delle necessità. I rapporti sociali oscillano ora di qua ora di là in questa polarità.
E se, per ipotesi, questa polarità si basasse su di un presupposto erroneo? Se la vita, in generale, non fosse così reale come immaginiamo? Cosa ne sarebbe, a cascata, di tutto l’assetto che da questa credenza discende? Se né il lavoro né il gioco, di conseguenza, fossero reali? Se la differenza fosse solo nel grado di approssimazione al reale che permettono?
La questione è complessa: partiamo dal postulato che tutta la nostra vita sia, in realtà, una simulazione, che viviamo nel sembiante, nell’approssimazione. Perché il Reale è separato ed inattingibile. E gli altri animali sono molto più lontani di noi, vivendo in un’approssimazione ancora più imprecisa e, soprattutto, limitata dagli istinti. “Questo è il mondo che tu conosci e che ora esiste solo in quanto parte di una neuro-simulazione interattiva che noi chiamiamo Matrix” dice Morpheus a Neo. La differenza con il film, le filosofie gnostiche, la promessa paolina (tunc autem [videbimus] facie ad faciem) e con la paccottiglia new age è che non è possibile uscire. Quello che si può fare è approssimarsi, senza mai raggiungere il Reale dell’Universo Mondo (con le scienze), di Se Stessi (con la psicoanalisi). Quando la tecnologia permetterà a tutti di non dover sudare per il pane ecco che tutto sarà soprattutto o soltanto gioco. Per alcuni è quasi già così oggi perché fanno un lavoro (cioè un insieme di regole, operazioni che servono a raggiungere un certo obiettivo, condizioni di successo/vittoria) che li appassiona e che svolgono con letizia. Cioè giocano. Che poi è la risposta a: ma perché quel tale che potrebbe campare di rendita continua ad affannarsi in tal lavoro e addirittura si cimenta in nuovi progetti? Perché sta giocando. Questo diventa evidente nel caso degli artisti nei quali la dimensione giocosa e quella lavorativa coincidono – anzi può capitare che preferiscano la propria arte alla dimensione sostentativa, cioè che siano spinti dal proprio demone a giocare senza andare incontro alle richieste del mercato. Ma finché la maggior parte degli esseri umani dovrà lavorare per vivere – e spesso vivere per un lavoro che non piace – rimarrà la linea immaginaria di demarcazione tra gioco e lavoro. E chi gioca dovrà sorbirsi la comprensibile ironia di parenti ed amici che faticano da mane a sera. Anche se si tratta di giochi complessissimi ed importanti come il Giuoco delle perle di vetro (ricordiamo che il Magister Ludi che guida il gioco ha anche funzioni pubbliche) oppure come la Lotteria a Babilonia, gioco praticamente indistinguibile dalla realtà.
Come tutti gli uomini di Babilonia, sono stato procònsole; come tutti schiavo; anche ho
conosciuto l’onnipotenza, l’obbrobrio, il carcere. (J.L. Borges)
È per questo che gioco ad High Frontier 4 all: sfido chiunque a dire che non sia un lavoro per quanto è serio e faticoso! Scherzo, ma loro non lo sanno… Per studiarlo ci ho messo un paio di mesi – ma io sono lento per carità. L’ultima partita è durata 9 ore, con una pausa pranzo di 15 minuti e sono stato quasi tutto il tempo in piedi. Nell’altro mio lavoro, mi prendo una pausa pranzo simile, ma sto seduto quasi tutto il tempo. Però ci ho messo 10 anni per studiare il regolamento e qualche anno ancora per imparare a giocarlo bene; certo, il mio lavoro di psicoanalista è una simulazione molto più accurata. L’autore di High Frontier, Phil Eklund, cresciuto negli USA, è un ingegnere aerospaziale che ha lavorato per una delle più grandi compagnie aerospaziali del suo paese. Quando ha mandato i suoi razzi di lavoro nello spazio l’ha fatto certamente ad un livello di approssimazione molto più elevato che non con il suo gioco.
Ma noi che non siamo ingegneri aerospaziali e ci dobbiamo accontentare di un livello simulativo più basso che cosa possiamo fare con HF4? Se dicessi che puoi fare aste; costruire e gestire la tua mano di carte; pianificare e muoverti attraverso percorsi; pick-up and delivery; aumentare le tue abilità; tutto questo sarebbe tanta roba ma non direbbe niente di quello che è l’esperienza con HF4 e che chi si cimenta cerca. Per esempio, giorni fa sono riuscito, nel giro di qualche anno, a costruire un razzo non molto efficiente, ma quanto bastava per raggiungere un sito così grande da essere praticamente certo di trovarvi risorse e quindi industrializzare per la produzione extraterrestre. Questo è, di solito, il primo passo che farai se vorrai lasciare il nostro amato pianeta Terra. Il nostro bellissimo pianeta blu. Che visto da lontano mentre lo lasci per cercare fortuna nel freddo e buio spazio fa accartocciare il cuore per quanto è bello, per quanto è casa. Che diavolo, lì mi aspettano mia moglie e mio figlio. Se avrò fortuna li porterò con me, prima o poi. Chissà, forse riuscirò a costruire un Bernal, una stazione orbitante, e farò vedere a mio figlio quant’è bella la Terra, che ti si accartoccia il cuore a vederla tutta insieme da lassù. Va bene, coraggio, partiamo.
Ed è con il cuore accartocciato ma pieno di speranza che sono arrivato sull’asteroide della fascia principale chiamato Igea Borbonica, scoperto da italiani nel lontano 1849, dall’osservatorio di Capodimonte a Napoli, che oggi è la splendida ed avveniristica capitale degli Stati Federati del Mediterraneo. Poi la tragedia: vado a prospettare per vedere se ci fossero risorse ed incredibilmente Igea è solo un grandissimo sasso inutile lontano dal blu. Sono rimasto così, come un sasso anch’io. Avevo voglia di piangere su questo sasso di merda, ma ero troppo furioso per le lacrime. A pugni serràti, una lama nel petto, ho volto gli occhi al cielo-nero-spazio-lontano, ancora un po’ e sarebbe stata visibile casa mia, la casa di tutti. Ho visto il blu, mi sono aggrappato a quelle gocce di speranza, al sorriso di mio figlio, alla carezza ultima di mia moglie. Ho estratto un po’ di propellente da quel sasso di merda mentre compulsavo le mappe del sistema solare, controllavo i brevetti a mia disposizione e cercavo di inventarmi una nuova speranza, un altro sasso nel buio lontano dal blu. Mentre spremevo quel sasso di merda l’occhio mi cade su un altro asteroide, classe spettrale M, molto appetibile. Potrei trovarci metalli, ma è un po’ piccolo, rischio un altro buco nell’acqua. Mi viene sete, bevo. Mi siedo, tiro un sospirone e mi metto con l’antica passione a fare due calcoli: in un paio d’anni dovrei farcela, siamo nel periodo dei pericolosi brillamenti solari ma ho una discreta schermatura e sono abbastanza distante dal Sole. Qualche rischio, comunque, devo correrlo se non voglio restare troppo indietro alle altre compagnie spaziali. Cerco sul mercato un brevetto per un buggy robonauta, che aumenta sensibilmente le probabilità di trovare risorse. Non c’è, però ce n’è uno in mano alla concorrenza; contrattiamo, mi sveno, ma non posso permettermi di sbagliare ancora. Lascio il sasso di merda con un pezzo di cuore e d’orgoglio; la speranza, quella avanzata, la porto con me, accanto all’ultima foto di famiglia. Che belli che siamo, lì, sul blu.
3…2…1… DECOLLO!
Rotta verso Hertha, nome della dea norrena della fertilità.
E fu l’inizio di una splendida avventura che mi portò a costruire la mia prima fabbrica extraterrestre, poi vennero quelle su Ganimede e Callisto. Tornai a casa dopo 6 anni, per un abbraccio lunghissimo nel blu; per il suo diciottesimo compleanno portai mio figlio sul nostro Bernal ancorato nel punto orbitale di stabilità lagrangiano Terra-Sole L2 che mi aveva permesso di raggiungere facilmente e prosperare nella zona gioviana con industrie che producevano manufatti avanzatissimi grazie alla microgravità, tanto da potermi permettere di costruire una seconda stazione spaziale, una Standford, ancorata in orbita intorno a Callisto.
Voci di Terra lontana (A.C. Clarke)
Qualche tempo fa un detrattore sosteneva che non si va nello spazio per costruire cose, che è una fesseria del gioco. Nel magico mondo dei giochi da tavolo puoi incontrare di tutto e proprio nel mio gruppo di HF4, la RASA (Rome Aeronautics and Space Administration), c’è un ingegnere aerospaziale che lavora all’Agenzia Spaziale Italiana e gli ho sottoposto la questione. La sua risposta è stata, ovviamente: assolutamente sì! Per esempio, la prossima colonizzazione lunare servirà ad arrivare su Marte, costruendo in loco, grazie alla minore gravità, oggetti grandi e pesanti che potranno da lì decollare molto più agevolmente verso il pianeta rosso. Il tutto utilizzando grandi stampanti 3d – concetto già presente ed utilizzato in HF4.
È chiaro che ti deve affascinare il tema, l’esplorazione spaziale. Beninteso, io non ci andrei mai nello spazio con le tecnologie attuali, preferisco andare per mare. Però è innegabile che sia l’ultima vera frontiera, oggi il simbolo più autentico del perenne slancio umano verso l’ignoto, la possibilità di incontrare ambienti ed esseri che nemmeno riusciamo ad immaginarci. Prima o poi, sarà anche una necessità dell’umanità. Proprio per il suo fascino il tema spazio è utilizzato in molti giochi. Qual è lo specifico di HF4? In primis, lo stiamo dicendo, il livello altissimo di simulazione: tutte le tecnologie presenti nei brevetti e nelle meccaniche di gioco sono già esistenti o futuribili e nell’appendice potete trovare i riferimenti bibliografici. L’attenzione alla simulazione è tale che nella fascia principale degli asteroidi c’è un bel sassone di classe M, Lutetia, che sulla mappa ha anche un percorso evidenziato perché promettente. Peccato che qualche anno fa la sonda Rosetta in un passaggio ravvicinato abbia scoperto che la sua idratazione – caratteristica centrale nelle attività di prospezione ed estrazione di propellente – fosse di molto inferiore a quella stimata. Niente panico, il nostro Phil ha laconicamente aggiunto una piccola tessera nel Modulo 3 da sovrapporre al tabellone – mentre il meraviglioso playmat in neoprene è già aggiornato. Lutetia è diventato così un sito meno ambìto, come ce ne sono altri che non vengono quasi mai visitati o comunque molto di meno. Datevi pace: il sistema solare non è bilanciato. Dove, forse, si poteva intervenire per bilanciare era sulle abilità di fazione, che non sembrano tutte essere egualmente allettanti ma, in fin dei conti, è solo una delle tante variabili da tenere presenti – e non così impattante – quando ti costruisci la tua epopea spaziale.
Per il resto, avrete capito, c’è una tale profondità strategica che dire quanto pesi un elemento o tal altro diventa arduo mentre cerchi di trovare il tuo percorso nel sistema solare. Rappresentato in maniera magnifica tramite un lavoro che ha impegnato l’autore per lunghi anni: la mappa del sistema solare che vedete non è una mera rappresentazione spaziale, bensì è una mappa spazio-temporale, per meglio dire delle rotte e dei Dv (variazione impulsiva di velocità) necessari per muoversi sfruttando i campi gravitazionali dei corpi celesti, le fionde gravitazionali, i punti di oscillazione di Lagrange, i trasferimenti alla Hoffman. Ca-po-la-vo-ro! Se restate affascinati da questa immagine non esitate a prendere il gioco; se non vi dice nulla o, addirittura, la trovate inutilmente complicata lasciate perdere. Io ne sono rimasto così affascinato che volevo prenderne un’altra da appendere in casa – e mia moglie era anche d’accordo, a patto che lo affiggessi nel casotto e che io ci andassi a dormire… ma nel casotto sarei stato d’intralcio ai gatti che cacciano i topi, allora ho desistito.
Qui, molto velocemente, dobbiamo fare un volo radente sui concetti di complicatezza e complessità, perché hanno a che fare con il livello simulativo: complicato è come una strada piena di curve e complanari, ci metti tanto ma per andare da A a B la strada è più o meno quella. Come un gioco con un regolamento molto corposo – che può al contempo non essere complesso perché, magari, ha poche linee strategiche. Per complesso, invece, immaginiamo reti che collegano diversi punti o, per dire meglio, agenti. In questo caso le strade diventano molte e, soprattutto se gli agenti hanno diversi stati possibili, i percorsi diventano pluridimensionali e la profondità strategica esplode. Più è alto il livello di simulazione, maggiore sarà la complessità – perché la realtà è complessa. Ma non pensiate che per giocare ad HF4 serva fare calcoli difficili o sciogliere astratte formule matematiche: il colpo di genio è stato rendere tutta questa complessità facile, direi, quasi immediata. E tremendamente divertente. HF4 è un gioco complesso con un regolamento complicato, per niente oscuro anche grazie al continuo sforzo degli autori, che, per mezzo delle living rules, lo aggiornano costantemente sulla base dei feedback della comunità dei giocatori. Dal 2021, anno in cui sono cambiate un paio di importanti regolette, che sono incluse nelle ultime ristampe, si è trattato al momento solo di piccole correzioni e chiarificazioni. Considerando che l’antenato di High Frontier (la cui prima edizione è di 20 anni fa) veniva concepito in modo embrionale carta e matita quasi quarant’anni fa, pubblicato come Rocket Flight nel 1992, è ammirevole lo sforzo dell’autore che continua a studiare e modellare la sua creatura – quando ci sono giochi che hanno meno anni con errori segnalati e conosciuti che non correggono e magari ne aggiungono altri con le nuove ristampe. Quest’ultima edizione si chiama “4 all” nel senso che è la quarta ma soprattutto indica che è “per tutti”, scopo perseguito attraverso lo spacchettamento del gioco in moduli, bella furbata. Nel “core game” ci sono anche due modalità semplificate, una che permette di familiarizzare sostanzialmente con la mappa, l’altra con buona parte delle regole base; il modulo 1 aggiunge razzi più potenti e astronavi cargo, il modulo 2 stazioni orbitanti e coloni. Non chiamiamole espansioni perché sono proprio moduli che vanno aggiunti uno dopo l’altro per giungere al gioco completo. Noi della RASA ci siamo arrivati dopo 4-5 partite (il che vuol dire alcuni mesi, visto che riusciamo a fare circa una partita al mese). C’è poi il modulo 3 che introduce la guerra, il quarto in arrivo nel ’23 che presenta dei contratti ed ha la funzione di legarsi ad Interstellar (gioco stand alone sempre in uscita nel ‘23) che racconta la migrazione dell’umanità fuori dal sistema solare e, per il momento solo nella testa dell’autore, altri due moduli, uno prettamente economico e l’altro di eventi. Dopo Interstellar è stato annunciato Arrival che dovrebbe, a naso, avere a che fare con l’arrivo su altri mondi.
Politica, strategia, tattica (Carl von Clausewitz)
Gli USA sono andati sulla Luna per fare prima dei sovietici, all’interno del complesso scenario politico di guerra fredda del secolo scorso. Adesso, ci andremo di nuovo per fare prima dei cinesi ad arrivare su Marte. Avere il primato nello spazio, con le sue risorse praticamente illimitate, vorrà dire avere un predominio economico, militare, politico: su un singolo asteroide ci sono minerali facilmente estraibili – ed utilizzabili grazie alla microgravità – in quantità anche decine di volte maggiore che su tutto il pianeta Terra. Se vuoi giocare alla corsa spaziale, aggiungere un modulo politica permette un’ulteriore accuratezza simulativa (modulo 0 compreso nel "core game"). Questo atteggiamento di schietta simulazione è valso ad Eklund qualche attacco, una paccottiglia di giudizi ed atteggiamenti che sono di solito espressione di ignoranza o, peggio, di un malcelato desiderio di autoritarismo, cioè di eliminare la complessità della realtà per imporre una propria visione riduttiva e, falsamente, pacificante. Quando Eklund nei suoi giochi affronta tematiche storico-politiche si avvale di trattàti, articoli scientifici, comunicazioni che puntualmente cita, che quasi sempre rappresentano il pensiero più consolidato della comunità scientifica di riferimento per quel tema. Può non piacere che il mondo sia fatto così come lo descrive, ma, di solito, ne fornisce, in termini ludici, la migliore rappresentazione. Qualche giorno fa un ragazzo che si avvicinava alla serie BIOS mi ha chiesto, un po’ risentito o forse solo dubbioso, se io non provassi fastidio per la visione del mondo dell’autore.
Gli ho risposto che mi danno fastidio molte cose del mondo in cui viviamo (che, però, è migliore, almeno dalle nostre parti, tutto sommato, di ogni mondo del passato) e che l’autore si limita a fotografarlo: per esempio, in HF4 l’agenzia spaziale cinese ha come abilità di fazione la possibilità di commettere crimini, come assassinare un suo proprio colono per un tornaconto tattico-strategico. Qualche mese fa ho parlato lungamente con Eklund nell’occasione del mio studio di Bios Origins, gioco che riguarda la coscienza umana e la sua evoluzione nella cultura. C’era un elemento del gioco, l’arte, che non riuscivo a collocare: (senza entrare nel dettaglio, magari vi ammorberò nello specifico dopo che ci avrò giocato) non capivo in che modo lui la mettesse in opposizione alla religione. Siamo arrivati al burrone che separa le nostre visioni quando ho affermato che il libero mercato non solo non è una legge universale ed eterna (come nessun complesso fenomeno psicosociale può essere) ma, per giunta, non può funzionare da solo, quindi non è assolutamente libero, in quanto richiede una qualche entità regolatrice, la Mano (entità immaginaria che gli economisti hanno inventato per rendere coerente il modello) o (più realisticamente) lo Stato. Poi nel gioco l’arte funziona più o meno come dovrebbe anche secondo il mio punto di vista e, per il resto, ha sottolineato alcuni fattori nello sviluppo della coscienza che solo gli addetti ai lavori più competenti conoscono.
Mi ha divertito ed innervosito molto l’accusa di “suprematismo” perché nei suoi giochi molte vicende dolorose hanno come causa fattori economici. Innervosito perché è la solita ignorante e violenta paccottiglia complottista/inclusivista/politically-correct; divertito, e molto, perché in realtà quella di Eklund è una visione materialista (per la precisione marxista) che è ovviamente agli antipodi del suprematismo – e mi divertirebbe ancóra di più vedere la sua faccia a qualcuno che gli dà del marxista. (Per inclusivismo intendo la violenza cieca di chi vuole appiattire le differenze. Non ci credete che l’inclusivismo/politically correct è violento? Guardate come la serie Gli Anelli del Potere ha violentato Tolkien e la nostra intelligenza).
Ma come si interagisce negli spazi siderali? Nell’asta dei brevetti (market), nella corsa ad accaparrarsi i siti più appetibili (prospect) o ad arrivare prima nelle diverse zone eliocentriche (glory chit), nel rubare la preindustrializzazione agli altri (claim jump) o nello sfruttare industrie non proprie (factory hijack), nel negoziare la cessione di beni e servizi (negotiation), nel cooperare per il raggiungimento di obiettivi avanzati che danno molti punti vittoria (future), nell’accaparrarsi i migliori coloni, umani o robot che siano (exomigration), infine, naturalmente, nell’assemblea politica (delegate, fundrise, lobby, vote). C’è anche la guerra, il modulo 3, che però non ho ancora giocato: so solo che non è una guerra alla Risiko, si tratta dell’indipendenza di chi ha colonizzato mondi lontani – quasi mai conviene iniziarla ed è meglio finirla il prima possibile. Chi ci ha giocato lo utilizza stabilmente perché aggiunge complessità, profondità ed anche tensione e divertimento. Inoltre c’è una sorta di interazione indiretta: segretamente, godi anche nel vedere gli altri che raggiungono i loro epici obiettivi, anche se questo rappresenta un avanzamento dell’avversario. Rosichi ma godi. Nella mia esperienza HF4 inizia come un multisolitario: per qualche partita sei più che altro concentrato su te stesso, cercando di capire come funziona, cosa fare, dove andare, di non perderti nello spazio. E comunque, come solitario, funziona molto bene: nella succulenta appendice sono previste alcune modalità dedicate solo a questo. Ad un certo punto ti rendi conto che sfruttando le varie occasioni di interazione c’è un’altra esplosione di possibilità tattico-strategiche. La scalabilità è ottima: se come solitario funziona molto bene, all’aumentare dei giocatori (fino a 6 con l’espansione) il gioco diventa più stretto, ma si aggiungono possibilità ed occasioni sia di scontro che di cooperazione che pongono i giocatori di fronte a nuove scelte.
Per quanto riguarda l’àlea è evidente che un gioco altamente simulativo debba contenerne, ma in HF4, come nel resto della vita, ci sono molti modi di gestire o mitigare il caso.
Avevano fame di esplorare l'Universo e scoprire le sue verità... Loro, i membri dell'equipaggio del Challenger, erano pionieri... Il futuro non appartiene ai deboli di cuore. Appartiene ai coraggiosi. L'equipaggio Challenger ci stava trascinando nel futuro e continueremo a seguirli (Ronald Reagan)
Se mi avete seguìto fin qui, non faticherete a trarre la logica conclusione che la vita è un gioco ed a volte il gioco può veicolare elementi di verità in modo anche più accurato di quanto non faccia una qualsiasi altra attività ritenuta più seria, necessaria, “reale”. Ciò che conta tra lavoro, gioco e quant’altro è il grado di simulazione e la conseguente responsabilità. Bisogna essere preparatissimi e totalmente concentráti durante un trapianto di cuore mentre si può attaccare l’Ucraina in una partita a Risiko con tutta la leggerezza di cuore, tirando dadi a caso – anche se un altro giocatore che si è a fatica ritagliato quello spazio di gioco potrebbe rimanerci male perché stai rovinando la partita con una mossa senza senso; viceversa si può giocare all’Allegro Chirurgo e sbagliare volontariamente anche solo per vedere l’effetto che fa, mentre nessuno sano di mente, oggi, si sognerebbe di attaccare un paese libero nel cuore dell’Europa, consapevole delle tremende conseguenze di un’azione del genere.
Vivere giocando, dunque, perché un approccio giocoso alla vita ci fa abitare il Gan Eden. D’altronde come Paracelso risponde al suo mancato giovane discepolo: “E in quale altro luogo siamo? Credi che la divinità possa creare un luogo che non sia il Paradiso? Credi che la caduta sia altro dall’ignorare che siamo nel Paradiso?”
Spazio, ultima frontiera. La RASA è lieta di darvi il benvenuto nel futuro. Dai nostri Bernal potete osservare il Pianeta Terra. Che ti si accartoccia il cuore per quanto è bello. Siate pronti a partire per l’infinito-nero-spazio-universomondo-lontano. Per poi tornare. O forse no. Perché a volte ce ne andiamo per non tornare. Perché siamo irrequieti, siamo una specie sempre in bilico sul prossimo passo ed anche se siamo nel luogo più bello conosciuto ci manca qualcosa. Manca sempre qualcosa ed allora giochiamo. Giochi più o meno seri, faticosi o leggeri, divertenti, appassionanti. L’importante è giocare, perché la vita è un breve gioco dove vincere è bello ma l’esperienza vale comunque tutto il tempo a disposizione. Come in HF4.