Io mi inchino. Grazie per questo bellissimo articolo. Questo tipo di analisi del gioco da tavolo è nuova e sarebbe interessante trovare il modo di applicarla anche ai singoli giochi!!! Grazie grazie, meno male che Agzaroth non ha inserito GDA nella lista dei 10, te lo dico da germanista convinto che odia l'alea 1 e 2.
Quando è uscito l’articolo di Agzaroth sui 10 giochi american migliori di sempre e non includeva La Guerra dell’Anello (GdA da qui in poi) avevo due scelte: andare dall’avvocato per capire la possibilità di intentargli causa oppure fare“Non fidarti della momentanea bonaccia: fa presto il mare ad agitarsi; nello stesso giorno le barche affondano là dove si erano spinte per svago”
Lucio Anneo Seneca
Per la goblinpedia l’alea, la fortuna, il caso sono “tutti quegli elementi di gioco indipendenti dall'intervento dei giocatori, introdotti da meccaniche di gioco esterne al controllo dei giocatori”. È curioso che nella nostra cultura moderna e occidentale con il termine fortuna (che ha radice latina che significa semplicemente ciò che avviene) si intenda soprattutto la buona sorte mentre per alea (che banalmente significa dado) si intenda il rischio, con una connotazione quindi prettamente probabilistica. In realtà per i nostri antenati la Fortuna era identificata con una potenza superiore che determinava gli avvenimenti, positivi o negativi che fossero. È dal medioevo, epoca molto cristiana nel mondo conosciuto, che la dea bendata viene pian piano soppiantata dalla Provvidenza, cioè un attributo del Dio cristiano che, non potendo essere malevolo, ha un preordinato fine di bene, anche quando un avvenimento è apparentemente negativo. Ne rimane traccia nella lingua, infatti noi auguriamo buona fortuna, perché essa può essere anche cattiva. Se quindi osserviamo la questione da questo punto di vista semantico, possiamo vedere come la vita umana, sia del singolo che della specie, sia il tentativo di gestire la fortuna, di parare gli eventi negativi, sfruttare quelli positivi oppure costruire le condizioni perché si verifichi quello che noi desideriamo, al riparo il più possibile da eventi negativi. Il gioco sposta sul piano ludico-simulativo tutta questa dinamica che nell’uomo assurge a programma di specie, alla massima potenza attraverso la cultura (e quindi la tecnica).“I tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, la noia”
Jorge Luis Borges
Dimostrazione ne è il fatto che a livello competitivo i giocatori più bravi – d’altronde come nei settori non ludici, in quelli sportivi, lavorativi, eccetera – tendono a restare tra i primi dieci, a vincere persino nel tanto vituperato Risiko per il quale conosco statistiche basate su mezzo milione di partite online con regole da torneo. Noi tutti sappiamo che la statistica funziona bene sui grandi numeri eppure i lanci dei dadi risultano abbastanza distribuiti anche nelle singole partite.“Giudico che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che ce ne lasci governare l’altra metà”
Machiavelli
Mi spiego, entrando nell’aspetto più tecnico dell’alea, suddividendola in tre tipologie:
- alea di output: ti attacco, il lancio dei dadi combattimento decide come va a finire;
- alea di input: lancio dei dadi azione (come in GdA) e io potrò effettuare le azioni che quei dadi permettono, in altre parole posso solo decidere cosa fare con quello che ho;
- alea intrinseca: essendoci interazione umana, non solo le azioni dell’altro non possono mai essere completamente prevedibili, ma, soprattutto, io o l’altro possiamo distrarci per una frazione di secondo oppure sbagliare mossa perché un meeple era in ombra – e questo può danneggiare chi sbaglia, ma, per assurdo, anche se improbabile, anche avvantaggiarlo.
Il terzo tipo di alea non è eliminabile, è intrinseca al funzionamento di questo universo soprattutto quando entrano in gioco dinamiche psicologiche. In un ipotetico gioco che non preveda alcun tipo d'interazione, ci sarebbe sempre la variabilità casuale dovuta ai fattori inconsci soggettivi. E quindi mio caro Sig. German, anche negli Scacchi c’è alea – della peggior specie perché è quella meno controllabile in quanto occulta.
Possiamo a buon diritto affermare che i giochi con alea di tipo 1 e 2 sono, in fondo, comunque dei gestionali, solo che tra i fattori da gestire c'è anche la probabilità, la buona e la cattiva sorte.
Secondo le indagini psicosociali le persone con maggiore scolarità tendono a credere di poter determinare maggiormente il proprio destino – la mia impressione è che nei sondaggi le persone più scolarizzate mentano sapendo di mentire. Vi sono una serie di variabili psicologiche che determinano quanto un soggetto sente di poter controllare gli eventi. Classicamente si parla di centro di controllo (locus of control) esterno o interno. Gli internalizzanti tendono ad attribuire a sé sia i fallimenti che i successi, gli esternalizzanti alla sorte buona o cattiva entrambi. Ci sono poi i“La sorte, buona o cattiva, ci accompagna sempre, ma ha un modo di favorire l'intelligente e di voltare le spalle allo stupido”
John Dewey
Ho l’impressione che citare questi dati serva solo a giustificare gli American agli occhi dei severi giocatori teutonici – come il povero arricchito che deve giustificare la legittimità della sua presenza a una festa di nobiluomini. In ultima analisi il giocatore American vuole gestire la fortuna. E, come nella vita, a volte, gli eventi sono talmente estremi che ci travolgono, ma, sempre, possiamo farne qualcosa. Che sia anche solo perdere con onore.
“Ti ho prevenuta, o sorte, e da ogni tua insidia mi sono premunito. Non a te né ad alcun'altra circostanza ci arrenderemo: ma quando sia necessario andarcene, sputando ampiamente sulla vita e su quelli che vanamente ci si attaccano, ce ne andremo con un bell’elogio, proclamando quanto bene abbiamo vissuto”
Epicuro
La nobiltà del giocatore American è nella sfida che oppone alla sorte, nel riuscire a cavarsela in mezzo alla tempesta mentre urla contro le divinità che non lo avranno senza combattere, battendo pugni e lingua contro il cielo mentre governa la sua barca in mezzo al fortunale. Mentre governa! Il tutto comodamente seduti al tavolo del salotto, con una buona birra accanto al tabellone (eh sì, io corro anche questo rischio), in ciabatte. Questo è il potere dell’immaginario umano che ci permette di immedesimarci con grandi eroi e creature malvagie, di viaggiare in tempi mai esistiti e luoghi di meraviglia. Potere magico davvero formidabile.
È chiaro che in mezzo alla tempesta, alla guerra, di fronte a una creatura minacciosa che ci si para innanzi parlare di scelte subottimali è già un eufemismo. Le scelte subottimali sono quelle che affrontiamo quotidianamente nella nostra vita, ma più le situazioni sono estreme minori saranno le informazioni che abbiamo, le azioni che possiamo scegliere, la capacità e la probabilità di portarle a termine nel modo in cui desideriamo.Al di là dell’evocatività epica e del divertimento, sono convinto del grande potere psicopedagogico che la dimensione simulativa dei gioco da tavolo permette. Generalizzando: di controllo di situazioni, apparati, ambienti a bassa alea i German, di gestione di situazioni ecologiche gli American. Se utilizzati nel modo appropriato, i giochi possono mettere alla prova, esplicitare – e rendere quindi passibili di elaborazione – i meccanismi psicologici che ciascuno di noi gelosamente custodisce e che ripete in un eterno ciclo che si autoconsolida.“Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali”
W. Shakespeare
Ultima obiezione che mi autoinfliggo e poi prometto di cessare questo pippone queste elucubrazioni: esistono delle partite completamente sfortunate! Come esistono, ne conosciamo purtroppo, persone sfortunate che, per esempio, nascono già con delle difficoltà fisiche o ambientali. Verissimo, purtroppo. Nel mio mestiere (sono uno psicoanalista) ho incontrato tantissime persone che sono state molto sfortunate, che la vita, le persone più care, la fortuna, hanno sferzato con offese ingiuste, soprattutto se inflitte quando erano bambini. Eppure, in scienza e coscienza, non posso affermare che chi subisce certi affronti dalla vita sarà infelice o si ammalerà. Perché ci sono tante altre persone che hanno affrontato gli stessi problemi e sono felici. Solo che io non le incontro nel mio mestiere. Questo si chiama pregiudizio di sopravvivenza. La mia mente va subito a due delle persone più sfortunate che si possano immaginare: Nick Vujicic che è nato senza gambe né braccia a causa della tetramelia, una grave malattia congenita. Io non so se sarei sopravvissuto, lui è uno scrittore famoso, predicatore, divenuto benestante e, perché no, diciamolo, ha una bella moglie e quattro figli. Oppure Sammy Basso, affetto da progeria (malattia rara che causa l'invecchiamento precoce) che ha fatto della sua vita un efficace stendardo per la ricerca sulla sua malattia. In un passaggio di un suo libro Vujic scrive: “a volte pensando alla mia vita mi dicevo: non posso fare questo… nemmeno quest’altro… Questo mi dava profonda tristezza. Poi ho cominciato a dirmi: ok, ma cos’è che posso fare?”. Non è troppo se affermo che questa è la descrizione migliore – anche se drammatica – che si possa dare di scelta subottimale.
Attenti però! Ho dovuto generalizzare perché ci sono più sfumature nell’animo umano che in un bosco d’autunno. Nel gioco da tavolo, come nella vita, si può anche mentire. Parlo dei piagnoni tattici: quei giocatori che, come lupi travestiti da agnelli, cominciano a lamentarsi della sorte non ottima che hanno avuto al primo lancio di dadi oppure alla prima pescata di carte. È una tattica (consapevole o meno) molto efficace che ha come risultato sempre di deconcentrare l’avversario e, essi funzionano così, di motivarsi e cercare con maggiore convinzione di farcela con quello che hanno. Quindi in realtà questo loro, fastidiosissimo, atteggiamento li mette proprio nella giusta disposizione di cavare il meglio da quello che si ha. Con mio grande dispiacere, i piagnoni tattici sono la testimonianza vivente che anche i grandi, come Shakespeare, possono sbagliare: piangere sui propri mali può portare a vincere! Al tavolo da gioco incontreremo tutti i tipi, e anche da questo punto di vista relazionale, in un contesto abbastanza protetto, sarà possibile allenarsi a rapportarsi e fronteggiare i diversi tipi umani – oltre che imparare a trattare la vittoria e la sconfitta per quello che sono: due bugiarde!
“Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso”
Gandalf
Mi è venuto in mente qualche giorno fa il film Assolto per aver commesso il fatto di Alberto Sordi, una rocambolesca ma precisa scalata economica che porta Sordi ad acquistare la più importante emittente televisiva. Si scopre che ha fatto tutto questo perché la sua nipotina non aveva passato il casting per una trasmissione per quello che era considerato un difetto fisico, un dentino mancante. Io ho fatto tutto questo pippone lavoro di elaborazione concettuale perché La Guerra dell’Anello non è stato incluso tra i 10 giochi American migliori di sempre – ed è chiaro anche a voi, se siete arrivati fin qua nella lettura, che è stato un errore molto grave di valutazione, da denuncia. Perché GdA rappresenta la quintessenza di ciò che chiamiamo American: la sfida della gestione dell’alea in un’ambientazione straordinaria come l’epopea della Terra di Mezzo. È il gioco del mio cuore, a partire soprattutto dall’ambientazione, perché permette a ogni partita di riscrivere e rivivere la storia de Il Signore degli Anelli. È vero, è un gioco che richiede dedizione – proprio come la vita (e, invece, mi sembra che attualmente la tendenza sia la ricerca della novità). Non sono io che scopro l’importanza del gioco nell’esperienza umana, se né è parlato a profusione. Semplicemente mi sono voluto soffermare su di un aspetto che può sembrare marginale ma che io invece reputo centrale, cioè imparare a gestire la fortuna, sia cognitivamente che emotivamente. I giochi permettono di esaltare questa dimensione e quindi possono essere, oltre che una grande goduria, un ottimo strumento psicopedagogico. Perché ci permettono, al riparo dalle vere intemperie, di vivere, sperare e perseverare con coraggio di fronte all'oscurità.