La recensione suona come un grosso "peccato", almeno per me, visto che il tema è intrigante, l'artwork pure e i giochi "zen" non mi dispiacciono (apprezzo seikatsu), ma l'interazione debole e la scalabilità (i giochi che possono essere giocati in solitario ho capito che non fanno assolutamente per me) mi dicono che sia un gioco che farebbe presto polvere in libreria.
Opera prima (e finora unica) del canadese Stephane Vachon, impreziosito dai pennelli del più noto Dann May (Archmage, Alien Frontiers, Black Orchestra tra gli altri), Planetarium è un titolo del 2017 prodotto su piattaforma Kickstarter (e da poco riproposto in una nuova campagna insieme alla non essenziale espansione Primordial).
In orbita: il gioco
Il gioco si svolge attorno ad otto orbite concentriche al Sole ove, con movimenti rigorosamente in senso orario, dovremo far scontrare uno dei 68 elementi di materia sparsi sul tabellone (divisi in 4 tipologie) contro uno dei 4 pianeti; ciò consentirà la raccolta su quel dato pianeta del suddetto elemento che, nella seconda parte del turno, fornirà una risorsa specifica per scatenare un evento geologico (la produzione di ossigeno, la formazione di una luna, ecc.) rappresentata su una delle 5 carte evoluzione che avete in mano. La carta (una sola a turno) verrà quindi posta accanto alla rappresentazione del tal pianeta sul tabellone modificando tematicamente la conformazione di esso ma, soprattutto, dando i punti vittoria indicati al giocatore; infine, la mano verrà rifornita di una carta, in modo da averne sempre un totale di 5 in mano.
I nodi decisionali sono quindi due: uno spaziale, di spostamento rotatorio dei token materia o pianeti, e l'altro di scelta della carte evoluzione. Vi sono infatti tre mazzetti tra cui poter attingere, uno di Bassa Evoluzione (con richieste minime e rapidissime da completare), uno di Alta Evoluzione (più esose in termini di token risorse richiesti) e un terzo di Evoluzione Finale (carte ancora più esose ma che, caratteristica di quest'unico mazzetto, possono essere giocate in copie multiple in un unico turno, quello finale di partita per l'appunto).
Sebbene vi siano alcune sottoregole che tendono a variegare leggermente questo flusso di gioco (la gravità che permette di attirare a sé una risorsa extra, il downgrade che permette di sostituire una carta non utile con una nuova e lo switch tra habitat vitale o radioattivo in base alle caratteristiche delle carte evoluzione), il gioco risulta ad ogni modo estremamente semplice, pulito e lineare.
Fuori orbita: considerazioni
L'esperienza diretta del gioco personalmente mi ha piuttosto spiazzato e, ammetto, lasciato una sensazione di amaro in bocca. Di positivo considero l'aver saputo coniugare una meccanica così essenziale come lo spostamento rotatorio dei token sul tabellone (che offre reminiscenze tattili ed esperienziali della classica dama) con una sufficiente sensatezza tematica (di fatto la formazione di corpi celesti si basa sullo scontro di grosse pietre di vario tipo); le stesse carte evoluzione hanno un bel testo di flavour, per quanto poco rilevante nel gameplay.
Di negativo invece la sostanziale casualità dell'interazione tra giocatori, che pure esiste (un giocatore può spostare fuori orbita un pianeta frustrando i bisogni dell'altro, o può fregargli della materia utile) ma avviene rigorosamente per soddisfare le richieste delle proprie carte, e non per ostacolare deliberatamente quelle dell'avversario, le cui carte restano segrete. Avevo pure pensato di giocare a carte scoperte, ma avrebbe portato una paralisi d'analisi e problemi ergonomici non accettabili per un gioco dalla vocazione evidentemente molto light come questo.
E ancora, la piacevolezza che regala questo titolo è piuttosto zen, non è un gioco di tensione o di coperta corta, configurandosi un'esperienza ludica più rilassante che sfidante. Il gioco si snoda su puri tatticismi, ovvero ad ogni turno sulle due o tre scelte nel recupero di risorse e altrettante nella selezione delle carte evoluzione: non è sicuramente un gioco guidato o scriptato, ma lascia pochi spazi di manovra e piuttosto elementari per come vengono posti.
Peculiare la bella confezione, quadrata e di spessore atipico, minore della media, comunque fuori standard. E il gioco è un po' così anch'esso, in fondo ci avviciniamo pericolosamente a un filler per essenzialità e durata (mezz'ora secca), e forse più come tale andrebbe giudicato. Ma pure il noto Seven Wonders Duel, per fare un esempio, presenta prospettive più strategiche e scelte più dolorose di quel che avviene in questo gioco.
I componenti non sono abbondanti né ridondanti ma di buona fattura, soprattutto a livello di illustrazioni. Il gioco è in inglese e francese, ma la lingua è limitata alle poche pur intriganti righe di flavour, ininfluenti su meccanche e giocabilità. La scalabilità è buona - ma non ottima - dagli uno ai quattro giocatori (in 3 o 4 si avverte un filo di più quella tensione di cui il titolo è, ahimè, piuttosto scarso).
Concludendo, sicuramente non un gioco essenziale ma discretamente prodotto e potenzialmente piacevole per determinata audience.