Daniele Tascini in solitaria alla ricerca del gioco di dadi perfetto. Qui però i dadi non si comportano come tali, ma sono solo un indicatore per la forza – e l'età – del lavoratore, senza mai venir tirati.
In Teotihuacan aiuteremo gli aztechi a costruire un bel piramidone e adornarlo di decorazioni, onorando nel frattempo i nostri morti e e gli dei. L'ambientazione non è che sia delle più sentite, ma scenograficamente è molto bella e richiama Tzolk'in, che è stato un gioco di successo dell'autore (assieme a Simone Luciani).
Teotihuacan regge da
1 a 4 partecipanti, per
60-120 minuti di durata, è destinato ad un
pubblico abituale (12+) e si basa su
meccaniche di
piazzamento lavoratori,
rotella,
piazzamento tessere,
collezione set,
poteri variabili.
Come si gioca a Teotihuacan
La meccanica centrale prevede otto grossi spazi azione disposti a cerchio. Ogni giocatore parte con tre lavoratori rappresentati da dadi di valore uno. Ne sposta uno a turno di massimo tre spazi ed esegue l'azione corrispondente alla casella d'arrivo. L'efficacia di tale azione dipende sia dal numero di dadi del suo colori ivi presenti (per cui 3 è meglio di 1), che dal numero del suo dado più basso.
Quando infatti l'azione viene eseguita, uno o più dadi vengono “invecchiati”, aumentando di un numero (si può invecchiare anche due volte lo stesso dado, se sono previsti due scatti). Quando un dado arriva a sei muore, ritornando del valore uno, garantendo al proprietario un bonus estemporaneo ed accelerando anche la fine della partita. Questa è infatti scandita da un conta-turni che si muove di uno spazio ogni volta che l'ultimo giocatore del giro ha eseguito la sua azione e ogni volta che muore un dado.
Le azioni eseguibili sono quelle classiche della gestione risorse: tre spazi servono a prendere risorse, gli altri cinque a spenderle per ottenere bonus permanenti e/o punti vittoria.
Al posto di eseguire l'azione standard di un luogo, il giocatore può anche decidere di raccogliere cacao, che è la moneta del gioco. Il cacao serve per svariate piccole cose, ma principalmente lo si deve pagare per compiere un'azione in un luogo se sono presenti già altri dadi (un cacao per ogni colore già presente, incluso eventualmente il tuo). Si raccoglie cacao pari ai colori di dadi già presenti +1.
Oppure ci sono alcuni spazi azione che hanno una casella alternativa che “blocca” il tuo dado. Queste caselle servono per prendere tesserine bonus con effetti estemporanei e salire nei templi (che danno bonus a loro volta). Per sbloccare i propri lavoratori imprigionati in queste caselle è sufficiente pagare tre cacao o perdere un turno.
Quando il conta-turni arriva a fine corsa, scatta la fase di punteggio, in cui si contano varie cose: chi ha costruito più roba sulla piramide, quanti passi si sono fatti nel tracciato dei morti, quanti set di maschere diverse si posseggono, ecc. Occorre anche sfamare i dadi-lavoratore con il cacao, pena la perdita di punti. Dopo il terzo conteggio la partita termina e si contano anche gli eventuali punti presi da chi ha raggiunto l'apposito step in uno o più templi e chi ha più punti è naturalmente il vincitore.
Teotihuacan vs Tzolk'in
Non che i due giochi meccanicamente siano così simili, ma il paragone viene spontaneo per una serie di motivi: la medesima ambientazione; i tre templi con i bonus; il fatto che la meccanica base di entrambi sia il piazzamento lavoratori; lo sfamare i lavoratori a fine era.
Tzolk'in poi è stato un gioco inizialmente davvero molto apprezzato, sorpassato poi da Sulle tracce di Marco Polo per quel che riguarda fama, qualità e premi. Il problema di Tzolk'in, emerso dopo poco tempo, è stata la strategia dominante che lo ha decisamente affossato nelle preferenze dei gamers esperti e in generale la fissità delle strategie percorribili, da eseguire senza mai sgarrare di una virgola, pena la perdita di punti (link: guida strategica).
Da quel fallimento la lezione è stata imparata velocemente: per fare un gioco a setup fisso occorrono una qualità di rifinitura e quantità playtest che i giochi moderni non possono permettersi. Allora la soluzione è fornire un sacco di variabili già un fase di setup, per rendere ogni partita diversa e difficilmente leggibile.
Per cui è probabile che per ogni setup esista una strategia dominante e il più bravo sarà chi la individuerà più rapidamente e la sfrutterà subito meglio, conscio che alla partita successiva non potrà ripetere lo stesso procedimento.
In conclusione, se l'idea alla base della meccanica di Tzolk'in era certamente migliore e più originale* (il piazzare/togliere lavoratori dalle ruote girevoli), il risultato finale va certamente a favore di Teotihuacan, più vario e soprattutto meno scriptato.
* Praetor, Panthalos e Versailles hanno meccaniche che ricordano molto quelle di Teotihuacan. La città degli dei...
Sebbene molte parti della meccanica base siamo mutuate da altri giochi meno famosi, il sistema messo in piedi da Teotihuacan è sicuramente più rifinito, originale ed efficiente di quelli che lo hanno preceduto.
Partiamo dalla base: ha importanza il numero di dadi con cui compi l'azione, così come il valore di quello più basso. Questo comporta un certo numero di scelte e una sincronia nei movimenti per massimizzare ogni azione.
Altra cosa particolarmente apprezzabile è il fatto che sbloccare il quarto dado-lavoratore non è affatto indispensabile e questa è sempre una cosa positiva nei giochi di piazzamento lavoratori, perché troppo spesso aumentare il pool degli stessi diventa strategicamente troppo importante nei confronti di tutto il resto.
Il sistema rotella conta ma non è particolarmente sfruttato, all'apparenza: non esiste la possibilità di fare più di tre passi, ma analizzando meglio la cosa, ci si accorge che non ha molta importanza. Con tre “pedine” sempre in gioco, fare passi aggiuntivi pagando diviene meno importante, inoltre ci sono tesserine bonus (rare) che permettono di muovere due dadi assieme.
La scelta tra il pagare cacao ed eseguire l'azione o il saltarla e prenderlo è un'altra delle cose interessanti del meccanismo. Di contro le azioni alternative – quelle indicate dalle caselle chiave – hanno un po' il sapore di un'aggiunta posticcia, forse ridondante e poco elegante.
Un'altra grossa nota di merito è il tempo di gioco, che anche in quattro non supera mai le due ore, e soprattutto il ritmo. I tre round sono progressivamente più corti (il segnalino di fine era viene posto uno spazio più avanti ogni volta) e questa cosa viene ulteriormente accelerata dalla morte dei lavoratori, più frequente in seconda e terza era. Morte che è anche un buon sistema strategico per controllare la durata della partita, accorciandola se si è in testa, l'efficacia delle proprie azioni, tributo in cacao da pagare e bonus di fine round e fine partita che si relazionano appunto al numero sul dado.
Ci sono diverse vie per ottenere punti vittoria, dando al gioco un certo sapore apparente di insalata di punti. Dalla piramide centrale con le relative decorazioni, ai bonus finali dei templi, al tracciato dei morti, alla collezione dei set di maschere.
In realtà giocando ci si rende conto che il rischio di girare a vuoto è alto e solo con un chiaro obiettivo in teste a perseguendo una strada efficacemente si fanno davvero i punti buoni per vincere. La sensazione è un po' quella di Pulsar 2849: tante strade, ma percorrerle sta alla bravura del giocatore.
Il bilancio tra
strategia e tattica è anche in questo caso molto buono: la diversa lettura di ogni partita, data dalla composizione casuale, individua la necessità di cogliere la strada migliore da perseguire in funzione di tecnologie e bonus finali, mentre l'opportunità e le difficoltà tattiche non mancheranno di richiedere il loro tributo.
… e dei defunti
Il gioco ha la moderna struttura costruita attorno a un nucleo centrale e appesantita poi con rivoli di opzioni e tesserine varie. Non risulta stucchevole e posticcia quanto in altri giochi (mi viene in mente Blackout: Hong Kong di questo stesso anno), ma dà comunque la sensazione di ridondanza e ineleganza.
Il vero problema è semmai un altro: la bassa interazione che causa un effetto di runaway leader non da poco. Se un giocatore riconosce un pattern vincente prima degli altri, le possibilità di ostacolarlo sono minime. Anche perché ostacolarlo significa spesso rinunciare ad una mossa ottimale per se stessi e quindi il risultato non cambia.
L'interazione si presenta sotto forma di tessere prese per primi e soprattutto di dadi accumulati su qualche azione, tali per cui non si riesca pagarne il cacao richiesto o se ne paghi parecchio. È un'interazione indiretta – e fin qui nulla di strano – ma soprattutto involontaria: quella che personalmente reputo ancora più fastidiosa, perché non derivante da reali scelte di gioco, strategiche o tattiche che siano.
Infine, per quanto simboli e disegni rimandino alle civiltà precolombiane e per quanto siano scenici i blocchetti di legno della piramide, l'ambientazione rimane davvero ai margini, sfumata.
Conclusione
Pur non raggiungendo le vette di Sulle tracce di Marco Polo, Teotihuacan supera la scomoda eredità di Tzolk'in. Paga una ripetitività di fondo, gli manca il mordente, la scintilla in più che ti incolla al tavolo.
Si tratta di uno dei gestionali migliori dell'anno passato, assieme a Founders of Gloomhaven e Underwater Cities... ma questo forse la dice più lunga su che anno ludico sia stato il 2018 che non sul gioco stesso.
Materiali ***
Grafica/disegni **
Ergonomia ***
Ambientazione *
Regolamento ****
Scalabilità ****
Rigiocabilità ***
Originalità ***
Interazione *
Profondità ***
Strategia ***
Tattica ***
Eleganza **
Fluidità ****
Legenda: –(pessimo/assente), *(scarso), **(sufficiente), ***(buono), ****(ottimo), *****(eccellente)