Signor Darcy eccezionale come sempre.
Gennadij aprì gli occhi, le prime luci dell'alba che filtravano attraverso le tende.
Semplicemente c'era qualcosa che non era come doveva essere.
"Forza, dormiglione - lo canzonò Zinaida - la kaša è pronta: vieni a fare colazione."
"Non ti sembra che ci sia qualcosa che non va, Zina?" chiese lui, avvicinandosi alla piccola finestra, il vetro reso opaco dal vapore. Di là nella piccola cucina la risata piena di Vassilj, il buon omone di Irkutsk, creava l'atmosfera familiare a cui erano abituati.
Gennadij pulì il vetro con la manica e guardò fuori: i bagliori rossastri del sole filtravano attraverso una leggera nebbia, umida e fredda. Si accingeva a raggiungere gli altri, quando a un'ultima, rapida occhiata alla finestra, delle imponenti sagome scure attirarono la sua attenzione.
"Ragazzi, cosa sono quelle?", domandò.
"Aspetta che arrivo, Gena" rispose Tat'jana mentre lo raggiungeva. "Quelle, dici?"
"Sì: sembrano delle montagne; ma siamo molto distanti dagli Urali; non capisco."
Gennadij non aggiunse niente. Con il fazzoletto pulì le sue lenti, poi raggiunse gli amici nella cucina e si versò una tazza di tè.
Il turno cominciava alle sette.Fuori l'aria era fredda e umida. Un pallido sole provava a contrastare le nubi.
Il cantiere era come l'avevano lasciato la sera precedente; eppure erano altrove - ormai se ne rendevano conto tutti.
"Che facciamo?", chiese Vassilj.
"Lavoriamo: che altro dovremmo fare?"
"Katja ha ragione", intervenne Ruslan. "Forza!"
Gli operai della squadra verde si misero al lavoro sulle traversine della linea in costruzione, un lungo serpentone che, vagito della tecnologia in quell'ambiente ostile, si snodava verso quelle ombre scure. Le montagne.
La caposquadra, nel suo ufficio, osservava interdetta i suoi all'opera, incredula quanto loro. Del resto l'ordine era quello di continuare e, inoltre, a poca distanza anche i lavoratori della squadra gialla stavano facendo lo stesso: vedeva chiaramente i due muscolosissimi baškiri - Vladimir e Nikolaj - stendere i cavi necessari all'industria mentre, mentalmente, ne studiava gli sviluppi.
Con estremo stupore si accorse che, al loro fianco, Iosif - si chiamava così quel ragazzone di Omsk, se ricordava bene - stava srotolando una seconda bobina, parallela alla prima.
"Due percorsi industria? Ma che diavolo..."
La donna, i capelli lunghi biondo scuro, il fisico minuto e ben tornito, uscì dal suo ufficio e si avvicinò ai suoi. "Vassilj, bene così con quei binari neri."
"Capo, una delle linee secondarie, quella che parte da ovest, ha incontrato un ostacolo: ci sono dei massi lungo il percorso", la informò lui.
"Stai scherzando? No? Capisco: prosegui ancora; e tu, Gennadij, porta avanti il binario grigio sulla linea principale: più avanti c'è della dinamite."
"Agli ordini. Animo, ragazzi, che è quasi ora della sbobba!"
"I lavori procedono spediti, Fëdor Leonidyč. Non ingraniamo ancora molti punti: i gialli sono molto avanti con le loro industrie, ma stiamo gettando le basi per unire le due linee transcontinentali."
"Benissimo" - la voce metallica del suo anziano capo dettò la risposta alla sua giovane telegrafista - continuate così; vi informo inoltre che le nostre azioni stanno salendo e i nostri dividendi sono assai più consistenti di quelli della squadra gialla: ormai non passa turno che non otteniamo avanzamenti di binario e di industria gratuiti.
"Ne sono felice. State assoldando gli ingegneri richiesti, signore?", rispose la donna.
"Stia tranquilla, ne abbiamo a sufficienza; voi continuate di tanto in tanto a procurarvi qualche rublo."
"Signore, posso farle una domanda?"
"Certo."
"Dove siamo, signore?"
"Negli Stati Uniti. Non l'aveva capito?"
"No, signore. Ne avevo il dubbio, ma... non me lo spiegavo. E non me le spiego: perché le American railroads?""Non perda tempo a pensare a come sia stato possibile. Ieri nell'impero di Guglielmo, oggi qua: per noi nulla cambia. Le ferrovie vanno costruite, le industrie vanno avviate."
"E in tutto il mondo gli ingegneri accettano i rubli."
"Esattamente."
Fuori, gli operai della donna lavoravano senza particolari preoccupazioni, nascondendo la fatica dietro a una vecchia canzone russa. Mentre il cielo si rannuvolava, le locomotive si susseguivano rapidamente, sempre più belle, sempre più potenti. Le strutture metalliche edificate facilitavano il lavoro, garantendo nuovi aiuti e nuovi dividendi agli azionisti.
Aveva appena cominciato a piovere quando, improvvisamente, Ruslan proruppe in un'esclamazione di gioia: "Uraaa!"
La linea est era finita. Da quel momento, ogni turno avrebbero ottenuto dieci punti ulteriori.
"Uraaa! - Gli amici di Ruslan si unirono alla gioia del tataro - Uraaa!"
Per fortuna lei e la sua collega ucraina Ljubov’ avevano spinto abbastanza sulla linea orientale, così da poter ottenere due gettoni arancioni; la scelta del caposquadra, tuttavia, non era stata premiata, perché l'ingegnere aggiuntivo - lo capirono presto - non sarebbe stato sufficiente per garantirsi il bonus di fine partita e, ulteriormente, i quattro avanzamenti di binario dovettero essere spesi per tamponare diverse situazioni avverse. A poco era valso, inoltre, l'arrivo di Matvej, un pur valido manovale, a dare man forte ai compagni.
Ormai i giochi erano fatti: il conteggio finale fu rapido e non riservò particolari sorprese: la squadra verde, affiatata ed esausta, diede quasi un giro di tabellone alla controparte.
La sera, i pel'meni appena scolati, la piccola cucina invasa dal buon vapore che usciva dai piatti, Gennadij sorrise agli altri.
I lavori sarebbero presto finiti, lui sarebbe presto tornato a casa. Ripensò alla giornata trascorsa, lì nello Utah - così si chiamava quel luogo piuttosto inospitale e così diverso da Surgut e dagli altri luoghi in cui aveva lavorato - e sospirò, soddisfatto, la mente sempre alla sua Vera.
Valentina, la nuova arrivata, raccontava di Magadan, del suo vento e dei suoi gabbiani. Vassilj rideva allegro, le guance arrossate dalla vodka.
Gennadij assaporò un altro boccone, poi mescolò un cucchiaio di limone zuccherato nel suo tè.
Si sentiva stanco, ma felice.