Quella che state per leggere è una libera interpretazione del balletto (e del racconto) omonimo, come lo erano state gli anni scorsi Il canto di Natale, Game Actually e Fantaghirò. Ringrazio di cuore i goblin che anche quest'anno si sono prestati a raccontare per immagini questa storia.
Dal sottoscritto e da tutta la redazione gli auguri per un felice Natale.
Antefatto
C’era una volta, tanto tempo fa, un regno da qualche parte nell’Europa centrale –suppongo non lontano dalla Foresta Nera, ma non mi è dato saperlo con certezza – i cui abitanti adoravano i giochi da tavolo: giocavano il re e la regina, giocavano i dignitari di corte, giovano gli avventori delle taverne e i contadini nelle case. Era un regno magari non particolarmente produttivo; ma sicuramente felice.
Un giorno il re e la regina ebbero una figlia, Pirlipat, e il giorno del battesimo si presentarono a corte nobili e borghesi e popolani, imprenditori e generali, gioiellieri e contadini, tutti con un dono per la piccola.
La nascita della bambina suscitò però le invidie della perfida regina dei topi, il cui regno era invece molto più grigio, molto più cupo, molto meno felice. Quel radioso giorno si presentò al castello scortata dai suoi topi e, approfittando di una rumorosa partita a Perudo tra le guardie, entrò senza essere notata nel salone del ricevimento, lasciò cadere per terra il mantello e a gran voce tuonò i suoi ossequi, senza riuscire a celare troppo il suo sarcasmo. “Vostra altezza!”, disse inchinandosi al re. “Vostra altezza!”, disse inchinandosi alla regina. “Vostra… altezzina?”, disse inchinandosi alla culla.
“Cosa volete?”, esclamò il re infastidito.
“Recare anch’io il mio dono, maestà.”
“Ebbene?”
“Ebbene, la principessina sarà triste. Non giocherà con voi. Non giocherà con nessuno.” Così dicendo toccò rapidamente la fronte di Pirlipat prima che le guardie reali potessero fermarla e poi, passati appena pochi secondi, scortata dai suoi armigeri coi baffi neri e coda rosa uscì dal salone e scomparve.
Nessuno la vide più per anni e anni. Il re e la regina ci provavano in tutti i modi, ma Pirlipat cresceva senza voler giocare; alla fine insieme ai sovrani l’intero regno cadde nello sconforto. Accadde però che un giorno si presentò a corte un certo Drosselmeyer, orologiaio e forse anche alchimista e chissà cos’altro ancora, che diceva di sapere quello che ci sarebbe voluto per guarire la principessina dalla sua strana apatia.
“Esiste una noce, la noce krakatuk” disse al re e alla regina “che guarirebbe Pirlipat”.
“Proseguite, buon uomo”, disse il sovrano, che tanto ormai non sapeva più dove sbattere la testa.
“C’è solo un piccolo problema”, continuò il nuovo arrivato.
Ti pareva…”, bofonchiò il sovrano.
“Anzi, due”, si corresse l’orologiaio.
“Facciamo tre?”, ironizzò la regina.
“La noce krakatuk è la più dura del mondo; inoltre nessuno sa dove sia. Ma non temete: col vostro regale permesso partirò domani stesso con il vostro capitano delle guardie, che si dia il caso è anche mio nipote, e vi porterò questa noce.”
“E sia”, disse il re. “Non ho più niente da perdere”.
“A parte la prima edizione di Bus, s’intende”, chiosò abbozzando un sorriso la regina, che in cuor suo non voleva osare una speranza eccessiva.
I sovrani acconsentirono dunque alla missione e Drosselmeyer e suo nipote partirono. Viaggiarono per anni e anni, cercarono la noce krakatuk ovunque: nelle steppe raggelanti dell’impero russo e nelle foreste umide della Cina; nei bazaar polverosi della penisola arabica e nei mercati assordanti della Spagna; contro il vento e sotto la pioggia, col sole e con la neve; e alla fine trovarono la noce krakatuk e la portarono al castello.
Quando però venne il momento di aprirla si scoprì però che la fama di questa noce non era immeritata: era davvero durissima. Provarono a romperla prima con un mattarello e poi con un batticarne e poi con un martello da carpentiere e poi con la scatola di Mage Knight Ultimate Edition
; ma niente. Il giovane nipote di Drosselmeyer non si diede però per vinto e, in un ultimo disperato tentativo, provò a rompere il guscio con i denti e, tra lo stupore generale, ci riuscì. Arrossendo per l’emozione, il valoroso soldato diede il gheriglio alla principessina, che lo mangiò e ruppe l’incantesimo. Ahimé durante i festeggiamenti per la guarigione della principessa irruppe di nuovo la regina dei topi, che andò su tutte le furie per quanto era successo. Le guardie e lo stesso Drosselmeyer si frapposero fra lei e la culla; ma la perfida sovrana dei ratti questa volta se la prese col coraggioso ragazzo, che venne tramutato in uno schiaccianoci. Alla fine, ridendo, scomparve di nuovo.
Drosselmeyer raccolse il pezzo di legno inanimato da terra, nascondendo una lacrima con la folta chioma. “Anche questo incantesimo dovrà essere spezzato. Ma ci vorrà del tempo. Nel frattempo avrò cura io di questo schiaccianoci.”
Poi, inginocchiatosi al re e alla regina e alla principessina finalmente libera di giocare, l'orologiaio si congedò e uscì nel buio della serata invernale, la lanterna che proiettava la sua ombra incerta dietro di lui. Atto primo
Scena prima
A Norimberga si respira aria di festa. La neve ha imbiancato i tetti a punta delle case e ora riflette il pallido sole dicembrino, rendendo ancor più luminosa l’atmosfera della vigilia di Natale. Lungo la Königstraße si vedono bambini che corrono felici e uomini e donne che parlano, si abbracciano, bevono vino caldo, mangiano Brezel.
Scena seconda
Nel salone della casa del dottor Stahlbaum, il sindaco di Norimberga, un albero di Natale enorme troneggia tra le due rampe di scale. Lungo una delle pareti c’è un enorme camino in cui ardono ceppi di carpino, le fiamme che si riflettono nel pavimento di legno e sembrano conferire ancora più calore a un colpo d’occhio che riempie di emozione il cuore della piccola Clara.
Sotto l’albero ci sono molti regali, alcuni dei quali portati dal fattorino del signor Drosselmeyer, il giocattolaio della città, ma anche orologiaio nonché padrino dei figli del dottor Stahlbaum.
Drosselmeyer è un signore forse un po’ oscuro e strano nei modi, ma a Clara e a suo fratello Fritz porta sempre giocattoli bellissimi e diavolerie meccaniche sorprendenti. Proprio stamattina Fritz, che è più grande di Clara di qualche anno, ha ricevuto da lui un’enorme scatolone pieno di miniature di plastica per Descent; e poco dopo il fattorino ha consegnato alla bambina una bambola-angelo con ali candide e lunghi capelli biondi.
Poco prima della festa si sente bussare al portone e quando nell’ingresso risuona la voce del giocattolaio in persona, Clara accorre festante urlando “È arrivato il padrino Drosselmeyer” e riceve dalle sue mani una profumata scatola di legno di abete levigato con cura; in preda all’entusiasmo la bambina la apre e ne estrae uno schiaccianoci di legno, coi denti in bella vista e l’elegante giacchetta da ufficiale prussiano.
“Cos’è, padrino Drosselmeyer?” chiede lei, dubbiosa.
“Uno schiaccianoci, piccola Clara”, risponde lui, un lampo di speranza che attraversa i suoi occhi. “Giocaci, ti piacerà”.
«O almeno lo spero», pensa poi tra sé e sé.
Scena terza
Fuori è sceso il buio, segno che la notte di Natale sta davvero per cominciare. Dentro la grande casa la festa è iniziata; il dottor Stahlbaum intrattiene i suoi ospiti facendo servire del buon vino caldo speziato e fette di torta, mentre di là nel salone Drosselmeyer stupisce i bambini con i suoi giocattoli e i suoi trucchi di magia.
Clara gioca con lo schiaccianoci, accudendolo; ma suo fratello Fritz, invidioso, glielo strappa di mano rompendolo. La piccola protesta e si mette a piangere e corre da Drosselmeyer; questi prende in mano il pezzo di legno e lo ripara in pochi minuti, per poi porgerlo di nuovo alla figlia del sindaco. Poi va da Fritz e gli tira le orecchie.
Clara, sollevata, gioca ancora qualche minuto con il pezzo di legno; ma lui può solo aprire e chiudere la bocca con la leva dietro la schiena, ma non muove gambe né braccia e alla fine si stufa e prende in mano la bambola-angelo; anche Fritz del resto ha perso interesse per lo schiaccianoci di Clara e ora sta giocando con i suoi soldatini prussiani.
Drosselmeyer assiste alla scena, malinconico.
La festa sta finendo e gli invitati dopo un ultimo ballo se ne vanno uno alla volta, con Stahlbaum e la moglie che salutano uno per uno con calore gli ospiti che escono. Lo stesso Drosselmeyer saluta i ragazzi con un abbraccio e, uscendo, guarda velocemente lo schiaccianoci buttato a terra sul tappeto, come volesse con quello sguardo infondergli coraggio, quasi una nuova vita. Poi schiocca le dita.
Scena quarta
Clara si è addormenta esausta nel salone, lì dove si trovava. Ora però succede qualcosa di imprevedibile: tra due assi del pavimento si forma infatti una crepa da cui escono decine e decine di topi: orrendi, grigi topi con baffi vibranti e code grasse. I roditori invadono il salone, salgono sull’albero e sulle mensole del dottor Stahlbaum, cominciando a rosicchiare la pendola, i libri e le scatole di Battlestar Galactica ancora chiuse nella plastica.
Clara si agita, impaurita: non sa che fare; ma ecco che dalla scatola di Fritz in rigoroso ordine teutonico escono fieri i soldatini di Descent, pronti a dare battaglia. I ratti attaccano a muso basso e, nonostante la strenua resistenza, l’esercito di Fritz riesce a malapena a contenere la furia dei fastidiosi invasori.
La battaglia infuria e la vittoria sembra arridere ai topi, soprattutto quando dalla crepa nel pavimento appare il mostruoso principe dei topi in persona, pronto a guidare l’assalto decisivo verso la bambina, gli occhi rossi ardenti come braci.
Clara impaurita si rifugia in un angolo della stanza e, appiattita tra il muro e la libreria e con la bambola-angelo in mano, trattiene il fiato.
“Non hai scampo, bambina”, ghigna il principe dei topi.
Clara chiude gli occhi; ma ecco che in sua difesa si lancia lo schiaccianoci, che ora è un valoroso soldato nella sua elegante uniforme e che affronta coraggiosamente il comandante avversario. Lo scontro è cruento e il povero ragazzo ce la mette tutta; ma alla fine viene gettato a terra dal temibile topo, che subito torna a volgere i suoi famelici occhi verso Clara; ma la ragazzina non si perde d’animo e, mostrando un gran coraggio, con la mano libera cerca a tastoni qualcosa per difendersi. Le sue dita scorrono sullo scaffale in basso accanto a lei, mosse un po’ dalla disperazione un po’ dalla memoria visiva, e alla fine incontrano una piccola scatola; la bambina l’afferra, la scuote in aria e sfida il principe dei topi.
“Sconfiggimi, se ci riesci!”
Il principe dei topi la guarda, confuso.
“Sconfiggimi!”, ripete Clara.
“Eh?”, domanda dubbioso il mostruoso topastro.
“Sconfiggimi a
Ciao Ciao...!”, insiste la bambina.
“E sia”, tuona il principe dei topi. “Ma se perdi la tua bambola la prendo io!”
“Basta che lasciate in pace me e il mio schiaccianoci!”, grida Clara, riuscendo a mostrare più temerarietà di quella che prova.
Il principe dei topi ostenta sicurezza; ma sottovaluta Clara: la mente sveglia e la parlantina sciolta della bambina hanno ben presto la meglio su di lui, che per di più si accorge di non distinguere il verde e il giallo dei birilli. Riconosce dunque la sconfitta: si alza dal tavolo borbottando “Ah!” e se ne torna nella crepa con la coda tra le gambe.
Clara esulta e corre a dare la buona notizia al valoroso schiaccianoci; ma egli purtroppo è immobile a terra e non sembra dare segni di vita. La bambina non sa che fare; guarda il ragazzo e scoppia in lacrime.
“Non ti preoccupare, bambina”, dice una voce familiare alle sue spalle; è quella del padrino Drosselmeyer, che si inginocchia e accarezza il volto del ragazzo, che altri non è che il nipote.
Scena quinta
Clara con gli occhi annacquati dalle lacrime assiste al gesto d’affetto di Drosselmeyer verso il ragazzo e non si accorge che non si trova più nel salone della sua casa; bensì nella foresta, sulla neve, la nebbia che nasconde gli alberi argentati, la luna che filtrando nella nebbia riesce faticosamente a definire i contorni degli alberi argentati.
“Padrino, dove siamo?” chiede Clara, confusa.
“Nel bosco…” sussurra con un filo di voce lo schiaccianoci.
“Sei sveglio!” urla Clara, colma di gioia.
La bambina lo aiuta a rialzarsi e lo abbraccia; lo schiaccianoci, imbarazzato ma felice, la afferra sotto le braccia e, recuperate magicamente le forze, la fa vorticare tra i fiocchi di neve. Intorno a loro gli animali del bosco saltellano festanti dando vita a una buffa danza.
Lo schiaccianoci posa a terra Clara e in quella si sente un rumore in lontananza che si fa sempre più forte, come di qualcosa che si trascina sulla neve, preceduta dal suono di passi che sfrigolano sul manto candido del bosco.
“Benvenuta, mia cara!” dice radioso Drosselmeyer, agitando la mano in segno ossequioso quando la slitta si è avvicinata alle tre figure in mezzo alla radura.
“Puntuale come uno dei tuoi orologi”, risponde un angelo del tutto somigliante alla bambola di Clara, le redini in una mano, l’altra che risponde al saluto dell’uomo.
“Prego, Clara. Prego, ragazzo”, dice subito dopo Drosselmeyer. “Salite!”
I due giovani non si fanno domande, non più ormai. Salgono e si sistemano sul sedile alle spalle dell’angelo.
“Siete comodi?” dice Drosselmeyer prendendo posto sulla slitta accanto alla donna. “Bene. Ora aiutate il nostro cocchiere con i cavalli. Eccovi i due mazzi di carte da gestire: mi raccomando con i valori che giocate in curva”, dice loro; poi la bambona-angelo dà un colpetto alle redini.
Trainata da quattro meravigliosi cavalli la slitta si muove, dapprima lentamente, poi sempre più rapida, fino a scomparire nella nebbia.
Atto secondo
Scena prima
Il sole splende sulla foresta innevata; in lontananza le creste delle montagne si stagliano come una quinta teatrale di straordinaria bellezza.
La slitta si ferma davanti a un castello meraviglioso e Clara non riesce a evitare di spalancare la bocca per lo stupore. Anche lo schiaccianoci è davvero impressionato, anche se quel luogo – non sa bene perché – gli risulta familiare.
Drosselmeyer scende dalla slitta, poi aiuta il nipote e la bambina, impazienti di entrare, a scendere dal predellino. “Seguitemi!”, dice poi salendo le scale e dando un colpo col batacchio.
Il portone si apre con uno scricchiolio e l’orologiaio fa cenno ai due giovani di entrare. “Forza, forza: siete attesi!”
“Tu non vieni, padrino Drosselmeyer?”, chiede Clara.
“No, bambina: io devo sistemare ancora un paio di cose”, risponde egli chiudendo il portone alle spalle dei due giovani. Poi sale sulla slitta.
“Bel castello”, dice all’angelo. “Quantomeno da sette virgola uno”.
Scena seconda
“Benvenuti!”, esclama caloroso il maggiordomo, un uomo dall’aria simpatica e disponibile. “Vi accompagno subito dalla mia signora.”
Clara e lo schiaccianoci seguono incuriositi il domestico, che li conduce attraverso l’atrio – un enorme salone con un tappeto rosso bordato d’oro, un bell’albero di Natale in un angolo vicino luminoso e sul soffitto un lampadario degno delle fiabe – e poi lungo un corridoio ornato da arazzi oro e amaranto alle pareti, fino a una porta che dà su un giardino immerso nel sole.
“Schiaccianoci, ma…”, dice la bambina, confusa.
“C’è il sole!”, ribatte il soldato, sorpreso.
I due dapprima ammirano meravigliati il prato verde e il cielo quasi estivo, senza riuscire a capire come sia possibile tutto questo quando a poche decine di metri da loro stava nevicando; ma ben presto la loro attenzione è rapita da un tavolo immenso, con gambe di forme impensabili e sopra una gran quantità di dolci.
“Servitevi pure”, li esorta una voce femminile alle loro spalle. “Non fate complimenti!”
La voce appartiene a una dolce donna bionda che li fa accomodare su una panchina e poi serve loro una bevanda calda che profuma di zenzero.
“Qua c’è il sole, com’è possibile?” Chiede Clara, che come tutti i bambini conosce pochi convenevoli e ancora meno filtri, mentre si alza e afferra dal tavolo una manciata di dolcetti.
“Tu cosa pensi?”, chiede la donna.
“Che sei una magaa”, risponde la bambina. “O forse una fata”. “E che questi confetti sono buonissimi”, aggiunge.
“Una fata confetto, insomma”, chiosa lo schiaccianoci.
Clara racconta confusamente alla fata confetto come sono arrivati lì, poi è lo schiaccianoci che riassume brevemente la sua storia, fin da quando accompagnò molti anni prima Drosselmeyer nella ricerca della noce krakatuk. La fata ascolta colpita, mentre le ultime luci del giorno lanciano ombre sempre più lunghe sul prato.
Finito il racconto la Fata si alza e fa cenno ai giovani di seguirli. “Venite, torniamo dentro: vi mostro una cosa”.
Scena terza
La donna guida i due ospiti attraverso il corridoio da cui sono passati poco prima e poi, tornati nel salone con il lampadario, salgono una scalinata con una meravigliosa balaustra in malachite verde degli Urali. “Eccoci arrivati”, dice infine aprendo un portone di legno con splendide incisioni, regalo della ditta K. Franz di Graz.
Davanti agli occhi estasiati di Clara e dello schiaccianoci si rivela un’enorme salone con altissime librerie lungo tutte e quattro le pareti; lucide balconate di legno su due livelli circondano l’ampio spazio interno, nel quale trovano posto quattro enormi tavoli di rovere disposti a raggiera. Altri cinque tavoli tondi, più piccoli, completano una sorta di bellissimo rosone sul morbido tappeto blu.
Clara ammira l’enorme collezione, quasi rischia il torcicollo. “Uao!”, esclama. Nemmeno il mio buon padre ne ha così tanti!”
“Bello, eh? Ma non è ancora tutto. Venite.”
La fata confetto accompagna i due giovani attraverso un’uscita laterale e poi lungo un altro corridoio dove si aprono diverse stanze dedicate al gioco.
“Questa è la stanza spagnola” dice indicando la prima delle camere. Clara e lo schiaccianoci osservano incuriositi la partita che si svolge all’interno.
“Di fronte abbiamo la stanza araba”, prosegue la fata. Lo schiaccianoci inarca le sopracciglia, sente che qualcosa sta bussando alla sua memoria.
“Andiamo avanti; qui abbiamo la stanza cinese”. Clara è fuori di sé per l’entusiasmo, il giovane comincia a capire.
“Questa, invece, è…”
“…la stanza russa!”, dice lo schiaccianoci. “Queste sono le tappe del mio viaggio con lo zio Drosselmeyer!”
“Ma dai, che combinazione!”, dice la fata con un sorriso che prova a simulare un genuino stupore. “Venite, torniamo nel salone dei giochi, ché sta per cominciare il torneo”.
Scena quarta
La fata, Clara e lo schiaccianoci tornano così sui propri passi, dove proprio in quel momento i giocatori stanno facendo il loro ingresso nel meraviglioso salone, accolti dalla musica degli zufolatori di corte e formando una curiosa coreografia di corpi talora dinoccolati talora tarchiati che si muovono inspiegabilmente a tempo, ciascuno diretto verso il proprio tavolone di rovere.
“Hai parlato di un torneo. Che gioco?”, chiede lo schiaccianoci mentre i partecipanti prendono posto e i valletti cominciano a preparare l’occorrente per le partite.
“Il grande torneo dei fiori”, risponde la fata confetto. “Il primo tavolo gioca a
Lotus, il secondo a
Cottage Garden, il terzo lì sotto la finestra a
Haru Ichiban e l’ultimo, quello vicino alla scala della libreria, è impegnato a
Seikatsu”.
“Non conosco nessuno di questi giochi”, dice Clara.
“Non importa”, le risponde dolce la fata. “Non serve che tu li conosca. Ammira semplicemente l’animazione delle persone che giocano. Sembra un balletto, quasi una specie di valzer, non trovi?”
“Davvero”, risponde la bambina, affascinata.
“Ora però possiamo giocare? Possiamo?”, chiede dopo un po' Clara.
“Certo, cara”, esclama la fata scoppiando a ridere. “Occupate pure uno dei tavolini tondi.
“Vieni, schiaccianoci! Voglio giocare con te.”
Il ragazzo non ha certo bisogno di essere convinto: “Con piacere, mia piccola amica. Scegli tu il gioco, ma non aspettarti di vincere. Sai, non a caso ai miei tempi ero noto come il principe dei filler”.
La fata sorride guardando l’entusiasmo dei due giovani che sulle balconate scorrono l’inverosimile marea di titoli. In quella il consorte si avvicina, prende a sua volta una scatola dalla libreria e poi prende sottobraccio la fata.
“Giochiamo, mia cara?”
Scena quinta
La fata confetto e il principe Fernori entrano nelle loro stanze e si sfidano dunque a Puerto Rico, alternando momenti di fervore combattivo e celestiali pause di riflessione cercando la mossa di volta in volta migliore in un incantevole gioco a due.
A mezzanotte in punto però, mentre nel salone continuano frenetiche le partite, le porte dell’ingresso si spalancano e un refolo di aria fredda irrompe nel castello, spegnendo le candele dell’atrio. I passi pesanti di un uomo risuonano sul marmo delle scale, sempre più vicini, finché nel salone fa il suo ingresso Drosselmeyer.
“Padrino Drosselmeyer!”, dice Clara esultante. “Benvenuto. Scegli anche tu un gioco, c’è posto lib…”
La bambina si interrompe perché intorno a lei e allo schiaccianoci non c’è nulla: né giochi né tavoli né tappeti; solo neve, nebbia e, attraverso questa, le forme indistinte degli alberi. Orme di camosci si diramano attorno a loro, mentre si odono versi e squittii di volpi e lepri e roditori che fan quasi pensare di esser nel bosco di Root.
“Padrino, che significa?”, chiede Clara sorpresa, forse anche un po’ delusa.
“La slitta vi attende, mie cari”, dice lui, mentre l’angelo e il suo tiro a quattro si avvicinano ancora una volta, lo stesso suono ovattato sempre più forte.
Mentre la slitta si arresta Drosselmeyer appoggia un braccio sulle spalle del nipote ritrovato, poi chiude gli occhi e volta leggermente la testa di lato, verso gli alberi, per non mostrare la lacrima che gli sta solcando la guancia.
“Andiamo!”, dice all’angelo una volta che tutti e tre hanno preso posto sulla slitta. I cavalli si muovono al passo e poi al trotto, mentre la slitta lascia due scie nella neve fresca.
Apoteosi
Clara apre gli occhi, ancora assonnata.
“Ben svegliata, tesoro”, le dice il signor Stahlbaum seduto accanto a lei sul divano, il regolamento di Annibale e Amilcare appoggiato sulle ginocchia. “Dormito bene?”
“Sì, papà”, risponde lei abbracciandolo. "Buon Natale, ti voglio bene".