Il 27 Ottobre 2015 la Serious Pulp conclude la sua campagna Kickstarter di un gioco che raccoglie più di 12mila backers già al primo lancio (nel 2017 il rilancio sulla medesima piattaforma farà addirittura 43733 sostenitori, per più di 7 milioni di dollari di finanziamento).
Si tratta di The 7th Continent, un gioco in cui un esploratore (o più di uno, se non lo giocate in solitario...) va alla ricerca del modo di liberarsi dalla maledizione che lo opprime, vagando in un nuovo continente inesplorato.
Ora è uscita retail questa Povery Edition (ufficialmente Classic Edition), che al prezzo di 59 euro vi fornisce tre maledizioni, senza ingombrarvi la libreria di mille espansioni e carte e scatole aggiuntive. Essendo ormai allergico ai Kickstarter overproduced e mangiaspazio, ho colto l'occasione al volo.
Per
1-4 giocatori (ma diciamo per 1),
5-1000 minuti di gioco (che subito mi è venuto in mente l'ingegner Cane), dedicato a un
pubblico esperto (14+), si basa su meccaniche di
gestione mano, push your luck, mappa modulare,
poteri variabili.
Come si gioca a The 7th Continent
Avete presente le avventure “punta e clicca” che voi matusa giocavate su PC preistorici? The 7th Continent è in pratica un punta e clicca da tavolo.
La pedina del giocatore parte da una carta centrale e di lì può proseguire in varie direzioni, aiutandosi con l'indizio iniziale che l'avventura in questione ti fornisce (una sommaria mappa, nel caso della prima maledizione: The Voracious Goddess).
Quando si procede in una direzione, ci saranno spesso anche carte nebbia da affrontare, ovvero piccole prove con esito positivo o negativo. Per effettuarle, sarà richiesto al giocatore di scoprire un minimo di tot carte dal suo mazzo personale, ottenendo in tal modo il numero di successi richiesto. Ogni carta ha infatti stampati un numero variabile di simboli successo.
È possibile scoprire più carte per avere maggiori probabilità di riuscita, ma ciò consuma più rapidamente il mazzo, che rappresenta anche la nostra energia e, di conseguenza, la fine della partita.
Ogni volta che si esegue un test, si può anche trattenere in mano una delle carte usate: vi è raffigurato un oggetto da costruire (con un altro test) o un'abilità speciale. Costruire gli oggetti comporta il consumo di risorse, che spesso trovate nelle carte-mappa e il suo uso (limitato a un certo numero di utilizzi, tracciati con dei micro-dadi) vi aiuterà in determinate situazioni.
Oltre a far procedere l'avventura, dovrete infatti preoccuparvi ad esempio di cacciare e mangiare, in modo da far rientrare carte eliminate in precedenza nel vostro prezioso mazzo.
Si procede in questo modo per molte,
molte ore, fino alla sconfitta per esaurimento o alla vittoria, spezzando la maledizione.
Nella versione normale, il mazzo può essere rimescolato una volta sola e si perde quando si scopre per la prima volta una carta “maledizione”. In quella esplorativa si ha diritto a un rimescolamento aggiuntivo.
Odi et amo
Penso di aver raramente letto pareri polarizzati come in questo gioco. Credo dipenda dal fatto che davvero il sistema spinge in un'unica ben definita direzione, ripetendola ad infinitum per ore e ore di gioco.
I pareri che trovate in rete sono per lo più positivi, perché spero sinceramente che chi lo ha acquistato fosse ben consapevole del prodotto e quindi già bendisposto nei suoi confronti.
Vi piacciono i libri-game? Vi piace giocare da soli? Avete un tavolo disponibile da lasciare sempre apparecchiato? Vi piacciono le avventure punta e clicca? Vi piacciono le vignette della Settimana Enigmistica in cui dovete notare qualche particolare nascosto? Vi piacciono il push your luck e la gestione mano?
Allora probabilmente saranno soldi ben spesi. Diversamente...
Ma andiamo con ordine.
Cosa potreste amare
Per prima cosa l'esplorazione, il costruire una mappa pezzo per pezzo, leggendo solo poco testo di flavour e quindi non perdendo troppo tempo (anche se in questo gioco la moneta “tempo” è ampiamente inflazionata), il trovare indizi nascosti nelle figure, la libertà di approccio alla scoperta del nuovo continente (continente, vabbè, è un arcipelago nemmeno troppo grosso).
Poi la meccanica base: il mazzo del giocatore rappresenta la sua energia vitale, ma anche le sue idee, ma anche gli oggetti che avrà a disposizione e anche il sistema di risoluzione delle azioni. Ogni volta che pescate una carta in più per un test, sapete che state potenzialmente bruciando un prezioso utensile per frombolare i gabbiani.
Le diverse maledizioni consentono di esplorare zone diverse dell'isola, ma anche la stessa maledizione ti permette
approcci diversi e al contempo ti dona una conoscenza sempre maggiore del territorio in cui ti muovi, a patto di fare le diverse sessioni di gioco molto ravvicinate.
Cosa potreste odiare
Prendo in prestito un po' di concetti espressi in sede privata da un altro recensore competente, visto che li ha espressi in modo chiaro e migliore di quanto avrei potuto fare io. Mi trovo d'accordo praticamente su tutto e sono le stesse sensazioni da me provate, per cui appoggio in pieno il suo “warning”
L'iniziale sense of wonder che l'esplorazione offre si va rapidamente perdendo non solo perché si ripercorrono gli stessi luoghi, ma anche perché la ripetitività della meccanica lo fa passare in secondo piano. Anche le carte esplorazione non sono poi moltissime e ripetendo la stessa maledizione o facendo le successive potresti trovarti a fare le medesime prove.
Dato che quando finisce il mazzo azioni pescare dagli scarti può significare morire da un momento all'altro, si deve evitare questa situazione con le azioni che ti permettono di trasferire le carte dagli scarti al mazzo pesca. Il modo più efficace è il cibo, meglio ancora se cucinato sul fuoco. Quindi si impara presto che il gioco offre degli spazi caccia/pesca che ottimizzano questa azione. Quindi il gioco è stato uno spostarsi da un luogo di caccia all'altro, per mantenere alte le possibilità di sopravvivenza.
Una volta che hai fatto questo una, due, cinque volte... ti aspetti che il gioco ti offra altro. Una volta che una struttura di gioco l'hai costruita, dammi un minimo di brio. Hai un player aid che mostra 30 azioni possibili che si riducono sempre allo stesso push your luck: pesca tot carte e vedi se hai le stelline necessarie per superare il check. Il numero di carte speciali aggiunte estremamente esiguo (a fronte di una notevole quantità di punti accumulati). Dammi qualcosa che mi faccia uscire da questo circolo eterno... E spero che la risposta non sia "bisogna andare avanti", perché il tempo impiegato in queste attività è già decisamente troppo.
Veniamo ai sottogiochi: qui ogni carta esplorazione vi propone un giochino diverso: una volta una prova per avere un bonus, una volta una prova per non avere una sfiga, una volta un puzzle da ricomporre. Quando avete (finalmente!) messo la carta a terra, dovete guardare bene se nasconde un numero segreto, o se ha qualche elemento che vi può aiutare (tipo una pianta o un minuscolo oggetto). Dalla Settimana Enigmistica si passa al Corriere dei Piccoli, tra "Aguzza la Vista" e il più classico "Trova le Differenze".
Alla fine è uno di quei giochi in cui il sistema analogico non ti dà nulla di più rispetto a una possibile versione digitale, che anzi sarebbe molto più comoda e funzionale.
Conclusione
Ho scritto questa recensione non molto tempo dopo quella di Tapestry. Il gioco di Stegmaier mi ha in fondo divertito e invogliato a fare più partite, ma oggettivamente è fatto male. The 7th Continent ha invece una sua dignità ludica e ha fatto da apripista a un intero genere di esplorativi-narrativi che sta prendendo sempre più campo, ma soggettivamente mi ha ucciso.
In entrambe le recensioni ho cercato di far in modo che la valutazione finale rispecchiasse il valore oggettivo del gioco (che è il voto 7.5 espresso in alto), non quello soggettivo (che sarebbe un bel 4 secco).
The 7th Continent porta la vera maledizione nel suo nome: per qualcuno sarà davvero un nuovo continente, per altri solo un'isoletta inospitale in mezzo all'oceano.