Ottima recensione e mi trovi su tutto. A me tra i due (forum traianum) di Feld dell'ultima annata, questo mi ha convinto di più...veloce,non banale e gira bene in tutte le configurazioni...a casa ci abbiamo fatto diverse partite ...
Insomma il buon vecchio Feld, a furia di tentativi, è tornato.
Beninteso: non siamo dalle parti degli incastri perfetti di Die Burgen von Burgund; né traspare la genuina cattiveria di Nell'anno del dragone. Epperò questo Carpe diem ci si avvicina – e più di quanto si possa pensare.
Tutto fa brodo
Carpe diem è fondamentalmente un piazzamento tessere in cui l'inevitabile componente tattica – la scelta delle tessere disponibili – è imbrigliata da ben tre livelli strategici, che si fanno avvertire non poco. Ma ci torno a breve.
(Un'insalata che condisce. Che tempi, signora mia!)
In pochissime parole, nel proprio turno si deve spostare il proprio patrizio lungo una delle direttrici tra gli spazi tessere del tabellone – un po' come Roversi di domenica si sposta da una tavola imbandita all'altra – e quindi scegliere una di queste da piazzare sulla propria plancia personale. (L'ambientazione da Roma antica la liquido in due parole: semplicemente non c'è; ma la cosa non stupisce di certo.)
Vanno ovviamente rispettate le regole di adiacenza e di congruenza: prato con prato, vigna con vigna, formaggio con pere – quelle cose lì, insomma.
Alcune tessere forniscono bonus istantanei: le fontane permettono di pescare degli obiettivi segreti, mercati e panettieri piccoli fanno guadagnare immediatamente un denaro e una pagnotta; altre tessere permettono di costruire e poi chiudere elementi più complessi, tipicamente edifici (per esempio quelli grigi, che consentono di avanzare sul tracciato dell'ordine di turno, altro marchio di fabbrica dell'autore di Gengenbach) o coltivazioni, le quali garantiscono un certo numero di risorse tra pollame, pesci, uva e verdura; altre ancora, infine, permettono di completare parti di abitazione, sempre viste dall'alto, che forniscono punti in base a quanti camini contengano.
Come detto, l'interazione non è da sottovalutare, perché non si limita al sottrarre qualche tessera agli avversari. La cosa – lo capirete – garantisce una notevole prondità legata alle scelte di gioco e conferisce notevole mordente al gioco.
A fine partita, come anticipato, si danno punti per gli obiettivi delle fontane, per i camini delle abitazioni completate, per le merci e le monete rimaste. Si controllano, infine, gli obiettivi date dalle cornici delle plance giocatore: queste, infatti, vengono composte a inizio partita sceglieno quattro elementi casuali e, fondamentalmente, indicano un certo tipo di edificio o terreno e una riga della plancia. A fine partita, se quella riga interseca almeno un edificio o terreno del tipo indicato, arrivano altri punti – non pochi, peraltro.
Si fa presto a dire piazzamento tessere
Tre livelli strategici, dicevo. Il primo, banalmente, è quello della plancia personale: capire dove costruire una fontana, dove aprire viceversa un laghetto artificiale (e quanto esteso costruirlo), cercare di rispettare i prati delle cornici e, possibilmente, andare a coprire gli spazi che consentono di avanzare sul tracciato dell'ordine di turno (nove in tutto) nel momento giusto sono elementi magari molto basilari, ma che ci si aspetta di trovare in qualsiasi gioco che sfrutti – bene – questa meccanica.
(Senza entrare nel dettaglio, aggiungo qua che in questa fase vengono in aiuto le monete – che possono sostituire qualsiasi merce – e le pagnotte: spendendone tre è possibile considerare soddisfatto qualsivoglia obiettivo. Per amor di completezza, queste ultime hanno poi un secondo utilizzo, poiché – spendendone una – è possibile ignorare i vincoli di scelta dello spazio azione.)
Il terzo livello, infine, è quello delle cornici. Stante tutto quanto detto prima, bisogna pure cercare di costruire dove conviene per garantirsi un'ulteriore manciata di punti a fine partita.
Tutto questo, peraltro inserito in un gioco tutto sommato breve, fa di Carpe diem un gioco certo potabile anche per giocatori alle prime armi; ma certo rivolto soprattutto a chi con gioco da tavolo ha già una certa dimestichezza.
Fuoco nel fuoco, alea nell'Alea
Una parziale valvola di sfogo che permetta di venire a capo delle ottomila cose che, inevitabilmente, si cercheranno di fare e di aprire viene dalle tessere col retro scuro, disponibili fin dall'inizio come bonus per un certo tipo di edificio e poi nell'intero quarto round. Queste tessere, a differenza delle altre, contengono solo pezzi unici di edifici o terreni e consentono di chiudere quanto aperto precedentemente – accorgimento, questo, che consente di dare dignità anche alle strategie più confusionarie, specie quelle che cercano di stare dietro a tutto.
Non vanno poi sottostimati i punti che vengono forniti dalle fontane, soprattutto se si ha la fortuna di pescare più volte carte che premiano gli stessi elementi – per esempio le fontane stesse.
Già che ho parlato di fortuna: nel gioco c'è un certo fattore di alea, legato soprattutto all'uscita delle tessere (che però escono tutte a ogni partita) e, appunto, delle carte fontana. Non disturba; anzi: rende assai più vario e gradevole il gioco.
(Ovviamente non si parla di fortuna per quanto concerne le carte obiettivo, dal momento che queste sono note fin dall'inizio della partita.)
La fregatura c'è, ovviamente...
Carpe Diem è un gioco Alea e la – peraltro magnifica – collana della Ravensburger non si è smentita nemmeno questa volta: i colori smorti, le tessere sottili, l'improbabile grafica di Lalanda Hruschka sono tutti elementi che faranno storcere il naso a più di un possibile acquirente; ma, dato anche il prezzo di vendita decisamente contenuto, si può benissimo soprassedere. Tanto più che i pezzi di legno sono molto carini e ben sagomati e, alla fine, il colpo d'occhio non è nemmeno malvagio.
(In tutto questo sorvolo beatamente sul segnalino primo giocatore: raramente ne ho visto uno più macabro.)
Non finisce qui, perché anche l'ergonomia potrebbe essere migliore. Non si capisce, per esempio, chi abbia partorito l'idea delle carte punteggio: segnalini come quelli di Puerto Rico – inutile scomodare, per ovvi motivi, il bellissimo spessore di quelli di Troyes – avrebbero svolto la funzione sicuramente meglio e, anzi, avrebbero consentito di avere più tagli bassi, senza costringere i giocatori a continui cambi per liberare carte da uno e tre punti vittoria.
Ancora: i segnalini per l'ordine di turno sono talmente piccoli che creano più fastidi che altro – anche perché sono fondamentalmente superflui, visto che è immediato avanzare nel tracciato quando si piazza una tessera su uno spazio contrassegnato dalla medesima icona.
...ma, come dicevano nell'antica Roma, "sticazzi"
A parte il prezzo, che comunque di questi tempi è un'autentica manna dal cielo, e le altre caratteristiche già citate che, piacciano o meno, caratterizzano il gioco (strettezza, interazione, astrazione), occorre spendere due parole su un altro aspetto che il buon Feld difficilmente sottovaluta: la scalabilità. Favorito anche dalla struttura stessa, il gioco si adatta estremamente bene a tutte le sue configurazioni: da una parte varia il numero di – chiamiamoli così – spazi obiettivo (come detto, nove in due giocatori, tredici in tre e diciassette in quattro, sempre con uno solo di margine); dall'altra garantisce che ogni giocatore piazzi sempre ventotto tessere (a meno di bonus): in meno di quattro giocatori, infatti, gli spazi tessere vengono svuotati quando rimangono una o due tessere, cosa che aumenta ulteriormente il livello di pianificazione richiesto, giacché durante il proprio turno è possibile elimare dal gioco tessere che a un avversario possono interessare anche parecchio – cosa che garantisce, per inciso, un ulteriore livello di interazione, che male non fa.
Carpe Carpe diem
Un buon gioco, in definitiva. Non un capolavoro, certo; ma sicuramente è la botta di vita che ci si aspettava da quel vecchio volpone di Feld. Quando va sul sicuro, facendo risaltare i suoi marchi di fabbrica – i meccanismi che girano senza intoppi; l'importanza drammatica del tracciato dell'ordine di turno; l'insalata di punti che non snatura, ma anzi valorizza il gioco – il nostro sa ancora proporre qualche perla.
In un anno tutto sommato scevro da giochi che lasceranno il segno, soprattuto nell'ambito dei tedeschi duri e puri, un gioco come Carpe diem ha saputo ritagliarsi il suo spazio e, se pure escluso dalla rosa degli otto del Magnifico – senza che la cosa stupisca, dato che obiettivamente il gioco di Feld innova poco e niente –, sono abbastanza sicuro che sarà tra i pochi titoli del 2018 a superare, se pure sottobanco, la prova del tempo.
Voglio dire: se c'è riuscito Alex L'ariete...