"O forsi l’è sta’l to regaal
strepamm via quela man sciagürada
che pregava per mea fass cupà
e sparava sparava sparava a oltra geent che sparava
e sparava sparava sparava a oltra geent che pregava"
Davide Van De Sfroos, Il Reduce
(O forse è stato il tuo regalo
strapparmi via quella mano sciagurata
che pregava perché non mi facessi ammazzare
e sparava sparava sparava ad altra gente che sparava
e sparava sparava sparava ad altra gente che pregava)
La casa di Pavlov (dal nome di Jakov Pavlov, il sergente dell'Armata Rossa che fu tra i primi difensori) – come ben sa chi si diletta con i libri di storia (consiglio Stalingrado di Antony Beevor, già che ci sono), con i wargame o, banalmente, con videogiochi come Red Orchestra – è un edificio dell'allora Stalingrado che fu al centro di un lungo e fondamentale assedio nell'autunno del 1942; assedio che, anche per il suo significato simbolico, è stato uno degli episodi chiave della seconda guerra mondiale. Ovvero la grande guerra patriottica, per inquadrarla con l'ottica dei vincitori, che ancora oggi ricordano quei giorni e il sangue che vi versarono con quella profonda commozione che purtroppo noi altri stiamo perdendo.
Parlo di ottica dei vincitori perché, nel titolo del bravo David Thompson (autore precedentemente di un altro bel solitario, Castle Itter, anch'esso facente parte di una serie che la Dan Verssen Games sta dedicando agli assedi particolari della seconda guerra mondiale – la terza uscita riguarderà quello dell'ufficio postale di Danzica –; ma che ha messo la firma anche su due apprezzati giochi come Undaunted: Normandy e War Chest, questi ultimi con Trevor Benjamin), il giocatore – perché di solitario si tratta, sebbene vi siano modalità cooperative e/o competitive per due o tre giocatori – muove i soldati dell'Armata Rossa. Dentro e fuori le mura della casa di Pavlov.
(In teoria il gioco avrebbe un bellissimo libretto informativo sulla battaglia di Stalingrado, il
companion book; ma giustamente hanno preferito venderlo a parte. Come se già il gioco non costasse un'enormità).
Pavlov's House è un gioco platealmente suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali ha la sua parte di tabellone dedicata; partendo da destra, anche per seguire la struttura del turno (che del resto segue pedissequamente questa tripartizione), si susseguono la fase strategica sovietica a cavallo del corso del Volga, ove si cerca disperatamente di far funzionare batterie antiaereo, trasporti fluviali e telecomunicazioni; il tower defense della componente tattica tedesca, mutuato dal citato Castle Itter, articolato lungo varie direttrici che convergono verso la piazza 9 gennaio – data anniversario dell'eccidio della domenica di sangue del 1905 – e, in particolare, verso la casa difesa dagli stoici uomini di Pavlov e Ivan Afanas'ev; infine la difesa vera e propria, dentro lo spaccato dell'edificio in uno dei suoi quattro piani, comprensivo delle postazioni di combattimento sui tre lati che sovrastano la piazza (la lunghissima resistenza è stata resa possibile anche dal fatto che dalla casa si avesse campo visivo sgombro per un chilometro circa in ogni direzione).
C'era una Volga
Qualche cenno veloce al gioco, che non è difficile da assimilare una volta preso confidenza con le varie procedure riportate nel regolamento, che pure qua e là ha qualche lacuna.
Come detto, i turni di gioco, che si ripetono identici nella struttura fino al termine del mazzo tedesco – o alla sconfitta sovietica –, sottolineano la divisione in tre parti del gioco. Nella prima fase, quella
strategico-sovietica, si pescano quattro carte dal mazzo sovietico e, in base ai raggruppamenti militari rappresentati (due per carta, di cui se ne sceglie uno) si possono eseguire la pochezza di tre azioni, scartando la quarta azione. Senza dilungarsi, le carte permettono o di riparare i danni subiti dai bombardamenti, oppure di svolgere azioni proprie del quartier generale dell'armata, o del reggimento, o del battaglione del caso: armare una batteria contraerea, ripristinare le telecomunicazioni (particolarmente importante, perché permettono di ottenere la quarta, fatidica azione per turno), far arrivare nuove reclute nella casa di Pavlov o organizzare l'invio di cibo, mine e beni vari ai difensori dell'edificio mediante trasporto sul Volga. Le azioni sono poche di loro e le continue incursioni degli
Stuka [bombardiere dell'aviazione tedesca, NdR] rendono la vita degli addetti alla logistica una sfida non meno infernale di quella del manipolo di soldati che cercano di supportare in tutti i modi possibili.
(In particolare ogni Stuka che non viene abbattuto lancia tre dadi e colpisce il bersaglio indicato dalla somma, con la particolarità che un luogo già danneggiato fa scalare verso il successivo, fino al 18 del quartier generale della celebre 62ª Armata che, se colpito una seconda volta, porta alla sconfitta immediata dei sovietici).
Siamo rimasti in tre
Nella fase successiva, quella tattica tedesca, si pescano tre carte dal mazzo degli attaccanti – che viene costruito in maniera tale da graduare l'operazione bellica della Wehrmacht – e si eseguono le procedure del caso per l'aggiunta di nuovi segnalini unità – i counter, per intenderci – sul tabellone, per l'attacco alla struttura della casa con l'artiglieria, per la sanguinosa incursione di un cecchino o, appunto, per le incursioni aeree. Inserite nel mazzo in alcuni punti ci sono le carte Resupply, che prima chiedono di nutrire i difensori e poi diventano incursioni che gli stessi possono – e dovrebbero – intraprendere verso obiettivi limitrofi (il granaio e la collina del Mamaev Kurgan, per citarne due dei più noti) per raggranellare qualche punto.
Nella terza e ultima fase, infine, come detto ci si sposta
dentro le mura: si possono spostare fino a tre soldati e poi svolgere altrettante azioni (quattro e quattro se tutti e tre gli uomini con abilità di comando sono in una delle postazioni di combattimento); tra queste elenco brevemente solo l'attacco, la richiesta di rinforzi o di intervento delle batterie di artiglieria sull'altra sponda del Volga – batterie che, l'avrete capito, bisogna allestire nella fase strategica – e il fondamentale recupero: praticamente ogni azione, infatti, esaurisce la resistenza degli uomini e serve un attimo di respiro – o un comando perentorio – per ritornare in forze.
La casa del solo che nasce
Non è un segreto il fatto che io sia piuttosto allergico ai giochi da tavolo in solitario: perfino uno che funziona molto bene come quello di Lewis & Clark mi ha detto poco; e lo stesso Mage Knight l'ho approfondito solo per esigenze radiofoniche; ed è pur vero che se ho due ore libere la prima cosa che mi viene in mente di fare non è tirar fuori Pavlov's House, poco ma sicuro.
Eppure, non solo il gioco della DVG si lascia giocare, ma arriva ad appassionare. Vuoi per l'ingente mole di informazione storica inserita con cognizione di causa nel gioco; vuoi per l'altissimo grado di sfida del gioco (scordatevi vittorie facili); vuoi per l'incredibile fascino dell'ambientazione.
Il regolamento non è difficile, anche perché diverse azioni vengono risolte in modo analogo; ma alcune procedure richiedono magari un po' di rodaggio prima di poter essere risolte in autonomia (per esempio quella relativa ai cecchini, che consta di tre tiri di dado in successione: uno per determinare il lato della casa sotto tiro, un secondo per determinare il bersaglio tra le varie postazioni di combattimento e un terzo per valutare se il colpo va a segno). Quest'ultima parte, in particolare, sfrutta un'idea piuttosto elegante relativa alle difese della casa:
ognuno dei tre lati attaccati ha un suo livello di difesa – inizialmente sei – che viene sempre più abbassato dagli attacchi dell'artiglieria tedesca e che può essere almeno parzialmente ripristinato spendendo preziosissime azioni dei genieri; il valore di difesa, che i dadi tedeschi devono semplicemente uguagliare o superare, è il riferimento per tutti gli attacchi rivolti contro la casa e i suoi occupanti.
Da entrambe le parti, dunque, posto che il valore difensivo è un numero minore o uguale a sei (la casa stessa, come detto, per i soldati dell'Armata Rossa e il classico scudo sui segnalini tedeschi), la potenza di attacco non è data da eventuali modificatori, bensì dal numero di dadi che si lanciano per provare a battere questo numero. Non è certo un caso che il più costoso da arruolare tra i soldati sovietici – richiede tutti e sei i punti di una singola azione strategica di arruolamento – sia Čekhov, che in attacco tira ben quattro dadi.
Afferrati questi concetti, il resto è ricordarsi i dettagli: quanti dadi si lanciano per la contraerea, quanti per una mina nascosta per rallentare i tedeschi, quanti se ne lanciano per un attacco di soppressione (il fuoco di copertura che da una parte provoca stordimento nei sovietici e dall'altra crea la possibilità di evitare la comparsa di nuove unità o mezzi corazzati tedeschi nell'insidioso tower defense della seconda mappa – nemmeno a dirlo, se un segnalino tedesco raggiunge la casa la partita è immediatamente persa).
Il fuciliere Klotz è atteso in fila sei
Detto del sistema di attacco, ci sono almeno un paio di aspetti – più o meno originali non mi è dato saperlo, visto che oltreché di solitari sono pressoché digiuno anche di wargame e quindi capirete bene quante solide siano le basi per questa mia recensione – che a parer mio meritano particolare attenzione.
Il primo, di esemplare semplicità, è legato alla
linea di vista, concetto peraltro basilare nel gioco simulativo di guerra (non è un caso che in molti ne abbiano sentito la mancanza in
Undaunted: Normandy). Thompson risolve il problema ricorrendo a un colore per ogni lato dell'edificio, così da sapere immediatamente chi vede chi, dentro e fuori la casa; la soluzione, peraltro, permette senza regole aggiuntive di gestire le caselle d'angolo che, se da una parte vedono due lati su tre della piazza, dall'altro per via della doppia valenza sono altresì possibili bersagli di buona parte delle truppe tedesche.
(Da notare la scelta – peraltro tematicamente coerente almeno a giudicare le planimetrie della battaglia – di non distribuire equamente sui tre lati le forze attaccanti, che per la maggior parte confluiscono da ovest e sudovest, lungo le dorsali verde e rossa della mappa).
La seconda è legata al sistema di scelta delle azioni per la parte strategica e alla sanguinolenta pochezza di azioni possibili che ne consegue: quasi tutti i comandi militari permettono solo una dolorosa scelta alternativa, fai l'azione, oppure togli il segnalino danno; e, per inciso, le alternative possibili sulle carte sono solo otto (due delle quali, le batterie antiaeree, identiche a meno del luogo geografico – per inciso, una diversa sfumatura di colore del disegno avrebbe consentito di distinguere immediatamente tra 267° battaglione e 1083° reggimento, evitando qualche piccolo errore di distrazione nelle prime partite).
Dunque: una manciata di azioni possibili, peraltro molto semplici nel loro svolgimento – la prima delle tre parti del turno è di gran lunga quella più semplice da un punto di vista delle regole – e quasi astratte nelle loro modalità, visto che è quasi sempre un piazzare o togliere dischetti. Eppure su quei cazzo di dischetti c'è da sudare, giacché poter eseguire
solo tre, dannate azioni a turno costringe a rinunce veramente enormi: riparare il telegrafo può voler dire diminuire le difese antiaeree, col rischio di veder vanificati ancor più gli sforzi; e però quel cazzo di telegrafo e la quarta azione che porta con sé è poco meno che vitale.
A livello di ambientazione tutto ciò è, considerando la pochezza di accorgimenti necessari, quantomeno sorprendente.
(Peraltro trovo alquanto difficile rinunciare alle azioni della flottiglia del Volga, giacché in quella casa hanno continuamente bisogno di rifornimenti, soprattutto segnalini soppressione, mine [per riparare le mura, ma anche per fermare le colonne tedesche] e ovviamente il cibo: nella mia seconda partita, preso confidenza col gioco, ho imbastito delle ottime difese, riparando ogni volta i danni dell'artiglieria nemica e piazzando un'unità anticarro in uno dei due angoli dell'edificio [non entro nel dettaglio di queste armi speciali, che richiedono un po' di eccezioni]; con la necessità del "sei" gli attacchi tedeschi erano perlopiù inefficaci e, peraltro, nella fase strategica potevo giostrarmi un po' di più nella rimozione dei danni. Il problema è che, se rifornisci gli uomini di mine e mirini, quello che scarseggia è il cibo – e infatti alla seconda carta Resupply ho preso una mazzata che nemmeno il peggior Uwe Rosenberg).
Counter che ti passa
Alla fase strategica del turno è legata anche la gestione della
nebbia di guerra, strettamente legata alla meccanica delle telecomunicazioni e gestita con una modalità – quella delle carte che ingolfano la mano – che è vero che ormai si è vista più volte (nel già citato
Mage Knight, ma anche in
Nemesis e perfino in
Flamme Rouge, giusto per non tirare in ballo dei
wargame), ma che funziona sempre benissimo. In questo caso la nebbia di guerra non solo può limitare la scelta delle azioni strategiche disponibili (una carta su quattro), ma addirittura ridurre il numero di azioni stesse: la cosa, lo capirete, è da evitare come la luce accesa in salotto con le finestre aperte in pieno agosto.
Altro aspetto di cui si deve parlare – e poi forse la smetto – è quello della casualità. Niente che sorprenda un grognard, ma è bene che chi arriva dal gioco da tavolo più convenzionale sappia che in Pavlov's House quasi ogni decisione è soggetta al volere dei dadi. I risultati possono essere arginabili (mura a sei), ricercati (attacchi con tre o addirittura quattro dadi), messi in conto quanto si vuole; ma sono comunque frutto di aleatorietà: come detto, l'attacco di un singolo Stuka può decidere le sorti dell'assedio. Del resto si sta parlando di guerra e, sia ben chiaro, non solo va bene così, ma non potrebbe essere altrimenti.
Tornando infine sul livello di difficoltà, come detto elevatissimo, va aggiunto che il regolamento prevede due varianti, una delle quali – le carte tattiche tedesche – forniscono bonus alle truppe attaccanti. Come se ne avessero bisogno. (L'altra, il supporto operativo, consente di racimolare qualche punto extra – perché alla fine di questo si tratta: fare punti – spendendo dei segnalini vari; ma non mi dilungo).
Hanno ammazzato Pavlov! Pavlov è vivo!
(No, Pavlov è sopravvissuto alla guerra; ma ormai ce l'avevo in testa: che ci posso fare?)
Sebbene Pavlov's House si possa giocare anche a livello cooperativo (con un giocatore che si occupa del lato strategico e l'altro chiuso con gli assediati); competitivo – se un giocatore si diverte a girare carte per i tedeschi e fare poco altro –; e addirittura in tre unendo le due cose, il gioco è squisitamente solitario – e ribadisco ancora la mia avversità al genere, a conferma della bontà del titolo.
Anche i materiali fanno la loro: solidi, spessi e profumati di gioco buono. Molto bello l'effetto lucido del tabellone.
L'ergonomia è decisamente buona, date le dimensioni di tabellone e segnalini e la sostanziale chiarezza di icone e numeri – pochissimi – su carte e counter; parziale eccezione la fanno la scelta cromatica delle carte di cui sopra e quella dei segnalini azione e comando, di due tonalità di rosso praticamente identiche: poco male, in ogni caso.
Un bellissimo gioco, dunque, in grado di offrire scelte sofferte sia a livello strategico, sia a livello tattico e caratterizzato da un continuo, meraviglioso rimando dentro-fuori: per l'artiglieria, per le necessità logistiche, per le nuove reclute, per un tozzo di pane.