Bell'articolo. Il titolo mi ispirava. Avrei dovuto approfondire, il tuo articolo cade a fagiolo.
Dalla prima chiamata di re Tritus sono passati dieci anni.
Le province del regno di Kingsburg, che nel frattempo si è espanso, aspettano di conoscere i loro nuovi governatori.
Questo incipit è di una banalità sconcertante.
Trenta stagioni produttive fa
Nel duemilasette si era tutti meno esigenti, e un gioco con i cubetti – marrone grigio e giallo, come le medaglie olimpiche – sapeva ancora stupire.
Kingsburg è stato per la gestione dadi quel che – molti anni prima – I coloni di Catan era stato per i giochi alla tedesca e che – alcuni anni dopo – Survivor sarebbe stato per L’isola dei famosi: non aveva la fredda grazia di Troyes, né la geometrica precisione di Die Burgen von Burgund, men che meno il coraggio di Sulle tracce di Marco Polo; ma, nella sua imperfezione, Kingsburg fu un precursore – e ‘sta ristampa cara come il salmone scozzese, be’, forse se la merita.
Cervi, draghi e montoni
A Kingsburg sono state giocate migliaia di partite, sul tavolo e davanti a uno schermo, e davvero non è il caso di dilungarsi molto sul regolamento: questo mi direi se fossi uno bravo.
E invece.
Nell’arco dei cinque round del gioco (a coprire un ipotetico lustro del regno di Tritus, che è tipo il re più famoso della storia del gioco da tavolo, forse perché l'unico con un nome) i governatori – noi altri giocatori e le nostre province coi loro belli stemmi zoologici – dobbiamo usare i dadi per influenzare i consiglieri di corte durante le tre stagioni produttive, per poi affrontare (separatamente) le minacce invernali – ché, quale che sia l’universo, di invadere regni coll’afa di agosto anche no, grazie.
Alla fine di ogni stagione produttiva è possibile costruire uno degli edifici tra quelli disponibili sulla propria griglia, pagando le risorse necessarie e a condizione che sia quello più a sinistra possibile sulla sua riga. Prima di ciascuna stagione è inoltre previsto un certo aiuto o premio reale (un dado aggiuntivo, punti vittoria, la possibilità di influenzare un consigliere già scelto o di costruire due edifici insieme – non mi dilungo).
Come detto, l'inverno è invece dedicato alle battaglie contro gli invasori esterni: sommando ai valori di forza ottenuti nell'anno in corso (e a quelli comprati appena prima della battaglia) i bonus dati da certi edifici e, ulteriormente, il valore ottenuto da un singolo dado (l'aiuto del re), ogni giocatore confronta il suo totale con la forza del nemico e determina se fa il suo compitino e vince il secondo premio in un concorso di bellezza, pareggia e stringe la mano all'avversario oppure viene deriso dagli avversari e praticamente estromesso dalla partita (sia ben chiaro, le battaglie di Kingsburg sono pensate perché non le si perda: il vincitore si porta a casa un lecca–lecca, chi perde deve lavare i piatti per due anni).
Questo è quanto; detto questo, ecco un po' di considerazioni rivangate dalle discussioni di dieci anni fa, che non fanno mai male.
Un argomento tritus e ritritus
Diverse le critiche che, nel tempo, sono state rivolte al gioco e, bene o male, sono state tutte confutate:
- l’impatto dell'alea non è così elevato, perché qualcosa da influenzare lo si trova sempre, e comunque ci sono diversi metodi per modificarne il valore (i gettoni–più–due e il mercato su tutti);
- la relativa difficoltà nel procacciarsi la pietra è non solo voluta, ma pure funzionale a quella che è la necessità del suo utilizzo per gli edifici;
- l’altrettanto relativo livello di sfida degli invasori, come detto, è giustificato dal gioco stesso (la necessità di rinforzarsi militarmente non è paragonabile al cibo di Agricola, per intenderci) e del resto compensato dalle ricompense di guerra, che – come detto – sono di valore assoluto assai più limitato rispetto alle penalità in caso di sconfitta – queste sì in grado di sconvolgere la partita;
- lo stesso dado del re, ritenuto da molti (me compreso) fin troppo largo, è arginabile o utilizzando dadi calmierati (o addirittura un dado da tre), oppure con gli elegantissimi gettoni dell’espansione (su cui tornerò a breve);
- la durata è certo importante, per un introduttivo – e però senza paralisi d’analisi il gioco scorre piuttosto veloce;
Restano, certo, dei difetti e qualche aspetto che poteva essere migliore – ma questo è vero anche per Alta tensione, per Rogue One: a Star Wars story e perfino per il pandoro Bauli.
L'espansione del testo
Edita nel duemilanove con la sua bella copertina arancione carota e, negli anni, divenuta sostanzialmente introvabile (a meno di non frequentare i mercatini delle pulci di Celestopoli), L'espansione del regno ha introdotto nel gioco una serie di moduli che vanno dal bello al dannatamente utile, e che da allora l'hanno resa – insieme all'espansione di Vanuatu all'altro lato della scala – il metro di giudizio accettato dal sistema internazionale per le espansioni tutte.
Di L'espansione del regno ne parlo perché i suoi moduli nella seconda edizione ce li ritrovate dentro tutti – e la cosa è tanto sensata da non poter nemmeno concepire un'eventualità diversa, sebbene la realtà ci abbia già abituato a scelte di dubbia felicità, in tal senso. Nel commentarle, parlo ovviamente dei materiali della seconda edizione.
La prima aggiunta riguarda i nuovi edifici base, che portano le righe di quelli costruibili da cinque a sette (le plance personali, sottili ma molto belle, sono a doppia faccia e consentono di giocare anche con le cinque originali). A questi si aggiungono le sette strisce sovrapponibili, scelte tra quelle disponibili o selezionate tramite asta, che consentono di creare un minimo di asimmetria nel gioco. Gli edifici di queste strisce sono quasi tutti decisamente interessanti e aprono a nuove e notevoli chiavi di gioco (frase che va sempre bene quando vuoi far finta di aver provato qualcosa).
Dell'espansione originale rimane da parlare dei due mazzi aggiuntivi, ossia eventi e personaggi. Degli eventi se ne attiva uno casuale all'inizio di ogni round e i suoi effetti valgono per tutto l'anno; questi ultimi possono essere negativi (consiglieri bloccati, re incazzato, sportello postale che chiude alle 13h30) o positivi (tendenzialmente risorse aggiuntive). Da segnalare che è prevista una pur remota possiblità di pescare due malattie del re, cosa che pone immediatamente fine alla partita – personalmente, trovo la cosa quantomeno intrigante. In generale, questi eventi divertono e movimentano un po' la partita; valendo poi per tutti, non influiscono poi granché all'annosa voce della fortuna, che molti – troppi – giocatori demonizzano ben oltre i suoi demeriti.
E non è ancora finita, come disse Gerrard quella sera del 2005
C'è ancora posto per due ulteriori moduli, questa volta inediti: li segnalo, ma premettendo che non li ho provati (né ho intenzione di farlo nel breve termine, ché di carne al fuoco ce n'è già abbastanza). Intanto ci sono degli effetti alternativi per i sedici consiglieri che – con una certa variante che non sto qua a spiegarvi – vengono progressivamente sostituiti a quelli soliti; sicuramente interessanti, sono tuttavia molto meno immediati e introducono una manciata di icone aggiuntive (che però sono elencate nelle utlii carte di riepilogo a disposizione dei giocatori – fronte riepilogo del round, retro icone).
Infine sono inclusi quattro scenari che, come specificato dagli autori, sono stati ideati per divertimento e che quindi potrebbero essere sbilanciati – o comunque non provati a dovere. Poco male senz'altro – e anzi idea molto bella.
Esatto: 7,9
Come le gare di pattinaggio, anche una recensione deve comprendere un programma tecnico; si tratta di quella parte noiosa che... lo sapete bene, dai, tutte quelle robe lì: scalabilità, profondità, longevità, qualità, cortesia.
Eppure Kingsburg rimane un titolo fresco, ideale per introdurre giocatori volenterosi nel mondo smussato dei gestionali di dadi e con una serie di pregi oggettivi. Intanto, scala discretamente bene: ottimo in tre e in quattro, decisamente stretto in cinque, piacevolissimo anche in due grazie ai dadi neutri che bloccano due o tre consiglieri ogni anno.
Quanto alla profondità e al valore del titolo, si tratta di aspetti dimostrati da tempo e, se pure qualche dubbio sulla presenza di una strategia diciamo preferenziale è stato più volte sollevato, questo non ha mai influito più di tanto sul valore del gioco – soprattutto in virtù dei tanti, nuovi edifici dell'espansione.
Rimangono, certo, alcuni edifici quasi essenziali: la locanda coi suoi gettoni più–due, il mercato con la sua gloriosa possibilità di spostarsi su uno dei consiglieri prossimi a quello indicato dai dadi, le costruzioni difensive della prima colonna e i loro bonus militari pressoché irrinunciabili.
Il tutto, garantito al limone, come diceva quell'altro, è bilanciato. Diffidate da chi sostiene il contrario – a meno che non sia il campione mondiale di Kingsburg. O un sith incazzato.
God save the Queen – e meno male che non gioca a dadi
Forse è il caso di tirare le somme, ché avrete altre cose da fare.
Dunque: come avrete capito, la nuova edizione è bella e rende giustizia a questo bel gioco. Il prezzo è elevato, inutile girarci intorno, ma – ahimé – ormai questa è la tendenza e dobbiamo farcene una ragione.
A parziale giustificazione di questo, abbiamo il gioco base in una veste rinnovata e tutte le espansioni disponibili, in una qualità di materiali davvero notevole e con una scatola robusta e dalle dimensioni contenute (le dimensioni sono quelle di Ticket to Ride, per capirci).
A uscirne un po' penalizzata, va detto, è l'ergonomia: i segnalini giocatore, per esempio, sono dei bei dischetti con la bestiola dipinta sopra, ma forse – dovendo muoverli sui tre tracciati – sarebbero stati più comodi dei cilindri, o dei prismi tipo quelli delle rotelle di Gerdts. Gli stessi dadi, molto belli con le loro decorazioni e gli spigoli vivi, sono forse meno leggibili di quelli classici: che ci crediate o meno, sui cubi–di–sorte i pallini sono più immediati delle cifre; inoltre, quelli bianchi sono poco distinguibili da quelli neri, pur avendone i non–colori invertiti. Beninteso: è voler cercare il cuoco che ha lasciato il pelo nell'uovo – per chiedergli come abbia fatto, presumo.
Dei materiali, ho detto qua e là: sono buoni, non buonissimi – le carte non sembrano resistentissime e la grafica poteva essere migliore, le plance non spessissime, il tabellone un po' freddo, le risorse sagomate un po' scomode da maneggiare e difficili da impilare durante il turno degli avversari – e lasciano un po' l'amaro in bocca, pensando al prezzo. Ma solo un po', perché in giro c'è di peggio – e a molto di più.
Kingsburg è un gioco che piace e che si gioca tanto: è sempre stato così e, in fondo, il valore di un classico dalla bellezza solo intaccata dal tempo – come Jurassic Park, le palline rosse sull'albero di Natale e il filetto al pepe verde – sta anche in questo.