Complimenti per l'articolo, io invece per chissa' astrusa ragione, forse perche' troppo impreparato/impaziente sono passato direttamente alla sua evoluzione: Labyrinth. Decisamente troppo macchinoso e con diverse lacune dove troppe variabili vengono prese in considerazione, eppure sempre li assemblato sul tavolo pronto per una partita.
Non ho ricordi della guerra fredda.
L'ho respirata, ma non l'ho vissuta.
Quando la storia cambiò e smise di essere tale (se mai storia lo fosse ancora), io avevo quattro anni e di muri - ancora troppo giovane perfino per scavalcare quelli dei felici giochi all'aperto - conoscevo solo quelli rassicuranti di casa mia.
Non l'ho studiata, la guerra fredda.
Non si dovrebbe crescere senza sapere chi fu De Gasperi; senza voler capire quello che ci ha portari a essere siamo quello che siamo; senza comprendere perché i nostri nonni e i nostri padri abbiano così paura della valigetta di Trump.
Non si dovrebbe crescere con la convinzione che quegli anni, pericolosamente vissuti sul filo di due lame incrociate - i giovani di allora a guardare insieme sognanti e impauriti, a ovest o a est, mentre l'Italia industriale provava a spiccare il volo e, nell'indifferenza, affogava quella contadina nelle acque del Vajont -, siano da gettare in quel calderone di eventi, date e nozioni mnemoniche che, sempre più spesso, viene identificato con la storia.
Ich bin ein Berliner!
Noialtri italiani, piccoli europei, semplici pedine sulla scacchiera, la guerra fredda l'abbiamo vissuta sulla pelle.
Inermi, di quel conflitto ne respiravamo la nebbia opprimente: ci leccavamo ferite ancora aperte, tagli profondi che ancora sanguinavano, Trieste e l'Italia stessa ancora lacerate; gemevamo per la Germania divisa e per Berlino, cuore pulsante e dilaniato, a un tiro di schioppo da noi.
Due parti in gioco per infinite parti in gioco, quasi a formare un equilibrio instabile strenuamente difeso, quasi da esso dipendesse la sorte del mondo.
Anni dopo, in un modo che i nostri nonni e i nostri padri non si sarebbero neppure immaginati, né tantomeno avrebbero desiderato, saremmo quasi giunti a rimpiangere quel quarantennio di necessario terrore, quasi desiderando di barattare un mondo senza punti di riferimento, né garanzie per il futuro, con un passato autoconservativo, ancorché famelico.
Presenza, dominio, controllo
Ho capito che ne porto i segni dentro anche se, quando un muro cadde, un impero si sgretolò e un mondo intero perse uno dei suoi principali riferimenti, io ero ancora un bambino; e, come dovrebbero fare tutti i bambini, giocavo.
Da allora è passato diverso tempo, e diversa acqua sotto ai ponti; non è passata, tuttavia - e per fortuna -, la voglia di giocare. Anche con quel passato così ingombrante, tanto tangibile da non sembrare quasi tale.
Non ha bisogno di molte presentazioni, Twilight struggle: gioco di guerra senza guerra, asimmetrico micidiale, tre ore, due giocatori. Purosangue GMT, è stato per anni il primo della classe, prima di venire scalzato da un giovane ribelle che - live fast, die young - chiede di essere sventrato dopo essersi consumato in fretta [Pandemic Legacy, NdR].
Per la verità, il capolavoro di Ananda Gupta e Jason Matthews, almeno nel cuore di molti, è ancora là in vetta, diamante eterno, prezioso nelle sue imperfezioni.
Nel panorama odierno dei giochi da tavolo, dodici anni sono tanti, tantissimi; eppure è dal 2005 che quella scatola, pesante e iconica come poche, genera passione, entusiasmo e dedizione, atteggiandosi altezzosa e orgogliosa, ma concedendosi sempre all'entusiasmo del profano, senza mai limitarsi a sparute partite elitarie.
Sul gioco in sé non servirebbero molte parole, ma è pure vero che è sempre un piacere spenderle.
Rimuovere dal gioco se usata come evento
I componenti sono quelli tipici delle produzioni GMT: plance enormi e impossibili da livellare, segnalini sottili, componenti rigorosamente bidimensionali. Di buona qualità le carte, sebbene tendano ad attaccarsi l'una all'altra; imbustarle non guasta, anche perché si mescolano più volte e sono il cuore del gioco.
Le carte, che presentano un retro disegnato con paint e un fronte con un improbabile sfondo azzurro cotton-fioc, sono caratterizzate da un valore in punti operazione e possono essere associate a una delle due superpotenze (Unione Sovietica e Stati Uniti d'America), oppure neutrali. Ogni carta ricorda un evento reale della guerra fredda, contribuendo non poco alla straordinaria resa dell'ambientazione.
A turno, i due giocatori ne giocano una dalla loro mano, risolvendone l'evento oppure sfruttandone i punti operazione per aumentare la loro influenza nei territori della mappa (in genere coincidenti con gli stati dell'epoca), livellare quella avversaria o tentare un colpo di stato - le ultime due azioni richiedono il lancio di dadi con gli opportuni modificatori. Se la carta è associata all'avversario del giocatore di turno, l'evento ha luogo comunque.
Alcuni eventi, se scatenati, vengono scartati e, più avanti nella partita, potrebbero essere rigiocati; altri vanno invece rimossi. Le carte giocate per i punti operazione vanno sempre scartate.
Alle carte evento si aggiungono le carte punteggio delle varie aree continentali e subcontinentali, essenziali per sublimare eventuali vantaggi tattico-strategici e fondamentali nell'instradare le pianificazioni a breve e medio termine dei giocatori. Le carte punteggio devono essere giocate obbligatoriamente nel corso del round in cui si sono pescate (il regolamento da torneo prevede di mostrare all'avversario il fondo delle carte conservate, a garanzia di ciò).
La partita si svolge entro un massimo di dieci round, suddivisi in tre ere con le relative carte che via via vanno a integrare il mazzo di pesca.
Lo stato di tensione tra le due superpotenze è simbolizzato dall'indice DEFCON, storicamente e tutt'ora utilizzato dalla Difesa degli Stati Uniti e che può assumere valori tra il cinque (tempo di pace) e l'uno, che scatena una guerra nucleare e pone termine alla partita, storicamente mai raggiunto (DEFCON due fu raggiunto una volta sola, durante la crisi dei missili di Cuba).
Al termine di ogni round vanno controllate le operazioni militari (colpi di stato e carte guerra) effettuate e si perdono punti se un certo criterio funzione del DEFCON non è rispettato.
- provocando appunto una guerra nucleare (facendo scendere l'indice DEFCON a uno) e concedendo la vittoria all'avversario;
- controllando l'Europa quando si gioca la relativa carta punteggio;
- raggiungendo i venti punti vittoria (va sottolineato che il tracciato è unico, pertanto ogni punto guadagnato allontana ulteriormente l'avversario dal suo obiettivo);
- grazie alla temuta carta Wargames, che entra in gioco nella tarda guerra, a patto di avere un vantaggio di punti sufficiente (non omettete di rivelare la sua presenza, se spiegate il gioco).
Se, al termine dei dieci round, nessuna delle due parti ha raggiunto una delle condizioni di vittoria, si devono calcolare i punteggi di tutte le aree; in tal caso la vittoria va a chi - al termine del conteggio - ha il segnalino dei punto vittoria dalla sua parte del tracciato.
Una cortina di ferro è calata sul continente
Più di tutto, colpisce un'ambientazione resa molto bene sia attraverso le carte, molto ben contestualizzate e dettagliate (peraltro con la descrizione nell'appendice del regolamento) e dagli effetti straordinariamente verosimili, sia con gli altri componenti: lo standard bidimensionale della GMT, così squisitamente anni Ottanta, in questo caso è talmente appropriato da sembrare quasi voluto.
Il gioco, nel suo dipanarsi attraverso gli anni (indicativamente un lustro ogni round circa), si mantiene sempre sulle rotaie degli eventi reali, ma è in grado di scostarsene quel tanto che basta a riscriverne gli effetti, finanche favorevolmente alla controparte storica.
Il sistema a turno alternato (interrotto solo, a inizio turno, dalle carte giocate in contemporanea dai due giocatori - momento questo di strepitoso tatticismo), con il suo costante ribattere degli Stati Uniti alle insidie sovietiche, riesce peraltro a garantire una tensione costante da entrambi i lati della cortina di ferro - e del tabellone.
Nel caso non conosciate il gioco e vi stiate chiedendo dove sia la stonatura, sappiate che non c'è; o meglio, esiste (parere soggettivo), ma è necessaria. Il poter giocare le carte assegnate alla propria superpotenza per il loro valore numerico, senza quindi scatenare l'evento poiché associato al giocatore di turno, dal punto di vista dell'ambientazione è un'astrattezza che a volte lascia un po' di amaro in bocca (per restare nel medesimo periodo storico, si tratta di un aspetto che, per inciso, colgo ancora di più in un pur bellissimo titolo come Wir sind das Volk!, nel quale la componente tedesca è ben più marcata).
Parlando di asimmetria viene spontaneo dedicare due parole al bilanciamento, peraltro ottimo. Il gioco, attraverso i suoi tre mazzi, è strutturato per essere favorevole all'Unione Sovietica nella prima parte, per poi pendere sempre più verso gli Stati Uniti con gli eventi di tarda era (in ambito ufficiale si tende a compensare lo strapotere iniziale sovietico con qualche piccolo accorgimento, per esempio la variante che prevede di sbloccare la Carta cinese o una manciata di punti influenza in più a disposizione degli Usa - personalmente, non ne ho mai sentito l'esigenza).
L'obiettivo primario del nipotini di Sam è quindi quello di resistere alla dirompente iniziativa sovietica dei primi round, cercando di arginare i suoi tentativi di colinizzazione ideologica (nel medio oriente e in Asia prima, in Africa e America meridionale poi) e i suoi interventi militari; questi ultimi spesso e volentieri sono mirati a costringere gli Stati Uniti (mi perdonerete le sineddoche) a giocare di rimessa, poiché il sovietico ha sempre l'iniziativa (un po' come il tratto del bianco negli scacchi) ed è suo interesse giocare al limite del DEFCON, abbassandolo possibilmente a due all'inizio di ogni round (per esempio tentando un colpo di stato nei cosiddetti territori contesi, ossia quelli in cui il peso negli eventi della guerra fredda si è fatto sentire parecchio, e, contestualmente, negando tale possibilità agli Stati Uniti).
Pantani e trappole per orsi
Nel periodo di media guerra l'aria comincia a cambiare e, col proseguo dei turni, sarà l'Unione Sovietica - qualora non abbia saputo sublimare il suo vantaggio - che dovrà esporsi al lento e micidiale contrattacco avversario.
Quanto alle carte, agli inizi serve qualche partita più tattica, nella quale è un piacere scoprire gli eventi man mano che si pescano; ben presto, tuttavia, le carte si iniziano a memorizzare, ed è allora che la profondità del gioco inizia a esplodere su più livelli.
Ultimo aspetto da considerare è quello dell'alea (è pur sempre un gioco che sta da qualche parte tra il wargame e l'americano): al netto dei modificatori, infatti, diversi aspetti del gioco sono decisi da un dado. Beninteso: nulla che possa inficiare più di tanto una buona strategia, al più è un rischioso intoppo; ma certo è un aspetto che - per quanto del tutto coerente con l'ambientazione - può far storcere il naso a qualcuno.
Un accenno lo merita il regolamento: apparentemente imponente, è in realtà piuttosto semplice (le regole si tengono a mente senza particolari sforzi, e comunque ci sono gli aiuti giocatori per i modificatori al tiro di dado) e ben organizzato in paragrafi numerati. Contiene inoltre un'appendice storica e un utilissimo tutorial (i primi round di una partita reale spiegati e arricchiti da molte immagini).
DEFCON 2
Innanzitutto, la durata: pur senza arrivare agli eccessi di altri titoli GMT (sei, ma anche otto ore), Twilight struggle, per una partita che si potragga fino ai conteggi finali, richiede tre ore - quarto d'ora più, quarto d'ora meno. Sono tre ore appassionanti, tese e appaganti; ma certo impegnative: è un gioco che richiede costanza e, possibilmente, un avversario fisso e allo stesso livello, col quale scoprire insieme le carte e le impensabili ripercussioni dei loro effetti.
Il gioco, per fortuna, è spesso ristampato e, sebbene il suo costo non sia contenutissimo, per quel che offre vale tutti i soldi che chiede. L'edizione deluxe attualmente in commercio peraltro contiene, oltre ovviamente alle carte opzionali tradizionali (che sono parte integrante del gioco), anche le quattro carte promo storiche - tra le quali una dedicata agli eventi italiani - e una quinta carta, Gladio, scelta dallo stesso Matthews al termine di un concorso tra gli appassionati italiani.
Jurij e Samantha
In definitva, si tratta di un capolavoro tale da giustificare la sua aurea quasi mitologica? Posto che si tratta di un giudizio che difficilmente può essere oggettivo, è un gioco le cui meccaniche riproducono in maniera estremamente vivida e veritiera il periodo storico che si promette di raccontare. Proprio il tema di cui tratta, a ben vedere, è ciò che può consentire di dare una risposta personale a questa domanda, perché la discriminante di Twilight struggle è la sua stessa ambientazione.
Quella guerra fredda i cui profondi echi ancora riverberano nei pensieri e nei fatti del presente.
Quella guerra fredda che ho respirato senza viverla e che ho imparato a conoscere.
Quella guerra fredda che non dovrebbe essere rimestata nel calderone della storia.