Vladimir Suchy ha fatto buoni giochi, ma il salto di qualità al livello di design e consensi lo raggiunge con Pulsar 2849, selezionato per il premio Goblin Magnifico 2018 e foriero di una meccanica di gestione dadi davvero ben fatta.
Per il suo nuovo titolo, l'autore si stacca dalla CGE e si mette in proprio, autoproducendosi e creando Underwater Cities, presentato ad Essen. Per 1-4 giocatori abituali (12+), della durata di 60-180 minuti circa, si basa su meccaniche di gestione mano, costruzione rete e piazzamento lavoratori (in realtà “piazzamento carte”, come vedremo).
Come si gioca ad Underwater Cites
Ogni giocatore ha a disposizione uno schema di città sottomarina che dovrà riempire il più possibile costruendo insediamenti (cupole bianche normali e rosse simbiontiche), tunnel a collegarli, impianti di desalinizzazione, serre e laboratori ad aumentarne la produzione.
La meccanica centrale è costituita da un mazzo di carte di tre colori: gialle, rosse e verdi. Il mazzo è comune e ogni giocatore, al proprio turno, si troverà sempre con in mano tre carte tra cui scegliere per eseguire l'azione. Prende la prescelta e la piazza sul tabellone (in realtà ci piazza uno dei suoi segnalini, tre per round, per questioni di spazio), in corrispondenza di uno degli spazi azione ancora liberi (sono cinque per colore dal lato 3-4 partecipanti, quattro dal lato per 2).
Se la carta è dello stesso colore dello spazio, eseguirò entrambi le azioni (carte + spazio), altrimenti, se diversa, solo quella dello spazio scelto.
Come in tutti questi giochi, le carte sono di vario tipo: estemporanee, permanenti, da attivare con un'icona azione, da attivare in una delle tre fasi di produzione della partita, che dura dieci round in totale, all'interno dei quali ciascun giocatore userà tre carte e intervallati appunto da produzioni dopo i round quattro, sette e dieci.
Le azioni servono ovviamente per produrre risorse di vari genere e spenderle poi per attivare carte e soprattutto costruire il proprio complesso subacqueo, più grande ed efficiente.
I punti vittoria si fanno grazie ai città e tunnel, collegando le proprie strutture ad altre metropoli sottomarine (esagono casuali forniti a ciascun giocatore a inizio partita), ma anche molte carte forniscono sistemi alternativi per fare ulteriori punti.
L'idea nuova
Assistere alla nascita di una nuova meccanica è sempre qualcosa di stupefacente. Suchy rispolvera il talento già dimostrato in Pulsar 2849 e crea qui l'elemento di giunzione tra il piazzamento lavoratori e la gestione mano.
L'idea è buona, le carte sono importanti e trovarsi a non poterle usare – o perché gli spazi sono occupati, o perché te ne servono di altri colori – è frustrante e dà sempre l'idea di giocare a metà (ed in effetti fai solo un'azione invece che due).
La sviluppa poi anche con criterio che dà valore ai colori non solo come alternativa: le carte gialle sono deboli ma i loro spazi i più forti, per le verdi è il contrario e le rosse sono una via di mezzo.
I pregi di Underwater Cities
Oltre al nuovo sistema di gioco, Underwater Cities assicura un'ottima variabilità e rigiocabilità, con plance lievemente asimmetriche, metropoli pescate a caso a inizio partita (le due blu danno bonus estemporanei, la marrone un sistema per fare punti alla fine) e naturalmente molte carte differenti tra loro.
Questo si traduce in una serie di diverse strategie. Seppur alla fine il costruire l'insediamento sia una tappa obbligata, il come lo si fa può cambiare anche parecchio.
Un indirizzo strategico, a tal proposito, lo possono anche dare i tre obiettivi comuni (opzionali) e le sei carte di costo tre, presenti fin dall'inizio sul tabellone, che sfruttano sempre un qualche sistema alternativo ai canonici per fare punti vittoria.
Il giusto tempismo di gioco esalta l'opzione di tali carte: una volta prese devono essere giocate, ma se lo si fa troppo presto rischiano di limitarti la mano che, lo ricordo, deve essere sempre di massimo tre carte, a inizio turno.
Apprezzabile anche il tentativo di dare un fondo scientifico all'ambientazione, con carte curate e plausibili negli effetti. In questo senso e anche un po' per il sistema basato sulle carte che si rinnovano di turno in turno, mi ha ricordato parzialmente Terraforming Mars, che però ha una base tematica più forte e accentuata, più enfasi nelle combo degli effetti, più equilibrio grazie al draft e che complessivamente trovo un prodotto migliore, anche alla luce del paragrafo seguente.
I problemi di Underwater Cities
Come tutte le piccole case editrici a conduzione praticamente familiare, anche Underwater Cities mostra il fianco a critiche di natura estetica ed ergonomica. Le plance dei giocatori sono sottili, i materiali in plastica abbastanza tristi, ma quello che di più ha impatto negativo è l'insieme dei colori sgargianti e l'iconografia non immediatamente comprensibile.
Si vede che dietro non c'è la mano di un grafico professionista a sgrossare il tutto: ogni volta che lo apparecchio mi viene sempre in mente il buongusto della Polo Harlekin, che, se non avete mai ammirato, meglio per voi.
Se in Terraforming Mars già l'interazione è limitata e non ti pesti i piedi se non quasi per sbaglio o per prenotare qualche milestone o premio finale, in Underwater Cities la cosa si fa più fastidiosamente complicata.
Da una parte è un multisolitario, essendo assenti pure le carte che facciano qualche danno al nemico.
Dall'altra le sei carte da tre monete sono forse meno importanti dei punti degli obiettivi/milestone di Terraforming Mars.
Ma soprattutto sono gli spazi azione di un certo colore presi dagli avversari che bruciano mosse importanti, come da tradizione del piazzamento lavoratori. È vero che qualcosa di buono si trova sempre da fare, ma proprio per questo è quel classico tipo di interazione che, le rare volte in cui si presenta, diventa ancor più limitante e fastidiosa, perché non solo ti occupa lo spazio utile, ma in aggiunta ti brucia pure la carta.
La meccanica che prevede di ripescare una nuova carta a fine turno, in modo da averne sempre minimo tre in mano, è certamente necessaria per lasciare un margine di scelta al giocatore, favorisce una continua paralisi da analisi, anche per via del fatto che si hanno quindici spazi azioni da combinare con gli effetti di tre carte. Questo alza il già sensibile downtime e soprattutto il tempo complessivo di gioco, che in quattro diventa a mio parere davvero eccessivo, con un emergente difetto di dragging.
Conclusione
Un passo indietro rispetto a Pulsar 2849. Underwater Cities ha un'idea certamente più innovativa, ma nel complesso il titolo risulta meno riuscito del predecessore, pur essendo un gioco assolutamente degno e che consiglio di provare.