Questo articolo nasce da lontano e mi perdonerete se ricostruisco tutta la trafila che l'ha partorito.
Circa un paio di anni fa, in un sondaggio sulla Tana dei Goblin*, emerse che la metà degli utenti vota i giochi “di pancia” o, se preferite, in base al “divertimento” che procurano loro. È logico: cosa deve fare un gioco, infatti, se non divertire? Il nostro è un hobby, si fa per passione, per passare il tempo, per svago. Ognuno si diverte a modo suo, chi provando il brivido della fortuna, chi ragionando sulla strategia migliore, chi immedesimandosi nell'ambientazione, chi bluffando e ingannando gli avversari.
Un attimo.
Rileggiamo le ultime righe.
Questo vuol dire che, a seconda dei gusti del soggetto, lo stesso gioco potrà essere giudicato con un 10 o con un 2, solo in base al divertimento.
Sono stanco, giornata pesante, voglio solo spegnere il cervello, voglio calarmi in un'avventura che mi estranei dalla realtà di tutti i giorni, provare emozioni e brividi sfidando la fortuna, giocare con leggerezza e farmi due risate. Arrivo dai miei amici e mi spiegano Caylus. Due ore e mezza a costruire tesserine con cubi rosa che chiamano cibo e spaccarsi il cervello su dove piazzare sei cilindretti di legno che dovrebbero essere lavoratori. Ma per favore, quanto mi può far schifo un gioco del genere? Che voto darò domani in Tana? Peggio di un lavoro.
I miei gusti però sono diversi, in realtà. Mi piace sfidare i miei compagni, elaborare strategie e tattiche, senza nessun tipo di fortuna ad interferire. Solo io, il gioco e i miei avversari. E l'interazione ci deve essere, ma indiretta: non voglio che mi si rovinino i piani così ingegnosamente elucubrati, magari avvantaggiando così un terzo incomodo. E invece mi fanno giocare a Battlestar Galactica. Tutto pesca carte e tiri di dado, fortuna a manetta, bluff, defenestrazioni di personaggi, alta interazione, diplomazia, discussioni. 2 palle x 3 ore = noia infinita da non ripetere mai più. E domani un bel 3 di voto non glielo toglie nessuno.
(Nota: a scanso di equivoci, per chi non lo sapesse, apprezzo tantissimo sia Caylus che BSG)
Continuo.
A tutto questo si aggiunge la predisposizione della singola serata, lo stato d'animo, i compagni di gioco, il cazzeggio più o meno spinto, le battute la tavolo, il livello di competitività, il nuovo arrivato che ti sta sulle palle, quello che non capisce le regole e gioca a caso, la litigata con la moglie, le settimana pesante, la digestione lenta. Tutto questo influisce sul “divertimento” di una serata e probabilmente quindi anche sul giudizio che formuliamo su un gioco.
Ma non volevo fermarmi qui. Ognuno ha il suo metro e, a quanto pare,
metà del campione che ha votato nel sondaggio ritiene comunque giusto giudicare e votare
in base al puro divertimento che ha tratto da un gioco. Senza tener conto di target, meccaniche, twist, scopo del gioco e molti altri aspetti. Banalmente, anche un aspetto “umorale” come l'ambientazione viene spesso giudicato bene se il tema piace, male se non piace. Non in base all'aderenza tra ambientazione e meccaniche, non in base a quanto effettivamente essa emerga e risulti immedesimante.
Giusto o sbagliato che sia.
Dove volevo arrivare è alla “pancia del gruppo”, ovvero a quel fenomeno che a volte ho osservato, per il quale i giochi vengono spesso giudicati allo stesso modo da tutto il proprio “gruppo di gioco”, con risultati spesso diametralmente opposti da parte di gruppi diversi, nonostante abbiano formalmente gli stessi gusti.
Per cui capita che Navegador sia un capolavoro per un gruppo e magari un gioco sbilanciato sulla navigazione per un altro. Ed entrambe i gruppi sono appassionati del genere e dell'autore, per cui non c'è stato un bias positivo o negativo che sia.
Oppure il giocatore “leader” (quello che nel gruppo normalmente si sciroppa tutti i regolamenti, compra i giochi, li propone e li spiega), presenta un gioco spiegandolo al meglio, con entusiasmo, evidenziandone i pregi e i twist, coinvolgendo il gruppo...e la partita va bene, gli altri hanno capito al volo, sono in partita, competono per la vittoria. Ottima impressione, si rigioca, si affinano le tattiche e il gioco assurge all'olimpo delle preferenze del gruppo. Viceversa, la spiegazione va maluccio, il gruppo non capisce, è distratto, si sbaglia qualche regola, la partita prende una piega strana perché tutti magari hanno avuto la malaugurata idea di seguire la stessa strategia (che è quello immagino sia successo con l'esempio precedente di Navegador). Alla fine ci si scambiano le impressioni già con espressione di mezza delusione e magari si concede solo una seconda partita, ma le cose non vanno meglio, perché ormai il gioco è battezzato male.
Ci ho riflettuto ultimamente. Abbiamo provato tutta una serie di giochi che definiamo “filleroni” ovvero quei titoli sui 60 minuti, di media complessità, che non sono né i german complessi da due/tre ore che di solito ci facciamo in prima istanza, né i classici filler da mezzora che teniamo per fine serata.
Un venerdì, qualche tempo fa, ne abbiamo provati tre di fila, con spiegazione annessa.
Glen More, piaciuto un po' a tutti, da rivedere le strategie in funzione delle tessere, che vanno ovviamente conosciute meglio, e soprattutto il twist della penalità dovuta al surplus di tessere rispetto a chi ne ha di meno. Però globalmente ottima impressione, anche perché l'interazione non è così alta e questo piace soprattutto a due del gruppo. La voglia di rigiocarlo c'è tutta.
Bene, sotto un altro.
Poi Sail to India. Mentre per Glen More mi hanno capito al volo, in Sail to India la spiegazione è stata un po' più difficoltosa. Il concetto dei cubi multifunzione non subito recepito, almeno da un giocatore. Questo stesso giocatore ha praticamente giocato la partita a caso, non avendo proprio compreso le regole, svogliato, rovinando un po' il gioco a tutti. Un altro ci teneva a vincere (non ci riuscirà invece), essendo arrivato secondo a Glen More e diverrà affetto da paralisi da analisi, rallentando notevolmente la partita, che durerà un'ora e mezzo. Risultato finale: anche il vincitore riterrà il gioco troppo lungo per quel che offre, al paralizzato piace ma non entusiasma (forse perché alla fine non ha vinto), il terzo non ci ha capito una fava e lo boccia in tronco, rimango solo io a tentare di mettere in evidenza che, con una manciata di carte, poche regole e qualche twist interessante, è forse un gioco più “basilare” di Glen More ma ha la sua validità e la sua profondità. Risultato finale: rivendilo o al massimo un'altra partita, regalalo, buttalo.
Chiudiamo con Meuterer, altro gioco del quale abbiamo sempre sentito parlare un gran bene. La spiegazione (ricordo la terza delle serata) è certamente più zoppicante, non tanto perché io sia stanco, ma il mio pubblico sicuramente sì (io il gioco lo so già, loro lo devono imparare ex novo); in secondo luogo, pur essendo il più semplice dei tre, è però forse il meno intuitivo da capire, difatti lo spiego direttamente con un esempio di gioco.
Comunque il primo giro si conclude con il sottoscritto in vantaggio di una decina di punti sul secondo. UNo obietta che non sono più recuperabile. E io a spiegare che se ho fatto io quei punti in metà partita, sarà ben possibile per un altro farne altrettanti nella seconda metà, no? Anche perché il gioco è sempre uguale, non c'è un motore da costruire e sfruttare, per cui ormai io sono avviato e gli altro no. No? No.
Un altro sta giocando male (posso dire di merda? Sta giocando di merda), prendendo sempre lo stesso ruolo neutro, senza badare al sottogioco degli ammutinamenti che è il sale del sistema. Per cui altera parzialmente la partita anche agli altri. L'iultimo è il più scoraggiato: asserisce che è tutto nella fortuna della pesca delle carte, che ammutinare conviene sempre, che la destinazione della nave è totalmente incontrollabile. Io cerco di dimostrarli che bisognerebbe controllare il numero di carte residue in mano, che il capitano deve invogliare qualcuno a prendere il nostromo, il valore di calare una carta combattimento nella prima fase, ecc. Insomma, le sottigliezze del gioco. Niente: le carte e la sorte contano più di tutto e il resto del tavolo sembra pensarla allo stesso modo. Gioco bocciato. In modo assoluto.
Ricordo la sera che ho spiegato Quantum, in seconda serata, dopo una partita a Puerto Rico, che conosciamo già tutti molto bene e che avevamo concluso con soddisfazione e poco sforzo, sapendo già le regole ed essendo in confidenza col sistema e bene o male tutti competitivi per la vittoria. Buona impressione su tutti per Quantum, due partite di fila. Eppure Quantum è pure più fortunoso di Meuterer, a mio parere. E l'elemento fortuna disturba parecchio il mio gruppo. Però venivamo da una partita soddisfacente, indipendentemente dal risultato. Da una “bella serata”.
Quanto hanno inciso la stanchezza, il terzo gioco di fila da imparare, il parere subito negativo espresso da uno che ha potuto influenzare gli altri?
Non voglio generalizzare, non è sempre così. Il gruppo non è sempre compatto nei giudizi. Per fare un esempio, Battlestar Galactica è amato profondamente da due di noi, odiato (letteralmente) dagli altri tre. Uno addirittura dice che è il gioco più brutto che abbia mai fatto. Ma odia i collaborativi, odia la fortuna preponderante, odia le ambientazioni fantascientifiche. Ovvero giudica BSG solo “di pancia”, solo in base al suo personale “divertimento”, senza considerare che tipologia di gioco abbia di fronte.
Però questa della “opinione del gruppo” è una cosa che spesso vedo ricorrere, anche nelle opinioni sul forum. Molte volte si legge, per rafforzare il proprio parere: “è piaciuto a tutto il mio gruppo”, oppure “nel mio gruppo non è piaciuto a nessuno”.
Il punto è: se le nostre stesse opinioni sono mediate dal “divertimento” di una serata, di un episodio, di un momento, in poche parole date “con la pancia”, quanto conta rafforzarle con “la pancia del gruppo”? Ed è davvero un rafforzarle o addirittura, riflettendoci, il fatto che i componenti di un gruppo si influenzino più o meno consciamente, più o meno irrazionalmente a vicenda, è un fenomeno che semmai sminuisce l'opinione del gruppo stesso? Quella data con la pancia, per lo meno.
Si potrebbe liquidare la faccenda attribuendole poca importanza, ma ricordate sempre che il 50% dei voti che leggete in giro, il 50% del goblin-score o di qualsiasi altra classifica è attribuito in questo modo. I voti per voi non contano e contano i giudizi? Può essere, ma è più facile mettersi a leggere giudizi sui primi 100 giochi che trovate in cima all'elenco che di quelli a pagina 24.
Spero di avervi fornito qualche spunto di riflessione; magari un sociologo che legge (ci sarà un sociologo che gioca) potrebbe fornirci qualche strumento in più per interpretare il fenomeno della “pancia del gruppo”.