C'è una regola, in Vanuatu, che sembra buttata a caso da tanto è lontana dalla logica: non mi stupirebbe sapere che ogni tanto venga dimenticata quando si spiega il gioco.
Eppure c'è - e, anzi, è parecchio visibile nell'iconografia del tabellone, in entrambe le edizioni.
Da dieci a zero in un secondo
Regola infida, quella del bellissimo e feroce gioco di Alain Epron: ogni qual volta un giocatore raggiunge i dieci
vatu, li deve convertire in cinque punti prestigio (leggasi: punti vittoria) e ripartire col portafoglio vuoto.
Questo, ovviamente, porta con sé tutte le implicazioni del caso, a cominciare dall'impossibilità di poter accumulare denaro, fino alle limitazioni che ciò crea durante la programmazione delle azioni. Una fase, quest'ultima, che è già critica di suo, vincolata com'è alla sequenza logica delle stesse - classico esempio: non si può selezionare l'azione pescare se prima non si punta qualche pedina sulla navigazione, così da poter raggiungere un tratto di oceano con segnalini pesce - e all'accanita opera di contrasto degli avversari: ché, ricordarlo non fa mai male, Vanuatu è e vuole essere un gioco bastardo.
Il mare e i liquidi
Proprio la fase di piazzamento dei cilindri, del resto, potrebbe essere argomento di un articolo per questa rubrica; se non che, in fondo, si tratta di un piazzamento lavoratori - anzi, di un piazzamento maggioranze - nemmeno poi troppo originale e che deve la sua famigerata fama proprio alla serie di contingenze di cui sopra.
Contingenze di cui, per l'appunto, fa parte anche il cambio automatico di valuta: prima o poi, fidatevi, vi capiterà di programmare un turno all'apparenza perfetto, per poi accorgervi di essere obbligati a vendere il pesce prima di poter costruire una capanna - cosa che vi porta a sforare quota dieci di quel singolo vatu che rende impossibile quest'ultima azione.
E allora volano sacramenti.