Non conosco il gioco, ma l'analisi la trovo interessante.
Introduzione
Ogni wargame mira a essere sia “guerra”, sia “gioco”, cioè essere tematicamente legato a eventi bellici di vario tipo e adoperare meccaniche e astrazioni per raggiungere il suo fine: divertire simulando.
In questo breve intervento cercheremo di evidenziare in che modo l'auore Ben Hull abbia proposto la propria versione del rapporto tra dimensione narrativa e implementazione delle meccaniche in Fields of Fire. Nella fattispecie tratteremo del modo in cui il sistema di gioco interpreta tre categorie di cruciale importanza: azione, spazio e tempo. Vedremo come per molti versi Fields of Fire segni una “innovazione nella tradizione” del wargame, proponendo un proprio bilanciamento tra simulazione e astrazione, complessità e semplicità.
L’azione
Iniziamo col trattare della categoria dell’azione. In Fields of Fire le azioni realizzabili sono molto particolareggiate (ne abbiamo quarantotto possibili, suddivise in quattro macrogruppi: di comando e controllo, di movimento, di recupero e di combattimento), ma non è tanto la vastità delle potenzialità offerte da questo menu che voglio sottolineare, quanto alcuni dei motivi che contraddistinguono la proposta del titolo:
2) Il sistema non premia la quantità, ma la qualità della manovra: non servirà a nulla (anzi, sarà rischioso e inutilmente dispendioso) sparare contemporaneamente con dieci unità se hanno tutte il medesimo equipaggiamento;
3) è quasi impossibile vedere la compagnia tramutarsi in super-gruppi di fuoco: è costoso e rischiosissimo già solo crearne di un esiguo numero di unità;
4) munizionamento: condiziona lo svolgimento dell’azione e in Fields of Fire occorre prestare estrema attenzione alle munizioni che si possiedono per adoperarle con parsimonia; sparare all’impazzata verso tutto ciò che si muove non è un’opzione scontata e priva di conseguenze dato che, così facendo, vi ritroverete dopo pochi turni a corto di munizioni (e questo non è bello quando accade);
5) fuoco amico: molti tattici non simulano questo fenomeno che può verificarsi in caso di manovre errate o troppo frettolose, mentre in Fields of Fire c’è ed è letale;
7) le unità non sono monadi: non basta avere unità sparpagliate nello spazio di manovra, ma occorre anche garantire la comunicazione tra le stesse; nella maggior parte dei tattici le unità sono gestibili liberamente dal giocatore come se fossero monadi tatticamente autonome e autogestite; i leader servono al più per l’attivazione contemporanea di unità o per conferire bonus in attacco/difesa/movimento; niente di tutto ciò avviene in Fields of Fire: a parte limitatissime fasi di iniziativa, nessuna unità fa nulla se prima non riceve un comando dai suoi superiori e i leader servono solo a fare i leader; i sistemi di comunicazione pertanto guadagnano molta importanza, potendosi peraltro declinare in forma verbale7visiva, radio/telefonica o per mezzo di segnali pirotecnici; ogni mezzo di comunicazione ha caratteristiche proprie e propri limiti che sta al giocatore gestire al meglio;
8) il rispetto della gerarchia: il protagonista di Fields of Fire non sono tanto le unità che si muovono variamente su mappa, ma la catena di comando, che impone una stretta organizzazione gerarchica; non tutte le unità possono impartire ordini: una squadra appartenente al Primo Plotone non potrà ricevere ordine da un HQ del Secondo Plotone e così via lungo la gerarchia del potere;
9) simulazione dell’attrito del comando: l’introduzione di una rigida gerarchia di tipo militare consente poi di rendere conto di un fenomeno che possiamo chiamare “attrito del comando”; più le unità che sono oggetto di ordini sono gerarchicamente lontane dall’alto comando, meno gli ordini risulteranno efficaci.
Lo spazio
10) la mappa modulare: raffigura il territorio da un punto di vista molto particolare; niente più “bird view“ nella Seconda guerra mondiale, non “politica”, né “fisica”, ma “tattica”: quello che rappresenta non sono i confini naturali o quelli convenzionali del terreno, ma i punti di rilievo tattico dello stesso, che un comandante è plausibile conosca prima dello svolgimento della missione;
- C’è un senso in cui è corretto dire che la mappa rappresenti possibilità più che attualità: in Normandia, ad esempio, saprete che da qualche parte a nord-est c’è la possibilità di trovare una chiesa, ma non è detto che poi di fatto la troverete. Magari la troverete, magari ne troverete le sole macerie o magari nemmeno quelle. La possibilità dice probabilità che è indice di incertezza: l’incertezza delle informazioni, dell’intelligence e delle cartografie è trascritta in Fields of Fire seguendo il primato del possibile sull’attuale. Questo tratto costituisce contemporaneamente una semplificazione geografica e un approfondimento tematico. -
11) gioco di ruolo: nella modalità campagna è presente una forte componente ruolistica, perché vedrete assottigliare la vostra compagnia per via di perdite, vedrete unità promosse o altre che vanno in pensione; dovrete scegliere chi sacrificare e impostare al meglio la vostra missione distribuendo equipaggiamenti e conferendo promozioni ai soldati superstiti; peraltro è lodevole la scelta di dedicare il centro di ogni carta-terreno a una foto d’epoca: introduce flavour e contribuisce a generare l’atmosfera da gdr;
12) niente TEC: le carte che costituiscono la mappa e, oltre a riportare foto d’epoca, sono anche costellate di informazioni tatticamente rilevanti; questo vuol dire che non dovremo consultare tabelle riguardanti l’effetto delle varie tipologie di terreno (quanto disturbo fioriscono al tiro, se fanno passare la linea di vista o se la inibiscono, quanta copertura danno, eccetera): le informazioni sono tutte riportate direttamente in mappa;
13) al “niente TEC” si affianca anche il fatto che non dobbiamo consultare tabelle danni o IFT per determinare il risultato di un attacco tra unità di fanteria: basta pescare e rivelare un paio di carte per risolvere gli effetti di uno scontro; come insegna magistralmente Chad Jensen, implementare l’uso di carte in un wargame consente il riassorbimento di interi sottosistemi di gioco nelle stesse, contraendo il numero di informazioni da memorizzare o di tabelle da incrociare; dDa questo punto di vista è portentoso che in Fields of Fire raggiunga un livello simulativo estremamente alto avvalendosi di sole sessanta pagine di regole (non entro nel merito del modo in cui è scritto il regolamento: ne abbiamo parlato in un precedente articolo che ritroverete a questo link).
Il tempo
Avviciniamoci infine alla categoria del tempo per vedere in che modo essa sia interpretata in questo sistema:
14) il continuum dell’azione di fuoco: niente frazionamento astrattivo del fuoco in fasi o in impulsi: la chiave di lettura dello scontro di fanteria è centrata tutta sulla nozione qualitativa, vettoriale e dinamica di volume di fuoco; non ritroveremo quindi segmenti discreti di azione, ma una contemporaneità operativa e risolutiva del fuoco delle unità amiche e nemiche;
15) alla continuità operativa corrisponde la categoria con la quale viene interpretato e simulato lo scorrere del tempo dello scontro di fanteria: la “simultaneità”; lo sparare “a un giocatore dopo l’altro” che caratterizza larga parte dei tattici è perlopiù un’astrazione (benché utile e funzionale): nella battaglie di fanteria appare implausibile contare “quante volte” e “a chi” ha sparato l’attaccante o il difensore; in effetti irrigidire eccessivamente lo scontro può avere effetti parossistici: non credo si sia mai visto che in scontro a fuoco un comandante fermi il comandante avversario dicendogli “aspetta, non tocca ancora a te sparare: devo prima finire la mia fase/impulso”.
Questa non intende essere una trattazione esaustiva del sistema di Fields of Fire, ma solo una prima disamina delle peculiarità a esso proprie. In ogni wargame, come ho detto inizialmente, viene proposto un particolare trade-off tra simulazione e astrazione. Più la simulazione è spinta, più il gioco risulta pesante dato che impegna il giocatore con una mole non indifferente di informazioni da memorizzare.
Di converso, più un wargame diviene astratto, più perde di “sapore” sacrificando dettagli ambientativi, tecnici e strategici. La sfida dell'autore è esattamente quella di garantire apprezzabili livelli simulativi minimizzando l’aspetto astrattivo e contraendo il più possibile l’impianto delle regole. Grandi esperimenti sono stati fatti negli ultimi dieci anni, sicuramente Fields of Fire rientra tra questi e probabilmente è uno dei meglio riusciti. Il trade-off che in esso l’autore propone, garantisce un elevatissimo dettaglio simulativo condensandolo in sole sessanta pagine di regole, duecentoventi carte e circa novecento segnalini. Un risultato, a mio personale giudizio, geniale.