Benché tutti i manuali riportino altro, lo scopo di ogni gioco è quello di far divertire.
E non è necessario vincere perché il gioco raggiunga il suo scopo, benché indubbiamente aiuti almeno tentare. Statisticamente escono più giocatori perdenti che vincenti, da una partita. Ed è auspicabile una maggiore attenzione di autori e recensori verso questa vasta categoria di giocatori: i perdenti.
Troppo spesso stiamo infatti a preoccuparci del fatto che possa vincere chi non se lo merita senza considerare che talvolta è addirittura meglio così. Un gioco che premia sempre e solo chi gioca al meglio è adatto solo ad una categoria molto ristretta di giocatori e richiede al tavolo fior fior di giocatori per dare il suo meglio.
Io gioco spesso con la mia famiglia o con giocatori più portati per giochi che donano un’esperienza che per i gestionali: non hanno voglia o possibilità di calcolarsi la mossa matematicamente o statisticamente migliore da fare,amano giocare d’istinto; ma comunque sono esperti di giochi e li apprezzano in più salse, varianti e gradi di complessità.
Per me è sempre importante tenere conto della loro felicità ogni qualvolta scelgo un nuovo gioco da proporre. Se proponessi giochi dove a metà partita è chiaro che non vinceranno mai, presto si stuferanno, frustrati, del gioco o proprio del giocare da tavolo. Fortunatamente esistono molti giochi dove la lettura di chi sta vincendo durante la partita è tutt’altro che semplice, soprattutto per chi non ha voglia (o possibilità) di mettersi a far calcoli. E questa stessa confusione, spesso disprezzata dai giocatori abili, è ciò che fa la felicità di molti.
Chi, giocando a Terraforming Mars, ha idea di quanti punti gli altri giocatori celino sulle carte che schierano davanti? Quando gioco in famiglia, sono tutti così impegnati a fare i loro calcoli e le loro combinazioni (con cui esaltarsi) da non stare troppo a vedere cosa fanno gli altri, tanto che spesso si dimenticano pure di reclamare le pietre miliari. E talvolta capita che vincano anche solo per aver pescato delle migliori combinazioni di carte, rendendo il gioco ancora più adatto a loro, nonostante il suo peso non indifferente.
Anche Clans of Caledonia aiuta a evitare frustrazioni anticipate, con la sua notevole dose di punti assegnata dai simbolini di beni importati, di importo variabile, nascosti nelle proprie pile di contratti portati a termine. Quando magari il tabellone pare invece dominato da tutt’altro giocatore. Arrivare fino alla fine della partita sperando di aver fatto un punteggio competitivo è importante per apprezzare il gioco.
Se anche si perde, la delusione è una sensazione passeggera che dura pochi minuti, in casa mia mitigata pure dal fatto che a chi vince tocca ritirare tutti i componenti del gioco (per prolungare nel tempo gli effetti benefici dell’esaltazione da vittoria).
Interessanti in tal senso anche giochi come Automobiles dove l’abile giocatore parte piano, cercando sempre di rimanere in scia per costruirsi il sacchetto al meglio e evitare di sporcarlo con inutili cubetti marroni, perdendo spesso terreno e posizioni, per poi riguadagnarle nel corso della partita e arrivare di solito a vincere sul filo di lana (se si calibrano bene i giri della partita), rendendo tutta la partita (apparentemente?) combattuta ed emozionante.
Trovo, insomma, che la confusione e l’incertezza, l’inconsapevolezza di cosa gli altri stanno facendo siano spesso un ottimo strumento per avere dei giocatori felici. E dei perdenti felici sono giocatori vincenti.