molto interessanti e con molti rimandi per approfondire, ringrazio ancora Marco Valtriani per averlo scritto.
Cos'è l'esperienza di gioco significativa?
Per far sputare un caffé a un game designer è sufficiente buttare lì una richiesta apparentemente innocente, tipo "so che sei impegnato, ma mi scriveresti un articolo sul meaningful play?"
Questo perché il concetto di "meaningful play", o ancor meglio "meaningful play experience" ("esperienza di gioco significativa") è uno dei concetti portanti di "Rules of Play - Game Design Fundamentals" di Katie Salen e Eric Zimmerman. Che, a sua volta, è uno dei testi fondamentali sul game design, una di quelle opere che ogni aspirante progettista di giochi dovrebbe aver letto almeno una volta o, quantomeno, la cui lettura dovrebbe aver messo in cima alla lista di cose da fare.Rules of Play, infatti, è un libro del 2004 che ha di fatto formalizzato una serie di concetti oggetto di studio negli anni precedenti e che ha contribuito alla genesi di numerose teorie e correnti di pensiero sulla progettazione di giochi (che spesso superano in qualche aspetto quelle del "genitore", pur rimanendogli immensamente debitrici). Non è un testo "facile" e provare a estrapolare singoli concetti senza aver chiaro il quadro generale è abbastanza arduo, per cui mi perdonerete se prima di arrivare al dunque faccio un piccolo preambolo.
Come sa chi sta leggendo la mia Guida pratica per aspiranti game designer, oggi è abbastanza comune trovare autori di giochi che progettano avendo come focus l'esperienza del giocatore. In breve, anziché partire dal sistema di gioco "in quanto tale", si parte dall'idea di esperienza che si ha in mente e da quella si inizia a lavorare al resto: al mondo di gioco, al ruolo dei giocatori e, ovviamente, alle azioni che questi andranno a compiere per ottenere determinati obiettivi. Anziché guardare solo al funzionamento "meccanico" del gioco, insomma, si guarda molto anche alle dinamiche che si innescano e alle conseguenti sensazioni, emozioni e reazioni dei giocatori. In questo senso, il Framework DPE di Brian Winn è ad oggi un buon punto di partenza per chi volesse utilizzare questo tipo di approccio...
Ebbene, tutte queste teorie affondano in buona misura le proprie radici in Rules of Play. Il libro è diviso in quattro macro-capitoli. Il primo elenca e definisce i concetti fondamentali, mentre gli altri tre analizzano il gioco da diversi punti di vista. Il capitolo "Rules" parla dell'organizzazione del sistema di gioco: per Salen e Zimmermann il gioco (game) è un "sistema"; più precisamente, è "un sistema in cui i giocatori s'impegnano in un conflitto artificiale, definito dalle regole, che ha come risultato un esito quantificabile"; ovviamente questa non è l'unica o la più completa definizione di "game", ma rimane una delle migliori e, in questo caso, è meglio non divagare troppo e tenere questa per buona. La seconda parte, "Play", parla dell'interazione fra uomo e sistema di gioco, ossia dell'atto del giocare (per l'appunto "play") definito come "libertà d'azione all'interno di una struttura rigida": le regole definiscono questa struttura, il sistema, al cui interno i giocatori possono compiere azioni liberamente (entro le restrizioni imposte dal sistema stesso). Non ci occuperemo del terzo capitolo, "Culture", ma per completezza sappiate che descrive l'interazione fra il sistema, l'atto del giocare e la società che ci circonda.
Questa suddivisione è fondamentale per capire i diversi approcci allo studio del gioco: il gioco infatti può essere inteso come sistema (se guardato dal lato del progettista), come esperienza (se osservato dal lato del giocatore) e come fenomeno culturale (dal punto di vista della società). La parte fondamentale che ci interessa ora, però, è la differenziazione fra gioco inteso come artefatto (game) e gioco inteso come attività (play). Il designer progetta il gioco (game), che tramite il giocare (play) messo in atto dai giocatori fa vivere loro un'esperienza (experience).Nel parlare del gioco come sistema, Salen e Zimmermann citano un altro concetto molto importante, quello di "cerchio magico". Riprendendo le teorie di Johan Huizinga, gli autori del libro ci spiegano che "giocare un gioco significa entrare in un cerchio magico": quando si gioca si varca un confine immaginario e si entra in uno spazio astratto. Il confine divide ciò che è "gioco" dal mondo al di fuori del gioco stesso.
Fuori dal cerchio magico sono Marco Valtriani, un game designer e un giocatore che va per la quarantina, ma dentro il cerchio magico sono Wolfhawk, una giovane maga guerriera versatile e piena di risorse. Fuori dal cerchio magico sono Marco Valtriani, ma dentro il cerchio magico sono anche Izraphael, Cacciatore di Demoni di 70 livello di Sanctuarium. Fuori dal cerchio magico un cubetto di legno è solo un cubetto di legno, ma dentro può essere un blocco di pietra utile per costruire, un solerte lavoratore o del cibo per la mia tribù. E che dire della palla con cui si gioca a calcio? È un'inutile sfera di cuoio per quasi tutto il tempo: ma dentro al cerchio magico, per novanta minuti, catalizza l'attenzione di tutti, diventando un oggetto speciale che, se infilato in una porta, avvicina una delle squadre alla vittoria.
Scherzi a parte, la "meaningful play experience" viene definita partendo da questi concetti.
Salen e Zimmermann lo dicono senza tanti giri di parole: l'obiettivo della progettazione di giochi dovrebbe essere la creazione di un'esperienza di gioco significativa. Il "meaningful play" in un gioco emerge dalla relazione fra le azioni del giocatore e il risultato fornito dal sistema: quanto più l'esito dell'azione è significativo ai fini dell'esperienza, tanto più il gioco tenderà ad essere appagante, coinvolgente, piacevole. Più nel dettaglio, il "meaningful play" è quel che succede quando le relazioni fra azioni del giocatore e risposte del sistema sono, all'interno del contesto costituito dall'intero gioco, sia riconoscibili che integrate nel sistema stesso. Il fatto che siano "riconoscibili" significa che il giocatore che compie l'azione dev'essere conscio dell'azione che sta compiendo e deve percepire le conseguenze dell'azione stessa; "integrate", invece, significa che l'azione di un giocatore non dovrebbe avere importanza solo in quel momento esatto, ma dovrebbe influenzare l'esperienza di gioco anche in seguito nel corso della partita. Se un'azione non avrà ripercussioni né conseguenze, o peggio se ne avesse di controproducenti rispetto all'idea di gioco, quell'azione, quel gameplay, non è "meaningful", non è significativo.
Facciamo un esempio. Quando compiamo un'azione in Puerto Rico, questa probabilmente avrà importanza a più livelli: genererà risorse per noi e per gli altri, ci consentirà di ottenere vantaggi immediati e a lungo termine o di ostacolare il gioco altrui, e coinvolgerà sia la nostra capacità di analisi dello stile e delle scelte tattiche degli avversari che quella di pianificare a nostra volta una strategia di successo. Questo fa sì che, mentre giochiamo, siamo coinvolti e appagati: ponderiamo le nostre mosse, facciamo calcoli, cerchiamo di prevedere le mosse altrui, siamo soddisfatti nel vedere come cresce la nostra isola.
Quando giochiamo a Trivial Pursuit, invece, cosa succede? Mi perdoneranno i fan del gioco da tavolo a quiz più famoso del mondo, ma per quanto mi riguarda è difficile definire "esperienza di gioco significativa" quella che si vive durante un match a Trivial Pursuit.
La nostra azione consiste nel tirare un dado e muovere la pedina, ma per com'è fatta la plancia seglieremo sempre di raggiungere una casella finale di categoria, un "tira di nuovo" o al limite una casella di una categoria in cui ci sentiamo ferrati: le scelte che facciamo sono, di volta in volta, o obbligate o scontate. La conseguenza di ogni nostra scelta, infatti, è dover rispondere a una domanda che può essere tanto un vecchio indovinello sul colore del cavallo bianco di Napoleone quanto la richiesta di indicare il numero esatto di litri di sangue che un cuore umano a riposo pompa mediamente in un'ora (trecentoquarantatré, per chi se lo stesse chiedendo davvero). Il premio per una risposta corretta dipende dalla casella: se siamo su una casella finale vinciamo un punto-spicchio, praticamente un settimo di vittoria, altrimenti otteniamo la possibilità di tirare di nuovo e di rispondere a un'altra domanda a caso, praticamente un settimo di niente.
Attenzione, non è colpa "del lancio di dado" in sé o di quali tecniche\pratiche sono state scelte per gestire le azioni in Trivial Pursuit, è proprio una questione di approccio al design: il problema di Trivial Pursuit è che il "cuore" del gioco è "rispondere a X domande su X argomenti più velocemente possibile", mentre le azioni a disposizione dei giocatori sembrano, se non remare nella direzione opposta, essere quantomeno slegate dal resto. Anziché utilizzare un sistema che consenta al giocatore di "dirigersi" verso gli obiettivi o che fornisca risposte coerenti rispetto allo scopo del gioco, il sistema di movimento tende a portare il giocatore verso ostacoli casuali e poco remunerativi in termini di gioco, lasciando pochissimo controllo al giocatore stesso, valorizzandone eventuali abilità o conoscenze in modo del tutto randomico e generando potenzialmente una grossa quantità di frustrazione.
Puerto Rico, pur essendo un gioco non nuovissimo, ha invece dalla sua un invidiabile coerenza a livello di meccaniche: può non piacere per molti motivi, ma che il sistema di gioco sia al tempo stesso tanto originale quanto appagante per gli amanti del genere è cosa più che nota.
Il discorso ovviamente è difficile da affrontare se non si hanno un minimo di competenze (sia teoriche che pratiche) e un breve articolo come questo non sarà mai esaustivo: dopo tutto Salen e Zimmermann hanno scritto oltre 600 pagine sull'argomento, e riassumere il concetto principale del volume in poche righe è un'impresa superiore alle mie forze. Se l'argomento vi interessa, mi permetto di consigliare nuovamente a tutti di leggere la mia guida (è gratis, è semplice e contiene un sacco di gif animate buffe), in modo da familiarizzare con i concetti base della teoria per poi passare subito alla pratica, e soprattutto vi consiglio caldamente di cercare e studiare un po' di testi (accademici e non). In italiano consiglio "Game Design, gioco e giocare fra teoria e progetto" di Maresa Bertolo e Ilaria Mariani, e il recentissimo "L’autore di giochi" di Emiliano Sciarra, mentre in inglese i miei testi preferiti rimangono, oltre al già citato Rules of Play, "The Art of Game Design: A Book of Lenses" di Jesse Schell e "Game Design Workshop: A Playcentric Approach to Creating Innovative Games" di Tracy Fullerton.