Il paradosso di questo gioco è che la meccanica rema in direzione opposta al tema: se giochi per fare punti non giochi per fare bei quadri e viceversa.
"Giochi di luce riflettono
i fuochi nell'acqua;
tenui colori si fondono
dentro ai miei occhi."
Le Orme, Breve immagine
Frutto degli oltre settecentomila dollari raccolti su kickstarter, qualche tempo fa se ne è arrivato bel bello il nuovo gioco della Road To Infamy, casa statunitense che forse ricorderete per Afternova (che peraltro ho abbinato al pledge, tanto per farmi del male), magari per Crypt o quantomeno per il nome curioso.
In Canvas da due a cinque persone si devono sfidare creando dei quadri utilizzando degli elementi grafici disponibili da una riga comune, attraverso quel meccanismo di draft visto ormai in molti giochi, ma che sa sempre essere efficace.
Le altre meccaniche presenti sono la collezione set, la gestione mano e l'incazzatura perché le carte non si mescolano. La partita dura circa mezzora, minuti in meno se si gioca in pochi, minuti in più se intanto si beve assenzio.
Gli autori di Canvas sono Jeff Chin e Andrew Nerger, che forse ricorderete per Afternova, magari per Crypt o quantomeno per i cognomi curiosi.
Una tremenda inondazione! I cavalletti!
Ogni giocatore dispone di tre tele con sfondo pre-dipinto e sostanzialmente ininfluente ai fini del gioco. Si tratta di tre carte di grande formato inserite in una bustina di plastica (comprese, ovviamente) nelle quali si dovranno inserire tre carte trasparenti, tipo quelle di Imagine per intenderci, che andranno a formare il quadro e, contestualmente, il titolo dell'opera – per inciso, quadro e titolo sono a loro volta sostanzialmente ininfluenti ai fini del gioco.
Tutto ciò che fa brodo, infatti, sono le icone in fondo alle carte trasparenti, le quali devono soddisfare il più possibile le richieste delle carte obiettivo comuni a tutti i giocatori, in genere quattro, ma possono anche essere meno se si vuole giocare una partita semplificata. Questi obiettivi, che hanno nomi che con grande simpatia provano a tenere per i capelli l'ambientazione che nel frattempo sta scivolando via come la tempera da un tubetto lasciato aperto, possono per esempio chiedere di avere esattamente sei simboli; oppure di avere esattamente un simbolo di un tipo; o, ancora, di avere visibili tutte e cinque le bande colorate che contengono queste icone.
In pratica il tutto si riduce a combinare nel modo più fruttuoso possibile le nove carte – tre per quadro – in maniera tale da ottenere più punti possibile giocando con le sovrapposizioni delle bande colorate. Intrigante se vi piace il genere, ma francamente un po' deludente se ti aspetti un gioco che faccia dell'arte, o quanto meno degli elementi visivi, il suo punto di forza: non è così.
D'ogni modo: le carte trasparenti sono disponibili a centro tavola in una fila di cinque; nel proprio turno, come alternativa alla composizione di un quadro, è possibile prenderne una pagando un segnalino a forma di tavolozza per ogni carta saltata e prendendo eventuali segnalini posizionati in precedenza sulle carte saltate, che diventano quindi più appetibili. In buona sostanza è una variante, peraltro efficace, del costo per le carte che decresce man mano che non vengono scelte e scivolano verso l'inizio della fila, come visto più volte sia in riempitivi come Otto minuti per un impero, sia in molossi come Through the Ages.
Ogni volta che si completa un quadro si prendono dei segnalini per ogni obiettivo centrato (anche tutti e quattro, cosa che – soprattutto se il set di obiettivi è di quelli impegnativi – dà comunque una certa soddisfazione), più eventuali segnalini neri garantiti da certe icone.
Quando tutti i giocatori hanno terminato i tre quadri (con la precisazione che non si possono avere mai più di cinque carte trasparenti in mano e che, quindi, non è possibile combinare tutto all'ultimo) si prendono punti in base alla numerosità dei vari segnalini.
In caso di parità vince chi ha più tavolozze e, se necessario, un terzo deve decidere chi ha composto i quadri migliori. Con un po' di ingenerosità gratuita, il gioco ha riservato il meglio al secondo spareggio.
Fantasticare sulle trasparenze
Parto dall'innegabile punto di forza del gioco: i materiali. Innanzitutto la scatola, onestamente bellissima: nessuna scritta in copertina, con le informazioni che servono relegate sul lato superiore, quello dell'apertura, e gli altri bordi scoloriti verso il fondo come fosse una vera tela ripiegata sul sostegno di legno. Il buco sul retro, inoltre, consente effettivamente di appendere la scatola, dandole forse la dignità che merita.
Le carte sono poi illustrate benissimo e di grande formato e, peraltro, le bustine in dotazione bastano anche per le carte obiettivo, cosa che non era necessariamente scontata, ma che fa senz'altro piacere.
(Purtroppo non sono abbastanza per le nuove carte trasparenti della mini espansione che – se ricordo bene – era inclusa nel kickstarter; ma pazienza).
La controparte, inevitabile, sono le carte trasparenti, quelle degli elementi grafici da sovrapporre, che soprattutto finché non si toglie la pellicola protettiva sono alquanto ostiche da mescolare e tendono ad attaccarsi insieme come i ravioloni delle sottomarche.
Nota di merito infine per la scatolina che nasconde il mazzo di pesca, impedendo di scoprire in anticipo quale icon... elemento grafico, scusate: volevo dire elemento grafico! uscirà come prossimo.
Il movimento del puntinismo
Come detto, la chiave del gioco è quella di provare materialmente con le carte in mano e mentalmente con quelle ancora in tavola a sovrapporre tre carte trasparenti così da massimizzare i punti ottenibili, con buona pace di quelli che mal sopportano la paralisi d'analisi.
Il punto della questione è tutto là: se siete di quelli che le carte potrebbero essere pure bianche e che l'unica cosa che conta è combinare insieme quelle allegre icone che vorrebbero pure essere ambientate ma invece sono solo fastidiose da confrontare, be': Canvas potrebbe essere pane per i vostri denti.
Per quanto mi riguarda, tuttavia, ad avere la meglio è forse la delusione per un titolo che dei disegni non se ne fa quasi nulla, risolvendosi in un gioco – pur riuscito, s'intende – di ottimizzazione con una leggera pennellata di interazione indiretta data dalla possibilità di soffiare, per la verità in maniera perlopiù involontaria, carte trasparenti utili all'avversario. In quest'ultima componente risiede peraltro il maggior effetto dovuto alla scalabilità: come spesso accade con una simile meccanica di draft, giocare in due comporta piccole variazioni del tavolo tra un turno e l'altro, cosa che talvolta costringe a prendere carte sub-ottimali perché quella appena uscita costerebbe troppo, consci del fatto che, probabilmente, nei turni successivi la si ritroverà in tavola; ne esce, se possibile, un gioco un filo più strategico e controllabile. In quattro e soprattutto cinque giocatori, di contro, il mercato comune è piuttosto rapido ed è piuttosto improbabile che una carta in tavola faccia più di un giro completo.
Quello che non cambia è che di carte se ne pescano al più undici, non una di più; e con quelle bisogna chiudere i tre quadri e ottenere quante più coccarde possibili, sia quelle che a fine partita varranno meno (ossia quelle ottenibili con obiettivi che possono essere soddisfatti anche più volte con un singolo quadro e che, quindi, premiano se se ne hanno un buon numero); sia quelle che al più se ne possono avere tre in tutta la partita, a cominciare da quella, difficile, che chiede di avere di tutti e cinque i colori di sfondo in un quadro.
Non fraintendetemi, comunque: è un buon gioco. Solo non aspettatevi Dixit; e nemmeno Dream On!; né un qualsiasi un gioco che fa della illustrazioni un elemento – appunto – di gioco e non di spareggio.