Nella città di Arkham una minaccia incombe. Cultisti tramano nell’oscurità, potenze oscure stanno per essere risvegliate. Tocca a uno sparuto gruppo di 1-4 investigatori provare a salvare la città, se non addirittura tutto il mondo.
L’approccio a un gioco di carte blasonato e da molti riverito comporta sempre una certa difficoltà. Già prendendo la scatola ci si rende conto che si ha tra le mani un prodotto che è così perché condensa anni e anni di esperienza. Da una parte il filone degli LCG, sperimentato tra alti e bassi ma che sicuramente la Fantasy Flight Games (FFG) ha saputo cavalcare come nessun altro, mentre dall’altra un nuovo capitolo del filone Arkham Horror, ovvero quella serie di giochi ad ambientazione ispirata a Lovecraft che si è saputa costruire un’identità propria ed è in grado di attirare folte schiere di giocatori.
Ma veniamo ora al succo. Qui si parlerà del gioco di carte di
Arkham Horror, informalmente chiamato
Arkham Horror LCG, che è
un Living Card Game cooperativo, edito dalla
Fantasy Flight e tradotto in Italia da
Asmodee. Il gioco è ormai arrivato alla seconda edizione: dopo la prima uscita nel 2016, il 2021 ha visto arrivare sui nostri tavoli anche un’edizione rivista, che rende molto più semplice l’approccio al gioco.
Il gioco è di sole carte, basato su meccaniche di punti azione, costruzione mazzo, gestione mano ed eventi. Caratteristica che ha permesso al gioco di prosperare anche in anni di pandemia è la possibilità di essere giocato in solitario senza che il gioco ne esca menomato in alcun modo.
Questa recensione arriva in un momento di grande maturità del gioco, che, con già sette anni sulle spalle e una serie continua di espansioni, si è affermato saldamente al primo posto tra i “customizable” di BoardGameGeek e mantiene un successo costante e anche discretamente trasversale tra i giocatori, riuscendo a riscontrare gradimento sia tra i giocatori più assidui che tra quelli spensierati. Io possiedo il Core set dell’edizione rivista, la recensione è basata solo su questa, che a differenza della prima contiene un set completo di ogni carta presente.
Una consegna per il signor Roland Banks
All’interno della scatola si presenta un divisorio in plastica, inedito per gli standard della
FFG ed evidentemente pensato, a differenza di quello classico di cartone ondulato, per accogliere anche un buon numero di altre carte evidentemente derivato da espansioni che si acquisterebbero in seguito. All’interno ci sono i regolamenti, un libretto per la campagna, 245 carte giocatori già divise nei mazzi di cinque investigatori diversi, più un modesto pool per fare un accenno di
deck-building, 111 carte scenario, alcune carte consultazione, infine diversi segnalini di cartone tra risorse, danni fisici e mentali, segnalini indizio e segnalini caos.
La qualità delle carte è quella tipica dei giochi di carte collezionabili, robuste il giusto da non rovinarsi con mezza mescolata ma non troppo spesse da formare torrioni se imbustate. Trattandosi di un gioco di carte, il consiglio è di imbustarle perché verranno mescolate ripetute volte.
Il comparto grafico attinge dall’immaginario creato in anni e anni di pubblicazioni a tema Lovecraft dalla casa madre, tra la carta giallognola, i tentacoli che spuntano dai meandri della terra, lo stile pulp e l’ambientazione Anni ’20. Squadra che vince non si cambia, dopo oltre un decennio di pubblicazioni sul tema, l’editore sa sicuramente come giocarsi le sue carte e far immergere i giocatori nell’ambientazione anche solo con l’osservazione delle illustrazioni.
I segnalini sono di cartone spesso e ruvido per facilitare la presa, anche il sacchetto per i segnalini caos è di buona qualità. La fascia di prezzo del prodotto è adeguata considerato i contenuti e la qualità del gioco, anche se non si possono non rimpiangere i tempi pre-pandemia in cui si sarebbe risparmiato un buon terzo del costo totale.
La lotta contro i grandi antichi, come faceva Frodo
È palese che il genitore di questo Arkham Horror formato carte sia figlio del celebre gioco di carte del Signore degli Anelli, anch’esso di successo longevo che continua a vivere con ristampe fino a oggi. Ci troviamo quindi di fronte un altro pezzo di discendenza del solito
Magic the Gathering: ogni giocatore possiede un mazzo di carte, ne pesca una al turno e, attraverso delle risorse generate in maniera regolare, gioca carte dalla mano per attivare eventi istantanei o effetti permanenti. La struttura del turno ricalca quella de
Il Signore degli Anelli LCG: c’è una fase in cui i giocatori agiscono, una deputata al combattimento con i mostri e una in cui succedono brutte cose.
Rispetto al genitore però la struttura è semplificata e resa più lineare, con sole quattro fasi per round invece di sette. Sempre nell’ottica di semplificare, l’eroe che ogni giocatore gestisce ogni turno non è che uno e uno solo. Infatti, il mazzo di ogni giocatore non è altro che le capacità e gli strumenti che il personaggio può sfruttare. L’immedesimazione nel personaggio è molto spinta e si avvicina quasi al gioco di ruolo, per esempio gli oggetti giocabili sono limitati agli slot fisici del personaggio, mentre molti eventi attivabili dalla mano non sono che imprese o sforzi particolari compiuti dal nostro personaggio che si applica in ciò che sa fare. Ogni personaggio è caratterizzato con:
- valori di abilità che sfrutterà per provare a superare le prove durante il gioco;
- resistenze fisica e mentale come in tutti i giochi della serie;
- una classe;
- poteri specifici;
- limiti ben particolari per il deck-building.
Le classi, equivalenti ai colori di Magic (sono qui Guardiano, Mistico, Canaglia, Studioso e Sopravvissuto) identificano sia i personaggi che le singole carte e, a seconda di quanto riportato sulla scheda personaggio, solo alcune di queste classi possono essere inserite nel rispettivo mazzo. Questa limitazione ha diverse funzioni: evitare combo troppo forti, agevolare il deck-building che non può basarsi sull’intera collezione di carte e fornire una caratterizzazione molto spiccata al personaggio. Nella stessa direzione vanno la dimensione relativamente piccola dei mazzi (attorno alle trenta carte) e la possibilità di inserire carte con stesso nome al massimo in due copie, invece di tre come solitamente accade nei giochi di questo tipo.
Turno dopo turno, i giocatori spareranno con armi, troveranno alleati, metteranno alla prova tutte le loro capacità per superare mostri che appariranno da meandri oscuri e compiere la loro missione. Questo tipicamente consiste nella raccolta di indizi, che permetteranno di avanzare tra i capitoli.
La maggior parte delle azioni, sia compiute volontariamente che imposte dal mazzo dello scenario, impongono il superamento di “prove di abilità” che richiedono al giocatore di raggiungere un certo risultato sommando le caratteristiche del proprio personaggio, eventuali bonus giocati dalla mano e infine un risultato estratto a caso dal cosiddetto “sacchetto del caos”.
Questo sacchetto nero viene formato a inizio scenario con una serie di segnalini che cambiano da scenario a scenario e a seconda della difficoltà decisa dai giocatori; i modificatori sono per la maggior parte negativi, tanto che per aver speranza di passare le prove è sempre meglio considerare di tenersi un margine di almeno due-tre punti rispetto a quanto richiesto dalla prova di abilità. Agire sulla composizione dei segnalini del sacchetto offre anche ai giocatori la possibilità di variare la difficoltà per adattarla alle proprie preferenze. Si tratta sicuramente di un fattore positivo, che rende possibile affrontare scenari dalle espansioni anche senza spendere centinaia di euro per costruire mazzi abbastanza forti; lo si può anche utilizzare come stratagemma se la campagna appare troppo ostica.
Il peso della pesca dal sacchetto in effetti è parecchio rilevante e da solo può svoltare o affossare uno scenario in maniera anche preponderante rispetto alle scelte dei giocatori. La componente strategica, sebbene presente, non è così preponderante e si affianca all’avventura e alla narrazione per offrire godimento al giocatore.
La fisicità degli spazi e non solo
Sono molti i giochi in cui la plancia viene composta da carte affiancate, con risultati altalenanti. Rispetto alle carte, una plancia ha un effetto molto maggiore, permette infatti di abbinare decorazioni e immagini che contribuiscono a dare peso all’ambientazione, inteso proprio come percentuale di spazio visivo occupato. Le carte sono modulari, ma a volte anche un po’ sottili non solo come spessore, ma anche come presenza.
Tuttavia, bastano poche partite per rendersi conto che a questo gioco, una plancia con le carte era proprio quello che gli serviva. In una recensione precedente, evidenziavo come l’omologo del Signore degli Anelli peccasse proprio sui luoghi, troppo astratti per potersi davvero sentire in viaggio tra di essi. La soluzione al problema in Arkham Horror è brillante: i luoghi non escono casualmente da un mazzo, ma sono definiti dallo scenario e hanno collegamenti precisi tra di loro (non posso saltare dal bagno alla casa di fronte, devo passare per l’ingresso). Ogni luogo ha delle caratteristiche particolari, inclusi degli effetti a sorpresa quando si apre la porta, che sono perfettamente integrate all’interno dello scenario. Si spostano tra i luoghi i personaggi come i mostri, ogni luogo ha un limite di segnalini indizio esplorabili: di astratto c’è gran poco.
Questa fisicità, unità alla concretezza degli oggetti e le gesta che si possono compiere attraverso le carte del mazzo, avvicinano ancora di più l’esperienza verso un gioco di ruolo e funzionano perfettamente per far sentire l’ambientazione.
Scenari e rigiocabilità
Arkham Horror in versione di carte è un gioco a scenari, anzi, addirittura a campagna. Infatti le regole per il
deck-building limitano il mazzo alle carte di livello più debole, solo avanzando nella campagna è possibile spendere dei punti per aggiungere al mazzo carte di livello più elevato così da dare anche un po’ di progressione al mazzo. L’operazione non è necessariamente impegnativa come il
deck-building in
Magic o nel
Signore degli Anelli, anche a causa dei limiti già evidenziati. Se notiamo che l’anno di uscita non è tanto lontano da quello di
Keyforge, possiamo sospettare che in quel tempo fosse percepita la mancanza di giochi di carte con mazzi “collezionabili” che non costringesse la gente a perdere ore su ore per costruirli.
Questo abbassamento dell’impegno è coerente con un target molto più ampio rispetto al genitore e fa il paio anche con la particolare regola per cui lo scenario perso non si ripete: i giocatori procedono verso il successivo in ogni caso. Semplicemente, se lo scenario viene vinto ci saranno dei bonus che premieranno i giocatori durante il susseguo della campagna, viceversa la sconfitta può portare a dei malus. C’è anche un altro motivo per cui l’editore in fin dei conti non vuole farci insistere con uno stesso scenario: cioè che alla fine la sua rigiocabilità è un po’ quella che è. Nel risultato complessivo un gran peso lo ha l’effetto sorpresa delle carte rivelate e degli avvenimenti dai capitoli e dalla trama, così come la parte narrativa che è molto presente. Ciò vuol dire che alla fine la variabilità è relativamente limitata per il singolo scenario. Se il gioco appassiona, non c’è alternativa a comprare le espansioni, i pochi scenari per il base non vi permetteranno neanche di esplorare tutti i personaggi presenti prima di apparire triti e ritriti.
Alla fine chi è meglio, Signore degli Anelli o Arkham Horror?
La risposta è che sono giochi diversi e sarebbe ingiusto mettere in gara uno contro l’altro. Il Signore degli Anelli è indubbiamente meno elegante e presenta un
design meno rifinito, anche senza tanti aiuti su come puoi costruirti il mazzo. D’altra parte, è un gioco epico in tutto e per tutto, ruvido, spietato, ma che offre soddisfazioni enormi e sa anche premiare giocate intelligenti sul filo del rischio.
Arkham Horror dal punto di vista del design è diversi passi avanti, ha un’ambientazione che si percepisce in modo quasi fisico, la parte narrativa permette colpi di scena e aiuta molto l’immersività, ma è più comprensivo nei confronti dei giocatori a partire da come li guida nella costruzione del mazzo. È un gioco che intrattiene, ci riesce benissimo, ma non sfida e stuzzica l’animo hardcore come Il Signore degli Anelli riesce a fare.
A ognuno il suo.
Conclusioni
Il gioco di carte Arkham Horror è un titolo solido, che sfrutta al meglio tutta l’esperienza FFG per offrire una modalità d'intrattenimento valida. Riesce a immergere nell’ambientazione con una fisicità ben percepibile grazie all’adeguata componente narrativa e adotta una serie di strategie per agevolare l’approccio e ridurre scelte difficoltose dei giocatori soprattutto in fase di deck-building.
Ne esce un gioco moderno, coinvolgente, adatto a un target di giocatori molto ampio, ma quasi usa e getta negli scenari che singolarmente non sono rigiocabili che più di una manciata di volte. In fin dei conti, anche a confronto col genitore in ambientazione Tolkien, Arkham Horror LCG ne perde in profondità strategica ed epicità, finendo per restituire anche un poco la sensazione di artefatto.